Casillas e l'impossibilità di parlare di omosessualità nel calcio
Uno scherzo apparentemente stupido ci ricorda cosa non va in questa narrazione.
La notizia è ormai di dominio pubblico, dopo essere diventata virale in pochi minuti: nel pomeriggio di domenica, sul profilo Twitter di Iker Casillas è apparso un tweet all'apparenza chiaro e rivelatorio su un aspetto della vita del portiere spagnolo rimasto sconosciuto fino a quel momento: il coming out sul suo orientamento sessuale, rivelando al mondo di essere omosessuale. In tutta risposta, l'ex compagno di nazionale Carles Puyol gli ha risposto di "raccontare la nostra storia".
Uno scambio inaspettato, che sembrava essere in apparenza un terremoto nello storicamente machista mondo sportivo (quello calcistico in particolare): il primo calciatore omosessuale di alto livello, seppur ritirato. La risposta di Puyol, tuttavia, gettava delle ombre e dei dubbi su questa rivelazione. Dopo poche ore, Casillas ha eliminato il tweet precedente, accampando delle scuse nei confronti sia dei suoi followers che di tutto il mondo LGBT.
Al tweet "riparatorio" dell'ex capitano del Real Madrid si è unito quello di Puyol, che ha parlato di uno "scherzo senza nessuna cattiva intenzione e assolutamente fuori luogo".
Il danno, però, era ormai fatto, ma questa storia è fortemente rivelatoria sulla forte omofobia che si respira negli ambienti calcistici, ulteriormente rafforzata da questi eventi.
Quando delle minoranze vengono coinvolte in situazioni che ledono i loro diritti e ne minano la dignità, è prioritario dar loro modo di esprimersi sul tema. Tuttavia, nel mondo del calcio, gli atleti pubblicamente omosessuali rappresentano una percentuale infinitesimale a tenersi stretti. La vicenda di Justin Fashanu, per dirne uno, morto suicida a 37 anni dopo essere stato - tra le altre cose - vittima di bullismo da Brian Clough, è emblematica di come venga trattato il tema omosessualità nel mondo del calcio (a maggior ragione trent'anni fa).
Tuttavia, negli ultimi 12 mesi qualcosa si è mosso sotto quest'aspetto: il difensore australiano Josh Cavallo, in forza all'Adelaide United, ha dichiarato la propria omosessualità nell'ottobre 2021; lo stesso ha fatto Jake Daniels, attaccante scozzese del Blackpool, nel maggio scorso. Forse non a caso entrambi zoomer, ovvero nati nella generazione dal 1997 al 2012, la più giovane in attività. Ma, più che sull'età, in questo caso è importante concentrarsi sulla reazione dei due, raccolta in un tweet pubblicato da Cavallo e ricondiviso da Daniels, chiaro nei termini e forte nella presa di posizione.
Quella che sembrava in un primo momento una mossa rivoluzionaria (il coming out di una leggenda planetaria come il pluricampione europeo e del mondo ha sicuramente più riverbero di quella di un calciatore del campionato australiano, questo è oggettivamente senza dubbio) si è rivelata essere un boomerang nei confronti di tutti i piccoli e lenti passi avanti fatti dal mondo del calcio nel corso degli anni. Mai come in questo caso, il sottotesto è fondamentale: non è ancora confermato e molto difficilmente lo sarà, ma il tweet di Casillas potrebbe essere stato una risposta a tutti i rumor scatenatisi negli ultimi mesi a riguardo di alcune sue relazioni extraconiugali, mai sopiti né tantomeno confermati dall'ex numero 1 iberico.
C'è un'indicazione di doppia matrice, qui. La prima, più spicciola e forse banale: il mal costume del gossip colpisce anche a quelle latitudini (anche se sappiamo che, in molti difetti, stampa italiana e spagnola si assomigliano). La seconda, a più strati e con conseguenze ben più serie: un uomo di 41 anni, certamente non abbastanza vecchio da appartenere ad una generazione arretrata, tratta ancora l'omosessualità come uno scherzo tra adolescenti, un giochetto retorico per respingere ulteriormente le accuse ai suoi danni e rilanciare la propria figura di maschio alpha. Ancor più grave è la risposta che gli offre a rimorchio Puyol, a dimostrazione di una dinamica "da spogliatoio" marcia e vetusta.
Un'onta che rimane
Cancellare tutto al giorno d'oggi non basta, si sa. Tutte le uscite pubbliche, sui social o meno, rimangono come cicatrici, incastonate negli screenshot e negli occhi di chi legge quanto vede sullo schermo e non può certo ricorrere allo sparaflash alla Men In Black. In quest'ottica, la gravità delle azioni di Casillas riverbera in due direzioni: esterna, ma con conseguenza su di sé; interna, ma con conseguenze sugli altri.
Un passo alla volta, partendo dalla prima delle due. Basta un dato: nella sola giornata di domenica, Casillas ha perso circa 3 milioni di follower su Twitter (tra cui il Real Madrid, il club con cui ha alzato la Champions League da capitano) e molta credibilità nei confronti di sponsor e potenziali partner commerciali. Un memento mori: l'industria dello sport non perdona più questi atteggiamenti, sebbene sia spesso la prima a mostrare un atteggiamento ambiguo rispetto a queste tematiche (l'oramai prossimo Mondiale in Qatar, tra le tante cose, sta lì a testimoniarlo in tante sfaccettature).
Il secondo aspetto, ben più grave, colpisce i singoli, intaccando la possibilità e la credibilità di chi nel prossimo futuro vorrà scegliere di fare la stessa scelta di cui si sono fatti carico Cavallo e Daniels. Farsi coraggio e rivelarsi al mondo per quello che si è dopo che due uomini così influenti in questo mondo hanno mostrato di ignorare le conseguenze di questo atteggiamento, nonché la loro omofobia latente, sarà ancor più complicato. La paura di essere fraintesi, se non vituperati, è tanta. Se già c'era un blocco di cemento ad ostacolare il calcio dal superamento di questo problema, Casillas e Puyol hanno contribuito a innalzare il muro un altro po'.
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