Ivan Jurić e l'equilibrio squilibrato
Ivan Jurić tra l'equilibrio delle sue squadre e le esplosive vicende extra-campo.
Uomini forti, destini forti
La scelta dell'aggettivo "squilibrato" è forte, ne sono consapevole. Perlomeno, non è un aggettivo che avrei utilizzato normalmente per descrivere un contesto a me sportivamente gradito. È giusto, a scanso di equivoci, chiarire che non si allude ad alcun aspetto psichico. Si può, dunque, tranquillamente intendere col termine "squilibrio" la sua accezione letterale: mancanza di equilibrio.
La mancanza di equilibrio, in particolare, riguarda le recenti vicende extra-campo che hanno visto Ivan Jurić direttamente coinvolto. Più che a lui in prima persona, quindi, lo squilibrio dovrebbe riferirsi all'ambiente di lavoro che circonda l'allenatore croato. Innanzitutto, ovviamente, la lite fuoribonda tra il DS Vagnati e lo stesso allenatore, quasi sfociata in un incontro di boxe. In secondo luogo, poi, la chiamata da parte del capitano designato post Belotti, Saša Lukić, che ha chiesto di essere non convocato per la prima giornata e la contestuale cessione. Il tutto con buona pace dei tifosi granata che hanno, giustamente, perso le staffe.
Non è un caso che allenatori dal carattere spiccato si trovino ad operare in contesti particolarmente difficili, tendenti all'anarchismo. Basti pensare, ad esempio, a Ringhio Gattuso, che tra Palermo, OFI Creta, Pisa e da ultimo Valencia, ha certamente trovato più di una matassa da sbrogliare. D'altronde, già il Sommo Poeta ci aveva ricordato le conseguenze di una nave sanza nocchiere in gran tempesta. "Uomini forti, destini forti", direbbe Luciano da Certaldo. Ivan Jurić, senz'altro, impresonifica questo prototipo.
L'articolo, perciò, nasce dall'ossimoro "equilibrio squilibrato". In che modo Jurić riesce a dare un equilibrio perfetto alle sue squadre pur avendo un carattere così scostante e operando in dei contesti societari non sempre favorevoli? Ho sempre pensato che la squadra in campo riflettesse lo stato della società e la psiche del proprio allenatore: ho avuto una secca smentita. Ho pensato, allora, alle profetiche parole di Fabrizio De Andrè: "Dai diamanti non nasce niente..." e mi sono messo l'anima in pace.
Prima, però, ho voluto capire le ragioni di quest'equilibrio.
Ivan Jurić e Gian Piero Gasperini
Prima di parlare dell'equilibrio di Jurić, mi sembra doveroso ribadire la linea di demarcazione tra la filosofia dell'allenatore croato e quella del Gasperson. È infatti ormai noto che l'impianto tattico di Ivan Jurić ricalca l'orma innovativa tracciata dal maestro Gasp. Sono molti i punti in comune, a partire dal modulo iniziale adottato dai due coach: 3-4-2-1. E se ormai vogliamo considerare i moduli di gioco come obsoleti, possiamo trovare delle somiglianze nei principi di gioco. Si tratta, in una estrema e superficiale sintesi, di un calcio verticale, intenso, aggressivo e che mira alla creazione dei famosi uno-contro-uno a tutto campo. Il giocatore-tipo, quindi, più che dotato tecnicamente, dovrà possedere straordinarie capacità atletiche.
È senz'altro un calcio di respiro europeo, ben lontano dalla italica scuola dell'attendismo. Può considerarsi una variante del Gegenpressing tedesco. Non sorprende, dunque, che la creatura di Gasp sia stata più e più volte lodata nel grande calcio, vedendosi affibbiata, forse anche ingiustamente, l'appellativo di Cenerentola.
Nonostante questa simbiosi, però, c'è una netta differenza tra il calcio di Gasperini e di Jurić. Mentre il primo ricorre all'uso del pressing a scopo puramente offensivo, il secondo spinge i suoi giocatori ad attaccare per difendere. Si ha, perciò, sul piano tattico uno stesso risultato anche se mosso da finalità differenti.
Un simile sistema di gioco, peraltro, comporta gli stessi rischi per le squadre allenate da maestro e allievo. Elusa la pressione dei giocatori, per gli avversari si aprono grandi spazi per impostare la manovra offensiva. È proprio in questa fase che Jurić ha apportato il suo più importante correttivo alla filosofia di gioco gasperiniana, riuscendo a colmare alcune falle difensive.
Ciò ha permesso al Torino di avere la quinta miglior difesa del campionato scorso nonostante il decimo posto nella classifica finale. Questo sistema di gioco, tra l'altro, ha permesso di dare risalto a Gleison Bremer, interprete perfetto dell'idea del croato. Il premio di miglior difensore della stagione 2021/22 porta la firma anche di Ivan Jurić.
Il Teorema di Ivan Jurić
C'è un dato che, più di tutti, mi ha spinto ad approfondire il sistema di Jurić: la differenza reti delle sue squadre. Questo valore, relegato nelle ultime colonne delle classifiche analitiche, quasi mai viene preso in considerazione per saggiare l'identità di una squadra. L'occhio, infatti, tende a focalizzarsi quasi esclusivamente sugli addendi della differenza reti. In base a questi, una squadra viene giudicata a trazione difensiva o offensiva.
Nelle squadre allenate dal croato, la differenza reti è pressoché una costante. La media di questo valore, infatti, tende ad aggirarsi intorno allo zero. Nelle ultime 3 stagioni sportive: -4 nella stagione 2019/20 con l'Hellas Verona, -2 nella stagione successiva sempre con gli scaligeri e +5 nella passata stagione alla guida dei Granata. Esiste forse un equilibrio maggiore di questo?
Il dato dell'ultima stagione scaturisce da 46 gol fatti e da - soli - 41 gol subiti. Questi ultimi, in particolare, equamente distribuiti tra casa e fuori casa. Numeri da squadra "matura", se paragonati, ad esempio, a quelli del colabrodo Sassuolo. La maturità di una squadra, per quanto mi riguarda, sta nel mantenere la propria identità indipendentemente dall'avversario che si incontra.
La differenza, peraltro, si notava anche con la gestione Tudor dell'Hellas Verona, ex squadra dell'attuale allenatore dei Granata. Igor Tudor, attualmente head coach dell'Olympique Marsiglia, non ha mai nascosto la stima verso il calcio praticato da Gasperini. Sulla scia di quanto precedentemente attuato da Ivan Jurić, dunque, anche Tudor ha abbracciato gli stessi principi di gioco sulla panchina degli scaligeri. Anche qui, però, la differenza tra i due era lampante. "Una differenza che si nota è quella sull'equilibrio perché il Verona segna moltissimo e ne subisce altrettanti. Il Torino invece segna meno ma ha anche una difesa che sembra più difficile da penetrare", dirà Simone Antolini, giornalista de "L'Arena".
Ho provato, quindi, a trasporre l'idea di Jurić in uno spicciolo teorema, visti i numerosi riferimenti numerici. Più o meno sarebbe così. Se ad undici interpreti si applicano i principi di gioco sopra menzionati, il risultato ricadrà nell'intorno di 0. Non si tratta di un atteggiamento neutrale a priori, bensì di un ecosistema perfetto che tende ad annullarsi al suo interno.
Equilibrio
I dati illustrati precedentemente non sono altro che il riflesso delle dinamiche di campo. È quindi doveroso capire in che modo la squadra di Jurić riesce a raggiungere questi numeri, visto anche il modello di gioco spregiudicato che imprime alle sue squadre. In particolare, ci si è sempre chiesti come le sue squadre abbiano una fase difensiva impeccabile pur adottando una difesa tutt'altro che posizionale.
Filippo Lorenzon, in una lunga intervista, dava una soddisfacente definizione di equilibrio. Secondo questo, in particolare, l'equilibrio risiede nella capacità di "ricompattare velocemente la squadra nel cambio di fase, ossia quando si passa dalla fase d’attacco a quella di difesa"
Proprio la compattezza è uno dei principali punti di forza delle squadre di Ivan Jurić. Sebbene, infatti, gli undici del croato debbano pressare in modo asfissiante la squadra avversaria, sono in grado di rimanere concentrati in una porzione di campo ristretta. Si muovono in blocco, a mo' di sciame d'api. Questo meccanismo, paradossalmente, consente ai giocatori di risparmiare preziose energie ed al contempo di difendersi lontano dalla propria area. Il Torino, infatti, ha corso in media 106,44 km per partita, occupando il quattordicesimo posto (su 20 squadre) in questa particolare classifica.
Per fare un parallelismo, l'Atalanta di Gasp ha corso 110,82 km per partita (4°) e l'Hellas di Tudor 109,86 km per partita (5°). Questo, certamente, è dovuto al baricentro più alto di queste due squadre rispetto al Torino.
Le squadre di Jurić non rimangono scoperte per un duplice ordine di ragioni. In primo luogo, sempre per rimanere in tema di equilibrio, la squadra è in partenza divisa in due blocchi composta da uguali componenti. Secondo l'analista Lorenzon, sono cinque i giocatori deputati alla fase di costruzione (i tre difensori e i centrocampisti centrali) ed altrettanti sono incaricati della fase offensiva (i due esterni di centrocampo, i trequartisti e l'unica punta). Questo, ovviamente, garantisce alla squadra del croato di essere già schermata nel momento in cui il possesso è perso.
L'altro ago della bilancia sono gli esterni di centrocampo in fase di non possesso. Jurić, che - come detto - ha apportato dei correttivi alla filosofia di Gasperini, accetta che i propri terzini siano più prudenti rispetto agli esterni atalantini. In questo modo, la squadra rimane meno scoperta in campo aperto. Senza contare, poi, che nella propria metà campo avversaria il croato non disdegna la disposizione a 5 dei propri difensori.
Forte di questo impianto e di un reparto avanzato oltremodo generoso, Ivan Jurić ha avuto il merito di raggiungere un equilibrio duraturo nel tempo, marchio di fabbrica del proprio calcio.
Una bellissima coincidenza
Il calcio, come da titolo di un bellissimo libro, è liquido. Si evolve. Subisce necessariamente infinite trasformazioni per creare qualcosa di nuovo. Tuttavia, nulla è realmente originale. Ognuno dà una propria reinterpretazione di quanto già esistito. Così come il gioco di Jurić è una variante del calcio gasperiniano, a suo modo anche il calcio di Gasperini costituisce un'evoluzione tattica.
I principi di gioco adottati prima dall'allenatore dell'Atalanta e poi da quello del Torino traggono le loro origini nel Sistema detto anche Modulo WM. Questo sistema, neanche a dirsi, caratterizzò il quinquennio stellare del Grande Torino.
Le varianti, indicate nell'immagine sopra, apportate da Jurić sono piuttosto evidenti. La principale, probabilmente, riguarda il baricentro del gioco verso la porta avversaria, con un possesso di palla rapido. Più che i punti di divergenza, però, mi hanno colpito le similitudini. Prerogativa fondamentale del Sistema, così come nel calcio del croato, è la marcatura ad uomo. Ogni giocatore deve già sapere come muoversi in campo, non c'è molto spazio per l'estro. Se noi tutto questo lo diamo per assodato, fa un certo effetto leggere le stesse considerazioni in un giornale del 1942.
Non per tutti
Il modello di Jurić, come d'altronde quello di Gasperini, non è adatto a tutte le squadre e, principalmente, a tutti gli interpreti. L'esplosivo mix tra irriverenza e modello di gioco peculiare respinge - più che attrarre - l'allenatore croato dal calcio d'élite. Eppure secondo molti, suo mentore compreso, l'attuale allenatore dei Granata meriterebbe di fare un ulteriore step.
Del futuro, fortunatamente, non ci è dato conoscere: meglio concentrarsi sul presente. Il presente di Jurić è fatto di Torino, squadra che, scegliendo di seguire il suo diktat, sta via via riaffacciandosi alle zone alte della classifica. I Granata, sotto la guida del croato, sono ormai universalmente riconosciuti come squadra ostica da affrontare, con un'efficienza degna di un orologio svizzero.
Godere dell'equilibrio del Torino, specialmente dopo tutte le vicissitudini extra-campo, è come osservare un tramonto sul mare dopo un acquazzone. Ti spinge ad apprezzare ancor di più lo spettacolo che hai di fronte.
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