Quale Pogba torna alla Juventus?
Pogba sembra vicino a tornare in Italia, ma sarebbe un errore aspettarsi lo stesso giocatore di sette anni fa.
Quando nel 2016 Paul Pogba ha lasciato la Juventus per tornare al Manchester United – il trasferimento più costoso della storia fino a quel momento –, l’operazione era stata pubblicizzata con un termine che avrà fatto strada nei corsi di marketing: «Pogback». Tutto nell'allora 23enne francese strizzava l'occhio a un calcio ultra-consumistico: un giocatore spettacolare, con la gestualità dei trapper, lo sbuffo biondo sui capelli e una presenza scenica decisamente cool, perfetta per diventare magari una skin di Fortnite. Pogba era una creazione della cultura pop degli anni 2010 e il suo nome trasformato in hashtag, #POGBACK appunto, era l’apoteosi del processo di brandizzazione del suo personaggio.
Oggi quel trasferimento sembra sul punto di ripetersi ma a parti invertite. Dopo sei stagioni altalenanti al Manchester United, Pogba potrebbe tornare un’altra volta indietro, alla Juventus, dove i tifosi sono pronti ad accoglierlo con una nuova ondata di #Pogback. Esiste nella storia un altro calciatore imprigionato in una narrazione del ritorno tanto pervasiva?
Se il trasferimento dovesse concretizzarsi, sarebbe la seconda volta che la Juventus soffia Pogba allo United a parametro zero, dopo la prima volta del 2012, a fronte dei 105 milioni di euro spesi dai Red devils per riacquistarlo nel 2016. Jonathan Wilson ha scritto di recente sul Guardian di questa stranezza di Pogba, «il cui ruolo sembra essenzialmente quello di fare la spola tra Manchester e Torino a caro prezzo dello United». Un’asimmetria dei flussi monetari che fotografa bene le differenze gestionali dei due club negli ultimi anni: da una parte lo United dalle campagne acquisti grasse e spendaccione, dall’altra la Juventus simbolo di oculatezza, che escluse rare eccezioni ha costruito una solida tradizione di acquisti d’occasione e parametri zero.
Va detto che questo approccio reattivo al mercato ha condotto a volte ad acquisti poco funzionali al sistema di gioco – e i casi recenti di Rabiot e Ramsey sono lì a confermarlo. L’acquisto di Pogba, per molti, ha intorno un alone di diffidenza simile. Negli ultimi anni allo United Pogba è stato spesso criticato per un rendimento al di sotto delle aspettative, e nonostante sia indiscutibilmente uno dei centrocampisti più talentuosi della sua generazione, sembra avere ormai scollinato il suo prime atletico (compirà trent’anni a marzo) e forse fisiologicamente la sua superiorità fisica un tempo incontestabile sembra essersi normalizzata. Chi è il Pogba che torna alla Juventus: un giocatore ancora capace di coprire il campo con poche e potenti falcate, oppure quello che sul campo quasi passeggia come nell’ultima stagione in Inghilterra – pur mantenendo, va detto, un controllo tecnico pressoché immutato anche da fermo?
Certo, ogni considerazione di questo tipo andrebbe tarata sulle differenze d’intensità tra Serie A e Premier League, e non è da escludere che nei ritmi più bassi del campionato italiano anche un Pogba fisicamente meno dominante possa comunque essere abbastanza dominante. Ma in fondo non si può negare che Pogba è oggi un giocatore “che deve rilanciarsi”; uno che arriva alla Juventus con una forbice molto ampia di rendimenti possibili.
Naturalmente il Pogba degli strappi e delle conduzioni palla di assoluta padronanza, che poi è il giocatore più vicino all’immagine astratta di Pogba che ogni tifoso ha in mente, farebbe la fortuna di questa Juve di Allegri (e ci mancherebbe altro). Un giocatore capace con la sola presenza fisica e tecnica di collegare i reparti e trainare fisicamente la manovra, in una squadra che nell’ultima stagione ha fatto una fatica enorme a risalire il campo per vie centrali. Una Juventus che a un certo punto ha direttamente tolto ogni compito creativo alle mezzali e puntato tutto sulle iniziative di Cuadrado sulla destra, usando le mezzali come meri supporti fisici per far girare il pallone da una fascia all’altra.
Eppure aspettarsi un Pogba “coi superpoteri” oggi, nel 2022, oltre a essere oggettivamente irrealistico, significherebbe cadere nel più classico degli equivoci intorno a Pogba: quello di pensarlo un giocatore che deve fare qualcosa di eccezionale ogni volta che tocca palla.
Un esempio di “Pogba coi superpoteri”, nel 2015
Un’aspettativa insostenibile che abbiamo creato noi spettatori stessi, coi nostri giudizi estremi. Fin dagli esordi di Pogba ci siamo fatti di lui un’idea buggata; lo abbiamo investito del ruolo messianico di nuovo prodigio, colui che con un talento a tratti davvero autosufficiente prometteva di inclinare le partite da solo – salvo poi restare delusi quando lui, Pogba, non riusciva a essere prodigioso sempre. E allora le critiche di essere sopravvalutato, di non valere CENTO MILIONI!!! Di essere discontinuo, montato, lezioso. Non umile come Kanté, non fuoriclasse come Zidane.
L’intera carriera di Pogba è stata un susseguirsi di aspettative, soddisfatte o infrante a seconda del punto di vista dell’osservatore. Pochi giocatori sono altrettanto divisivi. Con la sua carica Swag, e quella venatura di sufficienza con cui esegue pure i cambi campo di 40 metri e le sterzate di suola, Pogba per molti è diventato il simbolo della deriva del calcio contemporaneo. Uno spaccone che bada più alla pettinatura che al gioco; che flexa la propria bellezza, la propria ricchezza, il proprio talento. Come ha scritto Emanuele Atturo, «Pogba manda ai pazzi i detrattori del calcio moderno, tutti quelli che credono in un calcio fatto di umiltà, sacrificio, lavoro; per tutti coloro che considerano i calciatori dei milionari viziati, Pogba è praticamente l’anti-cristo».
Per quattro interi anni, tra il 2014 e il 2018, la federazione francese ha impedito a Pogba di parlare con la stampa durante gli impegni della nazionale, per proteggerlo dall’atteggiamento duro dei media nei suoi confronti. Quando è tornato a parlare, durante il mondiale russo del 2018, ha ironizzato sulle accuse di esibizionismo: «In Europa non ti è permesso giocare dopo esserti tagliato i capelli», e ha ammesso che «Il trasferimento al Manchester United e i 100 milioni spesi sono stati una svolta, da allora tutti mi stanno addosso». Dopo la partita d’esordio di quel mondiale contro l’Australia, in cui Pogba è stato decisivo provocando l’autogol del 2-1, ha ribadito ai microfoni: «So di essere il bersaglio di molte critiche. Sono passato dall’essere il giocatore più pagato al mondo al giocatore più criticato al mondo».
In quegli anni la pressione mediatica a cui è sottoposto Pogba fa il paio con un altro tipo di pressione, più strettamente tecnica e tattica, che grava su di lui al Manchester United, dove si è trasferito nel 2016. Lo United di Mourinho è una squadra brutale e disorganizzata, dove il tecnico portoghese in una delle sue versioni più cupe ha costruito un sistema che ripudia ogni approccio associativo al gioco: difesa bassa, rinuncia al possesso, lanci lunghi, duelli individuali, preferenza dei giocatori grossi sui giocatori tecnici, Fellaini trequartista. In campo vige una divisione fordista del lavoro, ogni giocatore è chiamato a un’interpretazione rigida del suo ruolo e a prendersi enormi responsabilità individuali in ogni fase di gioco.
In quello United Pogba, schierato mezzala di un centrocampo a tre o interno di un centrocampo a due, è l’unico fuoco creativo della squadra. Quello che deve continuamente alzare il livello delle giocate per connettersi ai compagni e illuminare la manovra. Un modo di usare Pogba destinato a fallire, non solo per le tensioni personali che nasceranno tra il centrocampista e Mourinho, ma anche per l’impossibilità per Pogba di coprire col suo talento i difetti strutturali della squadra. L’impossibilità, cioè, di essere quel giocatore sempre eccezionale che alcuni pretendevano che fosse, più grande di qualsiasi disfunzionalità del sistema che lo circonda.
In qualche occasione Pogba lo è stato, più grande del sistema dello United
Si tratta di un monito che la Juventus dovrebbe tenere a mente, se dovesse effettivamente ingaggiare Pogba per la prossima stagione. Una squadra che nell’ultimo anno è sembrata sinistramente simile a quello United: stessa disorganizzazione collettiva, stessa mancanza di connessioni tecniche tra i giocatori, stesse enormi responsabilità sulle spalle dei singoli. In assenza di un’idea di gioco definita, nella Juventus dell’ultimo anno proprio i centrocampisti hanno giocato una stagione particolarmente negativa, giocando con la fatica di chi ad ogni azione sembra dover reinventare da zero il gioco del calcio. E, come in quello United, l’apporto di Pogba nella Juventus rischia di restare marginale, se il club pensa di risolvere solo col suo talento i problemi profondi della passata stagione.
Pogba ha un talento indiscutibilmente vario e sfaccettato, con una capacità di fare molte cose e occupare molte posizioni che lo rende adattabile praticamente a tutti i contesti. C’è – c’è stato? – il Pogba degli strappi e delle invenzioni che piegano le partite, ma esiste anche un altro Pogba, più minimalista e discreto, che in questi anni si è visto soprattutto nella nazionale francese. Schierato da Deschamps come interno di un centrocampo a due, in coppia con centrocampisti meno creativi di lui e attenti al lavoro difensivo, Pogba a seconda delle necessità ha fatto da primo regista oppure da rifinitore della squadra con ordine e pulizia. Un punto di riferimento tecnico capace ad abbassarsi per cucire l’uscita palla coi difensori, oppure di alzarsi per lanciare gli attaccanti con filtranti raffinati. Imprimendo un’influenza silenziosa, un controllo liquido sul gioco della squadra, apparentemente in contraddizione con un talento che nella nostra testa è solo elettrico e sgargiante.
Il video qua sopra, tratto dalla finale di Nations League contro la Spagna dello scorso ottobre, è un esempio delle doti di playmaking – forse sottovalutate – di Pogba. In una partita giocata accanto a un pivot difensivo classico come Tchouaméni, e in cui la Spagna ha avuto il pallone per la maggior parte del tempo, Pogba è stato determinante per mettere la pausa, per far respirare la Francia una volta recuperata palla e ripartire con ordine. Con una capacità unica di resistere alla pressione nello stretto e controllare i singoli momenti della partita. Forse è questo Pogba “cerebrale”, più che quello autosufficiente che spezza le partite con una singola giocata, che la Juventus dovrebbe coltivare, mettere nelle condizioni migliori di esprimersi. Un Pogba che non fa niente (o comunque poco) di eccezionale; che fa cose normali, ma le fa eccezionalmente bene.
Affinchè questa versione di Pogba possa funzionare, però, è necessario che Allegri migliori la struttura posizionale della Juventus. Che metta Pogba al centro della manovra e gli costruisca intorno un reticolo di connessioni attraverso cui ricevere e distribuire il pallone. Finora Pogba ha dato il meglio di sé quando ha potuto associarsi con un playmaker offensivo avanzato (Vidal-Tevez nella prima Juve, Griezmann nella Francia) mentre in questa Juve, in assenza di un giocatore di questo tipo, è plausibile che Pogba stesso venga incaricato di collegare centrocampo e attacco, agendo da mezzala con compiti soprattutto di rifinitura. Un ruolo che rischia di alienare Pogba dalla manovra, specie se la Juve dovesse faticare a portare il pallone sulla trequarti per vie centrali. Insomma, il contrario di quanto avrebbe bisogno Pogba: toccare molti palloni e gestire i tempi dell’azione.
Arrivato a questo punto della carriera è chiaro che Pogba non è Zidane, non è un trequartista che sforna assist a ripetizione, né il deus ex machina adatto a risolvere sempre le partite da solo. Pogba è un centrocampista che fa cose normali da centrocampista, con in più una capacità di leggere il gioco, una presenza fisica e una sensibilità tecnica decisamente sopra la media. È anche capace di farle, di tanto in tanto, le cose eccezionali, ma in quel caso dovremmo godercele come gioielli rari, soprattutto non dovremmo considerarle l’unico parametro attraverso cui valutare Pogba.
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