Gianni Clerici, l'ultimo Scriba del tennis
Gianni Clerici è morto a 91 anni e salutarlo è un onore malinconico per chiunque lo abbia considerato un Maestro, della carta stampata o del saper di tennis in generale.
"Oh bongo, bongo, bongo stare bene solo al Congo non mi muovo no, no. Bingo, bango, bengo, molte scuse ma non vengo, io rimango qui."
(Gianni Clerici e Rino Tommasi prima di ogni telecronaca)
Iniziavano così le telecronache di Gianni Clerici insieme al fido Rino Tommasi. Canticchiando una canzone, così superata da essere perfetta per il loro personale show microfonato, fatto di digressioni e sottilissima ironia. Impossibile, non ricordare Gianni, al secolo Clerici, come lui stesso lapidariamente si congedava dai suoi spettatori, senza menzionare l'amico e compagno di disquisizioni, Tommasi.
Gianni Clerici è morto ieri a 91 anni e oggi il mondo del giornalismo sportivo italiano è un bel po’ più vuoto.
Il vocabolario dello Scriba
Per le qualità della sua penna, lo Scriba, così si autosoprannominava, nel 2006 fu inserito nell'International Hall of Fame, il Walhalla, il regno eterno del tennis.
Gianni Clerici non solo ha raccontato il tennis, ne ha riscritto il vocabolario, coniando espressioni superbe per descrivere l'inarrestabile mutare del tennis, del suo tennis dai gesti bianchi, senza per questo smettere di amarlo e di comprenderlo nelle interpretazioni più brutali dei contemporanei Nadal e Djokovic. Erba battuta. Terba. Rovescio bimane. Tennis arrotato. La genialità di Clerici non risiedeva solo nel suo sapere, pur cospicuo e custodito nella sua opera magna "500 anni di tennis", ma in un'innata vena creativa che faceva di lui un poeta prestato al giornalismo.
Rino Tommasi scrisse di lui: "Non sempre nelle sue cronache troverete il risultato dell'incontro, ma troverete sempre la spiegazione della vittoria di un giocatore sul proprio avversario."
Se di basso livello, la partita poteva anche passare in secondo piano. Troppo interessanti le digressioni del Dottor Divago, altro soprannome di Clerici, corredate dalle pignole statistiche del Tommasi. Se di livello eccelso, come le grandi finali Slam tra Federer e Nadal, le telecronache assumevano toni favolistici, da Chanson de Geste, al contempo bizzarramente ironiche, stampando per sempre gli eroi nella memoria di chi le ascoltava.
Fuori dalle righe: colto, snob e autoironicamente omosessuale
"Se fossi un po' più gay di quello che sono, mi farebbe piacere essere accarezzato dalla volée di McEnroe".
Omosessuale dichiarato, anche diversi anni prima che la cosa venisse considerata socialmente accettabile, Clerici non aveva mai paura di spingersi oltre. Sempre con il suo sarcastico snobismo. Ammirava la giovane Venus Williams, la Venere nera, la leggiadria danza delle sue lunghe gambe d'ebano, e fu tra i primi a scoprire Pete Sampras, consigliando a Sergio Tacchini di metterlo sotto contratto.
L'oratoria di Gianni Clerici era un capolavoro di improvvisazione in un mondo di preparazione maniacale e mera descrizione della partita: da una divagazione su un santo del 1500, a una divinità marina cui secondo lui, Federer doveva affidarsi durante le frustranti finali lungomare con Nadal a Montecarlo. Persino un aneddoto della sua partita dai gesti bianchi con la Contessa di turno (Clerici fu tennista professionista negli anni '50) diventava curioso e peculiare. Un cantastorie, ultimo e irripetibile. Irresistibilmente fuori dalle righe.
Mancherà.
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