Considerazioni sparse post Roma-Feyenoord (1-0)
Il racconto di una serata storica per la Roma, che con tanta sofferenza trova il suo primo sigillo europeo dopo oltre 60 anni.
- 14 anni e 1 giorno dopo l'ultimo trofeo, la Roma ritrova la meravigliosa ebbrezza della vittoria. Lo fa in Europa, dove un'italiana non alzava la coppa dal 2010 (curiosamente, c'era sempre Mourinho in panchina). Contro un Feyenoord bravissimo nel pressing e nella riaggressione alta, il piano gara del tecnico portoghese è semplice e basato sulla minimizzazione del rischio. La Roma si chiude a 5 quando gli avversari hanno il pallone, e in fase di possesso va quasi sempre direttamente sui due attaccanti, nel tentativo di saltare la densità avversaria e nel contempo di evitare la perdita del pallone in zone sanguinose. Non a caso dal 1' viene rilanciato Zaniolo, capace di cantare e portare la croce con i suoi strappi in avanti;
- In un primo tempo brutto ma intenso, è proprio Zaniolo a trovare il jolly - al primo tiro dei suoi- raccogliendo con la fisicità del grande centravanti un lancio di Mancini in area. La sua stagione non è di certo stata esaltante e troppo spesso ha dimostrato di sbagliare le scelte con il pallone tra i piedi, ma un gol del genere, in una partita di questa rilevanza, lo puoi trovare solo se hai qualcosa di speciale;
- L'avvio di ripresa è uno shock: il Feyenoord rientra ai mille all'ora, fa girare il pallone con grande qualità, e nei primi 10' costruisce almeno 3 palle gol clamorose, coronate da due legni. Sul piano del gioco nei secondi 45' non c'è partita, è quasi un soliloquio del Feyenoord, e Mourinho non trova un antidoto efficace come 5 anni fa, quando incartò completamente la finale a un'altra Olandese - l'Ajax - usando le doti aree di Fellaini come fulcro del gioco e come scorciatoia per risalire il campo. Anzi, i cambi contribuiscono a schiacciare sempre di più i giallorossi, eppure la Roma tiene botta fino alla fine e riesce a veleggiare verso il successo, approfittando per una volta anche dello sguardo benevolo della Dea bendata.
- Oltre al matchwinner Zaniolo, merita una citazione il tanto vituperato Cristante, importantissimo nel dare equilibrio alla squadra e autore di un'altra prova di grande sostanza ed intelligenza. Come ci scrive Alessandro su twitter, è come il basso nel rock: quando c'è magari non risalta, ma quando non c'è la differenza è abissale. Decisivi anche Rui Patricio, con 2 grandi interventi nel momento di maggiore sofferenza, e un Ibanez finalmente lucido nello sfruttare le sue enormi doti fisiche. Bene anche il solito Smalling a guidare la difesa, mentre Oliveira (subentrato al 15' al posto dello sfortunato Mikitharyan), gioca una partita di calcio saponato priva di costrutto;
- Josè Mourinho, dopo una serie di passi falsi, non poteva fare scelta migliore per rilanciare la propria carriera. Ha scelto una realtà con disponibilità economiche importanti rispetto alla sua dimensione (i 100 mln spesi in estate lo dimostrano) e con un desiderio spasmodico di tornare a vincere qualcosa dopo 15 anni di magra, proprio nell'anno in cui avrebbe partecipato a una nuova competizione europea nella quale era favorita. Ma soprattutto, ha trovato una piazza pronta a stringersi intorno a lui, a prendere fuoco ad ogni sua scintilla, e naturalmente predisposta a sposare appieno la sua idea di calcio e la sua retorica - che in altri luoghi sarebbero risultate retrò - dell'accerchiamento, della disparità arbitrale, del noi contro tutti. Proprio sul "noi" ha cementato in pochissimi mesi un rapporto che ha portato uno stadio sempre pieno e a un entusiasmo che non si respirava da tempo e questo, indipendentemente dall'opinione che si ha del personaggio, è un merito che va riconosciuto all'allenatore portoghese. Se i suoi principi di gioco reggeranno anche in futuro, si vedrà. Intanto ha vinto, e chi vince ha sempre ragione. Soprattutto se lo si fa dove sembra quasi impossibile.
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