Śląsk Wrocław-Wisła Kraków: un match-fixing
Quarant'anni fa, in Polonia, una complicata combine finì malissimo.
Nel 1989, nelle sale cinematografiche polacche esce un film, intitolato Piłkarski Poker (il poker dei calciatori) che racconta la storia, puramente inventata, di Jan Laguna, un ex calciatore diventato arbitro, particolarmente orgoglioso di non aver mai truccato il risultato di alcuna partita. Laguna si considera incorruttibile e ne dà prova. Quando i presidenti di alcune società di calcio cominciano a fargli pressioni perché alteri il risultato dell'ultimo incontro stagionale, li inganna. Accetta i loro soldi, ma fa comunque in modo che il punteggio finale non li soddisfi.
Ebbene, la pur fantasiosa trama di quella pellicola, sfigura di fronte al clamoroso epilogo del campionato polacco di prima divisione del 1981-82, del quale avevo già scritto in estrema sintesi per East Journal e di cui di seguito, ricostruisco completamente le battute finali, tenendo anche in considerazione le importanti indiscrezioni che il giornalista Artur Brzozowski raccolse per il portale sport.pl una decina d'anni fa.
Tempo fa, proprio qui su sportellate.it, scrissi un articolo per illustrare le diverse modalità conosciute ed esistenti di battere un calcio di rigore. Nel lungo viaggio alla scoperta delle origini del “panenka”, della “paradinha” e del “korokoro”, mi soffermavo a confrontare i vantaggi e gli svantaggi offerti dal ricorso alle “GK Dependent Strategies” rispetto alle “GK Independent Strategies” e ne approfittavo per giungere ad elaborare un simpatico decalogo che ogni battitore desideroso di aumentare le proprie percentuali di conversione dagli undici metri dovrebbe seguire.
Ebbene, si tratta di dieci comandamenti molto validi, ai quali, però, il tiratore non dovrà per forza di cose attenersi. Esiste un caso in cui quei suggerimenti sono del tutto inutili. È l'improbabile caso in cui abbia già concordato con l'estremo difensore avversario dove tirerà. In quest'ultima eventualità, infatti, il battitore dovrà soltanto assicurarsi che il suo compagno di merende si attenga al piano prestabilito.
Il 9 maggio 1982, all'83' minuto di gioco di Śląsk Wrocław – Wisła Kraków, quando Tadeusz Jan Pawłowski cercò un rassicurante cenno di intesa nello sguardo dell'amico-avversario Zdzisław Kapka e lo trovò, stava proprio tentando di verificare che tutto stesse procedendo secondo i piani, ma così non era, perché Kapka bluffava.
Disse una volta Jan Tomaszewski, l'eroico portiere della nazionale polacca giunta terza ai campionati mondiali di calcio del 1974, che la più grande malattia che affligge tutti coloro che lavorano all'interno del calcio in Polonia è la corruzione.
Tomaszewski non parlò a torto: se c'è una prova che lo dimostra, è il drammatico epilogo del campionato di prima divisione polacco del 1981-82. In quella stagione, infatti, a tre giornate dal termine, a contendersi il titolo erano rimaste soltanto due squadre: lo Śląsk di Wrocław (cittadina della Slesia nota agli italiani col nome di Breslavia) ed il Widzew di Łódź, la società nella quale militavano Boniek, Zmuda e Smolarek.
Gli slesiani potevano contare su una lunghezza di vantaggio sui rivali, ma non godevano del favore degli scontri diretti: in caso di arrivo a pari punti, non avrebbero vinto il titolo. Il Widzew, dal canto suo, pur godendo di un calendario sulla carta piuttosto agevole, poteva soltanto sperare che lo Śląsk incappasse in un passo falso, affinché qualunque tentativo di rimonta non risultasse vano.
Nonostante l'impresa sembrasse piuttosto ardua da portare a termine, i calciatori del Łódź non avevano perso le speranze di riuscire a compierla, perché sulla loro strada erano rimasti soltanto il Gwardia Varsavia, l'Arka Gdynia ed Ruch Chorzów, rispettivamente, due squadre che non avevano più nulla da domandare al campionato ed una terza piuttosto pericolante.
A Łódź non erano al corrente, tuttavia, che lo Śląsk (che nel frattempo si sarebbe sbarazzato del Górnik Zabrze con un secco due a zero), aveva promesso una cospicua somma di denaro ai calciatori del Gwardia per spronarli a dare il massimo in campo, né che, di conseguenza, i capitolini avrebbero opposto, fin dalle prime battute del match col Łódź, una strenua resistenza. Boniek e compagni erano convinti che a Varsavia avrebbero vinto in scioltezza, ma, quando scesero in campo, dovettero ben presto ricredersi, perché l'incontro si trasformò subito in una vera e propria battaglia senza esclusione di colpi.
Il Widzew provò con tutte le proprie forze a prevalere, ma il Gwardia mantenne la propria porta inviolata e, alla fine, riuscì addirittura ad imporsi di misura, sovvertendo tutti i pronostici e riducendo le già flebili speranze scudetto del Łódź ad un lumicino. La depressione dei tifosi biancorossi non durò più di qualche giorno, tuttavia, perché, nel turno successivo, un altro plot-twist riportò la situazione al punto di partenza.
Quasi per punizione lo Śląsk, al quale sarebbe bastata una vittoria per conquistare il titolo, cadde in casa dello Stal Mielec per 3 a 1 (anch'esso spronato a dare il meglio da un lauto finanziamento esterno), mentre il Widzew si impose facilmente sull'Arka Gdynia, riducendo nuovamente il divario dalla capolista ad un punto. Il campionato, dunque, si sarebbe deciso all'ultima giornata.
Di quella sconfitta, i tifosi dello Śląsk Wrocław non si curarono troppo, perché pensavano che avere la meglio sul Wisła Cracovia, in casa, sarebbe stato facile come bere un bicchier d'acqua, e poi, non era assolutamente detto che lo Śląsk avrebbe dovuto per forza di cose vincere quella partita.
La formazione slesiana avrebbe potuto laurearsi campione di Polonia anche pareggiandola o, addirittura, perdendola, visto che il Łódź sarebbe andato a giocarsi le sue ultime chance di vittoria a Chorzów, contro un Ruch pericolosamente vicino alla prima retrocessione della sua storia.
L'inaspettata battuta d'arresto capitata nel turno precedente preoccupava, invece, i vertici societari del club slesiano, tanto che alcuni dei suoi dirigenti, consci dell'estrema importanza dell'imminente incontro, decisero di inaugurare in gran segreto “l'operazione Vistola” (dal nome del fiume che bagna Cracovia e che identifica una delle tante squadre fondate nella cittadina, il Wisła appunto) e di incaricare alcuni calciatori di portarla a termine.
Ecco perché, quattro giocatori, tra i quali Tadeusz Pawłowski (la stella della squadra), rimasero nelle loro case di Breslavia, quando la formazione slesiana si recò nel ritiro di Syców per preparare al meglio il decisivo incontro. I dirigenti giustificarono quelle assenze al giovane coach, Jan Caliński, usando parole piuttosto vaghe, ma funzionali a fargli capire che la faccenda era così rilevante da non poter essere trattata come una mera questione di campo. Gli spiegarono che occorreva agire anche per vie traverse, sotterranee e furtive. «Ce ne occupiamo noi», gli dissero, ma non scesero in ulteriori dettagli.
Non gli accennarono che al gruppetto era stato ordinato di racimolare il denaro necessario a corrompere i giocatori del Wisła, né che, all'inizio, quei soldi proprio non si trovassero, perché nessun illustre tifoso dello Śląsk sembrava intenzionato ad investire cifre importanti. Fu l'intervento di un ricco imprenditore amico del difensore Paweł Król, a sbloccare la situazione.
Il magnate non versò l'intera somma richiesta dalla società sportiva di Cracovia, ma i suoi 400000 złoty furono comunque sufficienti al manipolo di calciatori capeggiato da Tadeusz Pawłowski a convincere la delegazione del Wisła a raggiungere un'intesa di massima, a patto che il club di Breslavia avesse rimediato altri 100000 złoty prima dell'inizio del match.
I giocatori dello Śląsk acconsentirono anche a quest'ultima richiesta e, così, Pawłowski ed il suo vecchio amico d'infanzia, nonché centrocampista del Wisła Cracovia, Zdzisław Kapka, passarono a discutere nei minimi dettagli i termini dell'accordo.
I due pensarono ad ogni eventualità. Non lasciarono niente al caso.
Determinarono anche il comportamento che avrebbe dovuto tenere il portiere nel caso dell'assegnazione di un calcio di rigore (in proposito, stabilirono che, se mai fosse stato assegnato un penalty, Adamczyk, l'estremo difensore del Wisła Cracovia, si sarebbe buttato alla sua destra), e solo quando finirono di contemplare qualunque rimanente, ulteriore possibilità, si strinsero la mano: un gesto che avviò ufficialmente “l'operazione Vistola”.
E così, si arrivò finalmente al 9 maggio, la giornata conclusiva del campionato. Nell'affollatissimo impianto di Breslavia, la folla aveva già cominciato a riempire le tribune due ore prima del fischio d'inizio.
Secondo i dati ufficiali dei primi anni '80, lo stadio dello Śląsk poteva contenere circa 15.000 persone, ma quel pomeriggio ve ne erano più di 20.000, forse 25.000. Bastava un rapido sguardo alle tribune, per accorgersene: i tifosi vi erano assiepati fitti come le sardine.
Altri spettatori, quelli che non avevano trovato posto a sedere, stazionavano accanto alle recinzioni che delimitavano il terreno di gioco. Qualcuno, tra i più temerari e determinati, si era attrezzato per osservare lo spettacolo appollaiato sui rami degli alberi che crescevano dietro la porzione di campo sprovvista di spalti, in uno stato di equilibrio piuttosto precario. In molti avevano portato allo stadio dei lunghissimi striscioni e li avevano appesi alle balaustre, in modo che fossero ben leggibili.
Sul più grande di questi, vi era scritto “benvenuti ai campioni di Polonia del 1982”: segno che la fiducia nella squadra era altissima. Tutti, infatti, pensavano che vincere quella partita sarebbe stato molto semplice, poco più che una formalità, tanto che la società stessa aveva già allestito un gigantesco banchetto celebrativo e, per l'occasione, aveva fatto sistemare decine di bottiglie di champagne in frigo.
Ed anche i calciatori dello Śląsk ne erano profondamente convinti, del resto avevano completamente onorato la loro parte nell'accordo (in uno dei bagni femminili dello stadio, la consorte di uno di essi aveva consegnato i 100000 złoty mancanti alla fidanzata di un giocatore del Wisła, poche ore prima). L'unico ad essere preoccupato era l'allenatore Jan Caliński, e col senno di poi, aveva ragione ad esserlo.
Qualcosa non va
La partita si aprì all'insegna di un'intensa fase di studio. Per una decina di minuti, il match si trascinò sul filo di un generale e sostanziale equilibrio, senza che succedesse niente di saliente, poi lo Śląsk riuscì a prendere finalmente in mano il pallino del gioco. Tuttavia, prima dell'intervallo, furono gli ospiti a rendersi più volte pericolosi. La formazione di Breslavia, infatti, aveva mantenuto il possesso del pallone, ma non era riuscita a farlo circolare velocemente da un lato all'altro del campo, in modo da aprirsi dei varchi nella difesa avversaria.
Al contrario, il Wisła Cracovia aveva rinunciato a perseguire il dominio territoriale sui padroni di casa, ma non si era limitato a difendersi in maniera ordinata e composta, quando ne aveva avuta l'occasione, era partito rapidamente al contrattacco e in un paio di situazioni era anche riuscito ad impensierire il portiere dello Śląsk, Jarecki. Questo atteggiamento spavaldo ed ambizioso confuse alcuni giocatori del Wrocław, ma la maggior parte di loro, considerato che mancava ancora un'intera frazione di gioco alla fine, guardava ancora con fiducia al futuro, convinta che il Cracovia avrebbe tenuto fede ai patti.
Non erano di questo avviso Jan Caliński ed il suo staff, che oggi ricordano quei momenti con le seguenti parole: «dicemmo alla squadra che era chiaro che il Wisla non fosse disposto a perdere, ma non ci fu modo di convincerli. Non riuscimmo ad entrare nelle loro teste».
Probabilmente, il fatto che da Chorzów non arrivassero brutte notizie, si rivelò decisivo. Il Ruch, infatti, era passato in vantaggio e, anche se il Widzew aveva riportato il punteggio in parità prima del duplice fischio, lo Śląsk era momentaneamente campione: di conseguenza, Tadeusz Pawłowski e molti altri suoi compagni, pensavano che non sussistesse alcuna ragione di allarmarsi.
Invece, i motivi per cui non avrebbero dovuto stare tranquilli esistevano ed erano anche belli grossi. Innanzitutto, il match tra il Ruch Chorzów ed il Widzew Łódź era iniziato con otto minuti di ritardo rispetto alla partita di Breslavia, e questo lasciava presupporre che, se il Chorzów fosse stato sicuro di evitare la retrocessione, nei minuti finali avrebbe concesso la vittoria al Łódź.
In secondo luogo, potendo contare sui soldi che sarebbero presto arrivati dalla cessione di Boniek alla Juventus, anche il Łódź aveva promesso una cospicua somma ai calciatori del Wisła Cracovia per fare in modo che affrontassero quell'ultimo impegno con tutte le energie che avevano in corpo. Il Widzew, oltretutto, non si era limitato a pareggiare la cifra offerta dai concorrenti per il titolo, aveva versato una somma più alta di quella raccolta dallo Śląsk e, cosa molto importante, l'aveva depositata in dollari.
A ricevere il denaro era stato Andrzej Iwan, incaricato dai suoi compagni di trattare personalmente con i biancorossi, in quanto grande amico di Boniek e Młynarczyk (con i quali aveva condiviso più volte una maglia della rappresentativa nazionale), nonché promesso sposo del Łódź (in effetti, il giocatore aveva già trovato un accordo col Widzew per la stagione successiva, ma il suo trasferimento a Łódź poi non si concretizzò, perché, il mese seguente, volato in Spagna per prendere parte alla fase finale dei campionati Mondiali, fu vittima di un grave infortunio).
Fu proprio Iwan a far partire il cross che al 51' minuto, tra lo stupore generale, permise a Piotr Skrobowski di portare in vantaggio il Cracovia. Il gol realizzato dal biondo difensore, un fulmine a ciel sereno, ammutolì lo stadio e svegliò i calciatori della formazione breslava: il Wisła non avrebbe regalato loro proprio niente, era ovvio ormai. A rendere le cose ancor più chiare, come se la rete di Skrobowski non fosse bastata, ci pensò lo stesso Iwan.
L'attaccante del Cracovia si avvicinò più volte a Pawłowski promettendogli lo scudetto in cambio di un milione di złoty, ma tutto ciò che a Tadeusz era rimasto da offrire era la sua fede nuziale, un oggetto che non valeva abbastanza.
Un arbitro a dir poco parziale
A quel punto, lo Śląsk si riversò furiosamente in attacco, ma Adamczyk, in evidente stato di grazia, respinse un tiro dopo l'altro, costringendo l'arbitro Alojzy Jarguz, pizzicato a cena col vice-presidente del club di Breslavia la sera prima, ad intervenire in prima persona: «la metà dei calciatori dello Śląsk Wrocław giocava in nazionale, mentre il Wisła Cracovia era talmente debole, che, a stento, si poteva credere a quello che stava succedendo. Volevo evitare che il risultato del match venisse falsato, quindi, verso la fine del tempo regolamentare, quando lo Śląsk ebbe la possibilità di battere un calcio d'angolo, accordai loro un calcio di rigore [ndr. per una presunta, leggerissima spinta ai danni del difensore Wójcicki]».
Quella decisione creò scompiglio. In campo ne nacque un parapiglia, ma con sommo stupore di Jarguz, furono alcuni calciatori dello Śląsk, non quelli del Cracovia, a domandargli per quale ragione avesse fischiato, segno che, evidentemente, qualcuno nel Breslavia stesse remando contro i suoi stessi compagni.
«Tutti loro dicono di essere puliti, ma... preferisco tacere sul punto», affermò anni dopo lo stesso Jarguz, ai giornalisti della rivista “Magazyn futbol”.
E dello stesso avviso si è sempre dichiarato il centrocampista dello Śląsk, Ryszard Tarasiewicz, sostituito, a sorpresa, parecchi minuti prima del fischio finale: «è stato umiliante. Io volevo vincerla quella partita, ma qualcun altro non era della mia stessa opinione. Alcuni miei compagni sfoggiarono presto una nuova Polonez, altri una Lada, ma [a che prezzo?] hanno perso per sempre l'occasione di rimanere nella storia».
Chi ha tradito chi? La parabola discendente dell'astro Pawłowski
Tarasiewicz non ha mai fatto nomi, ma è chiaro che il maggior sospettato di essersi venduto al Łódź fu proprio colui che quel calcio di rigore ebbe la possibilità di calciarlo, ma lo sbagliò, condannando lo Śląsk alla sconfitta: Tadeusz Pawłowski.
Pawłowski provò a difendersi sostenendo di essere rimasto negli spogliatoi a piangere fiumi di lacrime fino a tarda sera e negando di essersi successivamente recato al Novotel di Wrocław per festeggiare il finale di stagione coi giocatori del Wisła Cracovia (come avrebbero fatto, invece, altri suoi compagni), ma non riuscì a riabilitare la propria immagine agli occhi della gente.
In fondo, tutti l'avevano visto scambiarsi un cenno d'intesa con Kapka poco prima di presentarsi sul dischetto e, ancora oggi, tutti a Breslavia ricordano il suo debole tentativo di trasformazione, neutralizzato facilmente da Adamczyk. Quell'errore consentì al Łódź (che aveva soltanto pareggiato a Chorzów) di laurearsi campione di Polonia (in considerazione dei risultati maturati negli scontri diretti) e costrinse Pawłowski a passare alcuni mesi d'inferno.
I tifosi dello Śląsk minacciarono più volte di bruciargli l'automobile ed i suoi figli diventarono vittime di ricorrenti atti di bullismo. Pawłowski sarebbe dovuto passare al Lens al termine di quel campionato (il contratto era già stato firmato), ma quando il suo trasferimento nelle fila dei francesi sfumò, perché il suo passaporto venne misteriosamente smarrito, cominciò a credere, ragionevolmente, che anche i vertici societari lo detestassero.
E difatti, nel corso della stagione seguente, nonostante versasse in uno splendido stato di forma, venne spesso relegato in panchina per ordine degli uomini vicini alla presidenza, soprattutto nei match validi per le coppe europee. Durante una sfida col CSKA Mosca, ad esempio, quando l'allenatore lo mandò a scaldarsi per farlo subentrare nel corso del secondo tempo, un dirigente si precipitò frettolosamente giù dalle tribune per impedire il suo ingresso in campo, ed una situazione simile si verificò anche prima di un incontro con gli svizzeri del Servette.
In quel caso, però, almeno il coach fu chiaro fin da subito: «mi disse, “sai, ci sono pressioni dall'alto e non puoi giocare”, ma fortunatamente, a fine anno, grazie a degli amici, riusciì a riottenere il passaporto e potei partire per l'Austria, per andare a giocare a Vienna, nel Wacker».
Insomma, anche la presidenza dello Śląsk si era convinta che il proprio miglior calciatore avesse sbagliato volontariamente quel calcio di rigore, nonostante Pawłowski, dal canto suo, avesse sempre rispedito al mittente quelle accuse, ribadendo più volte di essere stato ingannato da Kapka e confermando, senza mezzi termini, di aver tentato di corrompere i giocatori del Wisła.
Pawłowski non ha mai perdonato il tradimento subito dal suo ex amico del Wisła, col quale non ha più parlato nemmeno una volta e, per sua stessa ammissione, non parlerà mai più, ma Kapka, a sua volta, ancora oggi non ci sta, perché nel calcio nessuno può essere incolpato per aver disturbato efficacemente l'avversario e non averlo aiutato a vincere: «Non vedo niente di sbagliato nel fatto che qualcuno, a Łódź, abbia fatto il tifo per noi, ma non ricordo che il Widzew ci abbia offerto qualcosa. I giocatori dello Śląsk dovrebbero prendersela soltanto con loro stessi, perché quella sconfitta fu soltanto colpa loro. Non dovrebbero uscirsene fuori con queste storie assurde, dopo tutto, ebbero la possibilità di battere un calcio di rigore, ma non riuscirono a segnarlo».
Ed in effetti, chi ha avuto l'occasione per pareggiare l'incontro e non l'ha sfruttata, può accusare qualcun altro di essere stato corrotto per vincere? Forse è meglio quando Pawłowski si limita a riassumere l'intera faccenda con queste parole: «è incredibile quello che è successo. Per tutta la stagione abbiamo giocato regolarmente e la volta che abbiamo provato ad assicurarci una vittoria in maniera truffaldina, è la volta che abbiamo perso».
Come si suol dire: i casi della vita.
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