Considerazioni sparse su "Spencer" di Pablo Larraìn
Spencer non è un ritratto veritiero di Lady Diana, ma una "true fiction" dove alcuni elementi reali sono adattati nella struttura tipica del thriller psicologico.
- Nella tenuta di Sandringham sono tutti pronti per l’inizio delle festività natalizie ma Lady Diana ancora non si presenta, la sua condotta è l’unica incrinatura nella routine militaresca che regola la vita della famiglia reale. Si rifugia nella toilette, si ripete che quella prigionia famigliare durerà poco: «Solo tre giorni. Tutto qui». E quei tre giorni costituiscono l’arco temporale del film, dalla vigilia di Natale al giorno di Santo Stefano, il tempo in cui la famiglia reale è riunita come da tradizione nella residenza di campagna e l'insofferenza della Principessa del Galles raggiunge l'apice dell'intensità. Insofferenza verso i rituali stanchi di corte, le formalità anacronistiche, la claustrofobia che la soffoca dentro la sua stessa casa;
- La scelta di restringere la narrazione a pochissimi giorni della vita di Diana (interpretata con grande naturalismo da Kristen Stewart) dà a Spencer un’atmosfera sospesa e astratta. Lo spettatore ha la sensazione di arrivare a film già iniziato, le ripicche e le crudeltà raccontate sullo schermo sono il seguito di un litigio matrimoniale avvenuto altrove, fuori scena. Naturalmente Spencer può permetterselo, la storia del rapporto tormentato tra Diana e Carlo (interpretato da Jack Farthing), e per estensione tra Diana e la corte reale, è parte della memoria collettiva. Ma in quest’epoca di sceneggiature invadenti e didascaliche, dove si fa largo uso degli “spiegoni” nei film, la sceneggiatura rarefatta e allusiva di Spencer (scritta da Steven Knight, creatore di Peaky Blinders) riconcilia con l’idea che il cinema – e l’arte in generale – debba suggerire più che mostrare. Che il “non detto” debba superare per eloquenza le parole;
- Le maglie volutamente larghe della sceneggiatura, insieme al conflitto strisciante tra “lei” e “loro”, creano nel film un’atmosfera sinistra e vaga, un suggerimento di sentimento senza il nome di esso. La sensazione è che ogni sguardo, ogni silenzio, persino ogni mobile e parete della residenza, siano attraversati da una nervatura sotterranea di tensione appena percepibile eppure asfissiante. Spencer in fin dei conti rientra in pieno nel genere del thriller psicologico, e ogni suo dettaglio è funzionale a costruire un senso di vaga inquietudine: i primi piani claustrofobici, le allucinazioni di Diana, la minaccia dei fotografi che da qualche parte osservano tutto, anche se non si vedono mai. Poi la scelta registica forse più potente: quella di non far pronunciare nemmeno una parola alla Regina Elisabetta. Il suo potere grigio è esercitato con pochi sguardi, le sue volontà eseguite da collaboratori altrettanto grigi e burocratici. L’ostilità alla base del malessere di Diana è diffusa e intangibile, quindi ancora più subdola;
- In Spencer il libero arbitrio della principessa è castrato da una rete di tradizioni secolari e di rigide etichette cui sottostare. Gli abiti da indossare sono decisi a priori da terze persone, i rituali sono vecchi di secoli. Tutto è già stato vissuto. «In questa casa non c’è futuro» dice la principessa in uno dei momenti di dolcezza con i figli, «passato e presente sono la stessa cosa». Questa frase non è un piccolo dettaglio ma il cardine su cui è costruito l’intero film. La fotografia di Claire Mathon inchioda la tenuta di Sandringham sotto a un cielo di un bianco indifferente, dove non ci sono nuvole a testimoniare lo scorrere del tempo. Ma è soprattutto attraverso la magnifica colonna sonora di Jonny Greenwood che la gabbia del passato cala sul film e dà consistenza al tormento di Diana. Il chitarrista dei Radiohead (la cui abilità nella composizione per il cinema sta diventando difficile da ignorare: solo nel 2021, oltre a Spencer, ha curato la soundtrack di Licorice Pizza ed era candidato all’Oscar per quella de Il potere del cane) ha improvvisato su arie vagamente barocche, e durante il film ho shazammato più volte pensando di stare ascoltando Vivaldi o Purcell. La particolare immobilità del tempo è un aspetto che distingue Spencer dagli altri drammi reali del momento. Se The Crown e Bridgerton restituiscono una dimensione quotidiana e contemporanea alla vita di corte del passato, Spencer è il contrario: nega ogni segno di umanità e serra le tende davanti all’incedere del presente, come per preservare un’eredità impenetrabile;
- Spencer non ha pretese di realismo. Come dichiara l’iscrizione all’inizio del film, il racconto è “una favola tratta da una tragedia vera”. Il regista Larraín aveva già usato un approccio simile nel film Jackie (2016), in cui Jacqueline Kennedy veniva ritratta nei giorni immediatamente successivi all’assassinio del marito. Per Larraín concentrare la narrazione su pochissimi giorni della vita di un personaggio è un espediente per sfuggire all’obbligo dell’accuratezza storica. Focalizzandosi su un periodo di tempo molto limitato, ritiene ci sia più possibilità di esplorare i dettagli minuti, più margine per completare gli elementi reali con altri di fantasia. Larraín definisce questa commistione “true fiction”, e in effetti seppure Spencer muova da un ritratto realistico della personalità di Diana, la cornice finzionale di contorno è costruita con tanta cura da non far sembrare fuori contesto quei momenti del film più fantasiosi.
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