Considerazioni sparse su "Fedeltà", la serie Netflix diretta da Andrea Molaioli e Stefano Cipani
Vorrei potermi dire sorpreso dello scarso - scarsissimo, ad essere onesti- entusiasmo con il quale ho affrontato tutte e 6 le puntate di Fedeltà, la serie italiana rilasciata dalla piattaforma streaming Netflix lo scorso 14 Febbraio (data, come capirete da soli, intrisa di un forte simbolismo commerciale) e tratta dall'omonimo libro del bravo scrittore riminese Marco Missiroli, ma - e il ma è importante in queste considerazioni- invece, il mix di rassegnazione e bieca sopportazione che mi ha invaso quasi dall'inizio altro non è che la mia reazione più frequente di fronte alla maggior parte dei prodotti audiovisivi colorati a tinte tricolori. Quindi, niente di nuovo sotto il sole e si comincia con quello che si ha da dire.
- Spesso guardando un film - uno di quelli lunghi soprattutto -si ha la sensazione che la sovrabbondanza di materiale drammaturgico avrebbe potuto tranquillamente dare vita ad una serie. Personaggi, situazioni, desideri e colpi di scena ti lasciano pensare che un progetto più ampio avrebbe risposto meglio alle esigenze di una di quelle storie che non si vuole abbandonare dopo appena 2 ore, mentre nel caso di Fedeltà, si ha esattamente la sensazione opposta: non sarebbe stato meglio togliersi il pensiero con un bel film di minuti 100, al massimo, e concentrare il poco che ne è uscito fuori in un'unica soluzione? Mah, agli esperti l'ardua risposta. Sarà il "critico" incontentabile o l'operazione pretenziosa?
- Maria Paiato è una delle migliori attrici italiane. In assoluto. Eppure al cinema o in televisione è spesso usata da comprimaria e certo questo non può diventare motivo di biasimo per una serie che comunque, secondo me, sfrutta male attori notoriamente molto bravi. Michele Riondino e Lucrezia Guidone, ottimi professionisti con alle spalle esperienze di livello sicuramente elevato alle quali hanno sempre risposto sfoderando adeguate prove, qui sembrano sacrificati sull'altare della semplificazione. Marito e moglie alle prese con "un malinteso" che stravolge un rapporto appassionato, i due attori si muovono in un universo che si immagina essere pieno di dolore e difficoltà con una neutralità espressiva sinceramente inaspettata. I dialoghi, le situazioni e le intenzioni accennano appena i temi che immaginiamo vogliano richiamare, ma che - in realtà - non si ha il coraggio di indagare come si dovrebbe;
- Milano è lo sfondo della narrazione con una Rimini che appare soltanto in una porzione di una sola puntata. Il capoluogo meneghino è descritto esattamente come gli stereotipi ce lo consegnano. Esteriore, borghese, sempre attento a prendere le distanze dalla carnalità della vita. Missiroli - l'autore del libro Fedeltà, come detto ad inizio articolo - in un suo cameo all'interno della serie parla di come tutta la sua letteratura ruoti intorno al racconto del desiderio: bene, niente di più distante dal prodotto che gli avrà - giustamente - garantito la riscossione di buoni diritti d'autore. Non è chiaro se questa ovattata narrazione sia figlia di una scelta consapevole atta a "denunciare" lo scollamento in corso tra volontà e azione tanto presente ai giorni nostri - scollamento che in ambito sessuale e/o sentimentale conduce solitamente a picchi di frustrazione che minano seriamente la qualità della vita - o semplicemente rifletta l'ideale -legittimo, sia chiaro - di produttori, sceneggiatori e registi. Sarebbe bello scoprirlo;
- La regia, alla quale si alternano nell'arco delle 6 puntate Andrea Molaioli, il cui "La ragazza del lago" rimane uno dei prodotti più belli del cinema italiano degli ultimi anni, e Stefano Cipani, lavora, in accordo agli altri elementi già analizzati, per successivi quadri puliti, definiti, senza macchia e ammaccature di sorta. È, infatti, tutto improntato ad una pulizia da salotto inglese alle 5 del pomeriggio in cui la polvere non può e non deve esistere e se proprio non si riesce a sconfiggerla completamente meglio avere a portata di mano un tappeto sotto il quale nasconderla. Le gallerie d'arte, le università probabilmente costose e i centri fisioterapici con marcantoni senza difetti non possono avere crepe e il massimo della trasgressione sono le canzoni della colonna sonora. Musica generazionale che mischia presunte urla di disagio a sonorità alla moda;
- In definitiva dispiace constatare come, ancora una volta, tra le Alpi e lo stretto di Messina si faccia fatica a spogliarsi di una logica rassicurante, semplicistica e poco ardita che magari continuerà a foraggiare l'Italica abitudine di guardare la televisione mentre si stira e si cucina, ma che difficilmente troverà spettatori valicati i confini. Che al giorno d'oggi, considerate le possibilità di fruizione, ad accontentarsi non si gode più neanche a metà.