Considerazioni sparse post "La fiera delle illusioni" di Guillermo del Toro
Guillermo del Toro torna al cinema con “La fiera delle illusioni”, ma non riesce a ricreare il mix di elementi vincenti che aveva garantito il successo de “La forma dell’acqua”.
- Il film che segue una pellicola vincitrice del Premio Oscar al miglior film è sempre delicato da realizzare, perché inevitabilmente è il confronto il giudice supremo del lavoro. “La fiera delle illusioni” non scappa dunque dall’ombra de “La forma dell’acqua”, che nel 2018 ha fatto incetta di Oscar tra cui le prestigiose statuette per il miglior film e per la miglior regia. Dunque è proprio nel confronto col suo predecessore che emergono alcune problematiche riguardanti l'opera. “La forma dell’acqua” ha raggiunto un equilibrio perfetto tra alcune componenti essenziali del cinema di del Toro, come le atmosfere dark-fantasy, la cura della scenografia, la trama compassata e i significati simbolici. “La fiera delle illusioni” manca di questo equilibrio, perché viene meno l’ultimo fattore tra quelli sopracitati, ovvero il carico simbolico. C’è, ma non ha la portata giusta da bilanciare una trama che non scorre a ritmo calzante. L’incomunicabilità de “La forma dell’acqua” faceva da sostrato riflessivo alla narrazione, qui manca quell’elemento più profondo che inviti al pensiero lo spettatore, che quindi si abbandona alla trama, ma non ne viene trasportato;
- Lo scorrere degli eventi è un po’ il punto debole del film. La storia procede a ritmo altalenante, accelera e decelera come una macchina in mezzo al traffico, non riesce praticamente mai a prendere ritmo. Alcuni passaggi risultano troppo veloci, come l’affinamento dell’intesa tra Stanton e Molly o l’inganno della dottoressa Ritter. Altri invece sono decisamente troppo compassati, come l’apprendistato dell’illusionista nel circo o la sua ascesa come medium. Insomma, manca equilibrio nella trama e questo non sarebbe un problema in assoluto, perché il ritmo calzante non fa parte della cinematografia di del Toro. Ma a bilanciare questo incedere lento manca quella riflessione profonda, che di fatto ha sancito l’enorme successo de “La forma dell’acqua”;
- Il punto di forza de “La fiera delle illusioni” è senza dubbio il cast. Bradley Cooper è magnetico e intrigante nel ruolo del cinico illusionista, Cate Blanchett veste alla perfezione i panni della femme fatale. Ottime anche le figure femminili di Toni Collette e di Rooney Mara, anche se quest’ultima avrebbe meritato forse più spazio nel suo processo di allontanamento dall’amato. Sempre superbo Willem Dafoe, che riesce a farci simpatizzare anche per un uomo che di fatto cattura persone per la strada e le rende delle bestie;
- L’altro grande punto di forza del film è l’ambientazione. Le atmosfere del circo si sposano alla grande col sostrato fantasy e dark che permea tutta la cinematografia di del Toro e il regista messicano ha lavoro facile nel rendere al meglio l’atmosfera circense. Il cambio di location che il film vive dopo l’addio al luna park di Stan e Molly vizia un po’ l’atmosfera, che chiaramente cambia e s’indebolisce. L’elemento dark viene mantenuto dalla splendida Cate Blanchett, che si fa simbolo e portatrice di quel contesto deltoriano che riusciamo a riconoscere per tutto il film;
- Alla fine della fiera, per usare un gioco di parole che rimanga in tema, il nuovo lavoro di del Toro è un gran film, solo globalmente inferiore al precedente. Si guadagna la nomination agli Oscar, ma probabilmente (e magari sarà smentito, lo auguro al simpatico regista messicano) non guadagnerà la vittoria. Manca qualcosa per la consacrazione e forse la risposta globalmente sta nel fatto che “La forma dell’acqua” è tratto da una sceneggiatura originale, mentre “La fiera delle illusioni” ha dovuto fare i conti col precedente cinematografico del 1947 e soprattutto con quello letterario del 1946 e ciò ha limitato la resa finale.
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