after life
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Considerazioni sparse su "After Life", la serie di Ricky Gervais


Secondo voi, che cos’è la vita? Avete una risposta a questo interrogativo? E soprattutto, credete che sarebbe mai possibile realizzare un prodotto di intrattenimento audiovisivo a partire da questa domanda? Io credo che sia impresa quantomeno improba e che, nonostante questo elevatissimo coefficiente di difficoltà, Ricky Gervais - sceneggiatore, regista, attore e creatore di questo strambo viaggio - ci riesca benissimo. Ma non chiedetemi come.


- Ricky Gervais, dicevamo. Stand up comedian di eccezionale levatura, sapido e maledettamente umano, è qui un vedovo inconsolabile, dal dolore inscalfibile e dalla dolcezza disarmante. Deus ex machina di tutta quanta l’operazione, riesce, su uno schema abbastanza solido, a raccontare un pezzetto di vita di vari personaggi in un dato segmento di mondo (è un paesino inglese a fare da sfondo alle vicende). Giornalista di un gratuito quotidiano locale, riempie il racconto dei propri colleghi di redazione, degli sgangherati intervistati e di altri concittadini borderline che tanta pacifica affezione suscitano nello spettatore;

- Ecco, è incredibile come a partire sempre dallo stesso identico percorso - neanche stessimo parlando di un gioco da tavolo dalle opzioni finite - Gervais riesca a non annoiare (quasi) mai. I suoi personaggi sono poco più che bidimensionali nella scrittura e, conseguentemente, nella recitazione, ma non ci si stacca facilmente da questo mood narrativo allo stesso tempo interessante e rassicurante. Il ragazzo ciccione (senza alcun intento denigratorio) sembra sempre sul punto di imbeccare il momento di svolta nel suo percorso di crescita, ma non sembra veramente riuscirci, e in verità non è detto neanche che sia interessato a farlo, mentre l’occhialuta responsabile degli spazi pubblicitari del giornale potrebbe e dovrebbe trovare l’anima gemella da un momento all’altro, eppure... After Life colleziona profili sbilenchi e imperfetti e probabilmente la sua forza unica risiede proprio in questo: non mostra situazioni patinate e non “mente” come qualunque altro prodotto di finzione. After Life offre una sincera personale visione della vita, senza regalare risposte, ma provando, in maniera imperfetta, a ragionare su quesiti notoriamente irrisolvibili;

- Il lutto. È da qui che parte la narrazione della serie. L’amata moglie, compagna di vita e di scherzi del nostro amato Tony è venuta a mancare, dopo un matrimonio felicissimo e un amore granitico che resiste anche alla dissolvenza della materia, lasciando il nostro adorabile uomo politicamente scorretto alle prese con la mancanza. È un viaggio lungo quello del protagonista che passa per la rabbia, la tristezza più profonda e la consapevolezza. Il titolo stesso della serie spiega senza mezzi termini quale sia il tema della stessa: quella vita dopo la vita che può essere devastante, e che comunque, per bieco spirito di sopportazione, occorre affrontare. Il senza moglie, a volte, può apparire troppo compiaciuto della propria sofferenza, ma gli si perdona anche questo. Tutto ciò che lo contorna è così normalmente assurdo che vale la pena sopportare l’autocommiserazione messa in atto con così immarcescibile costanza;

- Ad essere onesti, poco altro da aggiungere se non si vuole virare decisi verso un trattato di filosofia per il quale, peraltro, non avrei le competenze. Però, e c’è un però molto positivo a mio avviso, tra le molte cose buone che questa serie fa una dovrebbe essere messa in evidenza più delle altre: sdogana, per quanto sia possibile sdoganare un soggetto che ha già all’attivo numerose epiche conduzioni dei Golden Globes e centinaia di spettacoli da tutto esaurito in giro per il mondo, Ricky Gervais. Lo sdogana dandogli la possibilità di accedere a quel grande pubblico che magari ancora non lo conosceva e che oggi ne apprezza la profondità e la libertà di pensiero e ne detesta la scurrilità. Pare, infatti, che vista in lingua italiana il turpiloquio abbia un effetto molto più fastidioso rispetto alla sua versione originale;

- Ed infine, il consiglio. Il consiglio che è quello di godersela con il cuore aperto e i dotti lacrimali disponibili. Sono episodi relativamente brevi - a malapena 30’ ciascuno - pieni dei colori delle case inglesi di provincia e delle birre british. Oltre che di amarcord personali che avranno sì l’effetto di farci empatizzare con l’uomo arrabbiato ed allo stesso tempo dolce, ma che in realtà, facilmente, appartengono all’universo misterioso e nascosto di tutti noi.

Autore

  • Mi diplomo al Centro Internazionale “La Cometa”, dopo un intenso triennio di studi, nell’ottobre del 2016, aggiudicandomi la patente dell’attore, del “ma che lavoro fai? “e di appartenente al gruppo “dei nostri amici artisti che ci fanno tanto ridere e divertire” (cit.). Appassionato di sport, ottimo tennista da divano, calciatore con discrete potenzialità in età pre puberale, se non addirittura adolescenziale, mi appassiono anche al basket Nba e alla Spurs Culture. Discepolo non riconosciuto di Federico Buffa, critico in erba, ingurgitatore di calorie senza paura, credo che il monologo di Freccia nel film di Ligabue sia bello, ma che Shakespeare ha scritto di meglio. Molto meglio. Mi propongo di unire i tanti puntini della mia vita sperando che alla fine ne esca fuori qualcosa di armonioso. Per me e gli altri.

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