Cosa significa l’operazione Vlahovic
Il passaggio di Dusan Vlahovic dalla Fiorentina alla Juventus, che a posteriori appare sempre più come un fatto ovvio, scontato e ineluttabile, alla fine sembra un'operazione capace di accontentare tutti. Tutti con l'eccezione di quella fetta di tifo viola poco avvezza agli studi di ragioneria, e più a suo agio nel brodo delle rivalità sportive, per la quale alla fine della fiera questa cessione a gennaio è uno smacco personale.
Naturalmente al pubblico mancano vari tasselli del puzzle, ma è facile capire perché questo passaggio "s'aveva da fare", almeno in termini economico-finanziari.
La Fiorentina, a fronte della volontà dell'attaccante serbo di non rinnovare il contratto in scadenza del 2023, massimizza la sua cessione del suo asset più prezioso al prezzo da lei fissato, persino leggermente più alto rispetto alle offerte di Atletico Madrid (70 milioni in estate, rifiutata dalla società) e di Arsenal (70 milioni a inizio gennaio, rigettata dal giocatore). E si libera di una patata bollente mediatica non da poco, oltretutto garantendosi subito almeno una parte importante di liquidità per il mercato estivo, senza rischiare la messa in stand-by fino a fine agosto di ogni operazione in entrata, in attesa delle decisioni del giocatore.
La Juventus, peraltro fresca dell'ennesima prova più che incolore del suo reparto avanzato nel match contro il Milan, rompe gli indugi e si assicura subito quello che al momento è il più forte e prolifico centravanti della Serie A, nella convinzione (o speranza?) che questa sia la soluzione decisiva per centrare l'obiettivo quarto posto e risolvere parte dei suoi problemi tecnico-tattici, giocandosi al contempo un all-in economico che viene da chiedersi se sia davvero tale.
E il giocatore? Aspetto più nebuloso questo, anche perché le manovre dietro le quinte dei suoi agenti rimangono tutt'ora avvolte nel mistero, e l'unica volontà certa e confermata espressa da Vlahovic o dai suoi tramiti era quella di non rinnovare. Si può andare per ipotesi, che vertono su vari aspetti: andare alla Juve è restare relativamente in "comfort zone", in un campionato dove ha dimostrato di essere dominante; andare alla Juve è decisione figlia di un accordo che esiste già da tempo, accordo magari decorato da ricche commissioni per l'agente garantite dalla società bianconera; andare alla Juve è una semplice questione di appeal e di garanzia di centralità, in un contesto in difficoltà ma che in termini assoluti è di un altro livello rispetto alla Fiorentina e non solo. Oppure andare alla Juve è l'uovo oggi piuttosto che la gallina della Premier o della Liga a giugno, dal momento in cui la società di Commisso non ha fatto mistero di gradire una sua partenza immediata e dal momento che la Juve, "rimessa in salute" dall'aumento di capitale, decideva di rompere gli indugi e assicurarsi il giocatore prima di veder spuntare troppe rivali interessate (nonché di veder la stagione compromessa con un mancato piazzamento Champions).
Ribadiamo: sul piano strettamente finanziario, la Fiorentina prende tutto il prendibile da una situazione forse figlia di quell'idea malsana, circolata due estati fa, di prendere tempo su Vlahovic, ancora lontano dalla scadenza e non ancora sbocciato. Si parlò di prestito, poi Iachini chiese di tenerlo, ma sostanzialmente come alternativa a Cutrone e Kouamé. Ci volle la pur disastrosa gestione Prandelli per vederlo messo al centro dell'attacco viola, e vederlo poi segnare nell'arco di quindici mesi 38 reti. Praticamente, metà delle marcature totali della compagine gigliata nello stesso periodo.
Il grande quesito, da sponda viola, ora è proprio questo, che non si può comunque seppellire sotto le ineluttabili ragioni dei bilanci e del progetto. Ovvero: cosa sarà la squadra di Italiano senza Vlahovic? Per carità, la bontà del lavoro dell'allenatore di Karlsruhe è lì, sotto gli occhi di tutti, e quella della separazione tra l'attaccante serbo e la compagine viola era un fatto che al massimo poteva solo esser posticipato di qualche mese. Ma dire che la cessione del serbo non avrà conseguenze sul campo è più un atto di fede o una fase di negazione, piuttosto che una visione lucida del breve termine.
La Fiorentina cede il suo giocatore più forte a metà stagione, e deve chiudere il suo sostituto, sembra ad ora che scriviamo individuato in Arthur Cabral del Basilea, oltre nel già arrivato Piatek. Che questi innesti bastino per compensare la perdita di Vlahovic è da vedere, poi che i tifosi se lo augurino è normale ma è altra questione.
Il peso avuto da Vlahovic nell'ultimo campionato e mezzo è evidente, ed è riduttivo dire che il suo rendimento sia dipeso solo dall'eccellente impianto di gioco messo su da Vincenzo Italiano. Il rapporto è biunivoco, e negare questo fatto è comico. Tantopiù se lo si argomenta dicendo "ma a Venezia la Fiorentina ha perso e c'era Vlahovic". Perché se si va a spulciare rapidamente, in questa stagione ancor più della precedente un dato emerge: la Fiorentina sì, perde anche con Vlahovic, ma la Fiorentina non vince se Vlahovic resta a secco. Una sola volta è accaduto: Genoa-Fiorentina 1-2, reti viola di Saponara e Bonaventura.
Di contro, la sconfitta contro l'Empoli è l'unica fra le 8 collezionate dai viola dove Vlahovic è andato a segno, peraltro con un'azione da lui prima innescata e poi finalizzata, su rifinitura di Callejon. Inter, Juventus, Lazio, Torino ecc., tutte gare dove per un motivo o l'altro le avversarie sono riuscite a disinnescare il serbo, tutte gare dove la Fiorentina è uscita con le ossa più o meno rotte, dopo aver visto rendere sterili le sue classiche lunghe fasi di gestione della palla.
In sintesi: Vlahovic è andato a segno in 12 partite, nelle quali la Fiorentina ha raccolto 31 punti. A secco o assente in 10, la Fiorentina ne ha raccolti 5. A termine di paragone, la Lazio - con una gara in più - ha conquistato 13 punti su 36 nelle dieci gare dove Immobile, anche lui a quota 17 reti come Vlahovic, non ha segnato (ma stiamo contando anche il derby vinto, dove Immobile ha siglato due assist). Questo non vuol dire che l'attaccante nativo di Belgrado abbia poteri taumaturgici, e possa con la sola imposizione della mani risolvere i tanti problemi della Juventus. Ma in fondo, questa è questione che dovrebbe interessare solo alla sponda bianconera del tifo. In casa viola, restano i numeri di sopra, e a come da un lato la società, e dall'altro Italiano, porranno rimedio.
La partita di Cagliari finita 1-1 aveva un valore non da poco proprio perché, dopo la scorpacciata di reti contro il Genoa, sarebbe stata la prima dei gigliati senza il serbo. Un assaggio del futuro. Le risposte non sono state granché soddisfacenti, senza per questo tirare la croce addosso a Piatek, che pur non essendo apparso molto a suo agio nello svolgere ruolo e compiti da attaccante associativo, spesso spalle alla porta, qualcosa di buono comunque ha fatto. Ma il futuro senza Vlahovic, per Italiano e la Fiorentina, è adesso.
Qualche riflessione sul lato Juventus, al di là della valutazione tecnica fatta dai dirigenti piemontesi di dover intervenire subito sull'organico, smentendo per l'ennesima volta le loro stesse scelte di pochi mesi prima. La società bianconera, al netto del caso plusvalenze, del rosso stratosferico dell'ultimo bilancio, di un indebitamento netto elevatissimo, continua a far saltare il piatto del calciomercato, contro ogni analisi finanziaria e inchiesta giornalistica o di altri enti preposti. Evidentemente, per la casa madre bianconera tutto questo non è ancora un problema. In un'annata dove il Milan, che con la gestione Elliott ha fatto del contenimento delle perdite un mantra, ha perso a zero Donnarumma e sembra rassegnato a perdere Kessié, dove l'Inter si è ritrovata costretta a cedere Lukaku e Hakimi per garantirsi le famose liquidità, di cui solo una piccola quota reinvestite sul mercato, dove persino la stessa Juve si è portata Dybala a scadenza di contratto, eccoci alla fine della sessione di gennaio con 75 milioni gettati sul piatto.
Il ds viola Daniele Pradé, andando ai microfoni di Sportitalia, fissava pubblicamente a non meno di 70 milioni senza dilazioni il prezzo di Vlahovic, a gennaio o a giugno. Convinzione generale e diffusa, anche da parte di stampa e addetti ai lavori, era che questo equivaleva a tagliare fuori i bianconeri, privi di una simile disponibilità. Tre ore dopo, Vlahovic era virtualmente un giocatore della Juventus. Chi scrive sarà malizioso, ma dietro tante chiacchiere e tanti propositi, alla fine è difficile non notare la somiglianza di quella dichiarazione a una televendita di Giorgio Mastrota. E, soprattutto, è difficile non notare come, dietro tante lamentele sul potere degli agenti, la crisi del pallone, la necessità di riforme e nuove regole sui campionati, competizioni internazionali e compagnia bella, alla fine i padroni del vapore il denaro lo hanno sempre e in questo meccanismo ci pescano a piene mani. E gli va bene così, telefonare a Belgrado per ulteriori info. O magari a Tetovo, Macedonia del Nord, luogo che ha dato i natali al possibile innominato della situazione, Fali Ramadani.
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