No vax, no rules. La più triste delle vittorie di Djokovic.
Novak Djokovic non ha deciso di vaccinarsi eppure non dovrà rinunciare a difendere il titolo in Australia. É davvero una vittoria per il serbo?
Ha vinto Djokovic. Detta così, quando si parla di tennis, non sembra nemmeno una notizia. Alle vittorie di Nole ci siamo tutti più che abituati, ci siamo assuefatti, quasi stufati dalla regolare precisione con la quale il serbo annienta i suoi avversari, polverizzando record su record che hanno senza dubbio riscritto la storia del tennis.
Ma questa volta Novak Djokovic ha vinto senza nemmeno impugnare una racchetta, ha vinto senza dover nemmeno dare prova di ciò che sa fare divinamente, perché ha vinto fuori da un campo da tennis, e ad essere annichilito questa volta non è il solito malcapitato avversario, ma le regole imposte per la partecipazione allo Slam australiano.
Se c'era una cosa per cui l'organizzazione australiana aveva saputo farsi apprezzare era proprio la seria osservazione delle regole per il contenimento del contagio, già messe in atto nella più grave situazione in corso durante l'edizione 2021, per la quale ai giocatori erano stati costretti a formare una ferrea bolla settimane prima dell'inizio del torneo, per preservare la situazione sanitaria del paese. A farne le spese era stato per esempio Andy Murray il quale era faticosamente riuscito ad ottenere una Wild Card per l'Happy Slam, mai sfruttata, a causa proprio di un tampone positivo quasi un mese prima dell'inizio della competizione, che aveva impedito la partecipazione allo scozzese (un campione slam, ex numero 1 al mondo, non proprio uno qualunque), proprio a causa dell'impossibilità di partire per tempo per la bolla australiana.
Il messaggio sembrava chiaro: “qui si fa così” ed è quindi naturale che, quando a novembre il direttore dello Slam australiano Craig Tiley aveva annunciato l'obbligo vaccinale per partecipare al torneo, il primo pensiero di chiunque era andato a Novak Djokovic e alla scelta che si presentava all'orizzonte per il campione serbo.
Il 2021 di Nole, in particolare, ha dimostrato (se mai ce ne fosse bisogno) la sua ossessione per i tornei major arrivando addirittura a sfiorare, senza però ottenere, il sogno di completare il Calendar Grand Slam, rovinato da Medvedev nella finale degli US Open. Nole ormai gioca quasi per un unico obiettivo: battere il record, che oggi condivide con Federer e Nadal, di vittorie nei quattro principali tornei del circuito, che sono praticamente gli unici ai quali ha partecipato in modo competitivo. Naturalmente batterlo non gli basta. Vuole distruggerlo.
Quanto sia importante per Djokovic partecipare all'AO è quindi tranquillamente ovvio ma, d'altro canto, senza stare a riesumare le discutibili dichiarazioni del serbo (che quando si espone su questioni “politiche” spesso si mostra molto più in difficoltà rispetto a quando gioca a tennis), è altrettanto chiaro quanto la scelta di vaccinarsi contro il Covid non fosse proprio la sua preferita.
Dunque a cosa rinunciare: alle sue convinzioni (e apparentemente alla sua “libertà”, almeno stando a quanto dice lui) o alla chance di scrivere in modo ancora più indelebile il suo nome nella storia?
A nulla, a quanto pare.
Novak Djokovic non ha scelto di vaccinarsi ma, nello stesso tempo, Novak Djokovic parteciperà agli Australian Open. Come è possibile? Per il numero uno al mondo è stata concessa una “esenzione medica” al vaccino, che gli consentirà di partecipare al torneo pur senza aver svolto quello che, nel regolamento, doveva essere una condizione necessaria. Con una foto che trasuda la trofia soddisfazione di chi l'ha fatta franca, è lui stesso ad annunciarlo sui suoi social, dove spiega che sta andando in Australia grazie ad un permesso.
Un permesso per cosa? A spiegarlo non è nemmeno lo stesso Tiley (lo stesso che aveva dichiarato "non faremo alcuna eccezione per Djokovic") o l'organizzazione degli AO, che taglia corto, nel suo comunicato, parlando di richiesta accolta in seguito ad una “rigorosa analisi medica” della quale, però, non è dato sapere nulla di più. Che il più forte tennista del mondo, che oltretutto si è apertamente schierato contro i vaccini, abbia problemi di salute che gli impediscano di vaccinarsi, è un'ipotesi quantomeno improbabile e, questa assenza di giustificazioni, sicuramente non aiuta a far chiarezza sulla vicenda.
Che messaggio passa quindi? Il peggiore possibile. Passa il messaggio che le regole valgono per tutti, a meno che tu non sia il numero 1. Oppure passa il messaggio che per giocare lo Slam australiano serve il vaccino, sì, a meno che tu non faccia richiesta, e allora di fatto quest'obbligo è fittizio.
Che cosa pensare poi di quei tennisti che saranno eventualmente esclusi dal torneo perché non vaccinati? (Come è per esempio già accaduto all'indiano diciassettenne Dahiya, costretto al ritiro dagli AO junior perché l'India non ha ancora vaccinato gli under 18) Ma soprattutto, che cosa pensare alla fine di un eventuale successo di Djokovic proprio in questo torneo? Che valenza avrebbe uno Slam numero 21, quello della leggenda, quello del definitivo sorpasso a Roger e Rafa, vinto in barba ad un regolamento aggirato senza nemmeno troppa fatica?
E poi che figura ci fa l'organizzazione degli Australian Open, disposta a negoziare le sue regole, sacrificandole pur di avere in tabellone il pezzo più pregiato del circuito?
L'impressione è che da questa vicenda non ne esca veramente bene nessuno e che, più in generale, sia una pagina triste del tennis e dello sport, in cui qualunque successo potrà facilmente passare in secondo piano, facendo spazio ad un discorso più ampio.
Forse oggi ha vinto Djokovic, che ha ottenuto tutto senza dover rinunciare a nulla. Forse hanno vinto gli australiani, che potranno sventolare la presenza del numero uno e forse far da teatro ad uno dei momenti storici di questo sport. Forse.
Forse in realtà stavolta hanno proprio perso tutti.
Ti potrebbe interessare
Dallo stesso autore
Newsletter
Iscriviti e la riceverai ogni sabato mattina direttamente alla tua email.