Storia di un criminale che vinceva in regola
Nella Moldavia post-sovietica, un temutissimo gangster moldavo prese il controllo di una piccola squadretta di Chisinau, il Constructorul, e la rese grande senza ricorrere ad intimidazioni o sotterfugi.
Questa storia comincia in Moldavia. Comincia a Chisinau (o Kishinev, per i russofoni). Comincia dopo che l’ex Repubblica Sovietica si è liberata dal giogo dell'oppressore comunista, ma è sprofondata in una crisi economica senza precedenti, peraltro aggravata dal conflitto intestino sviluppatosi tra l’esercito moldavo ed i ribelli indipendentisti della Repubblica di Pridniestrov; colpa della stupidità delle autorità moldave: un gruppo di ottusi burocrati che, ottenuta l'indipendenza, non solo entrò in aperto conflitto con la Transnistria, ma volle addirittura immediatamente far aderire il Paese al libero mercato, senza assicurarsi, però, che il management industriale vi fosse adeguatamente preparato. Entrambe le decisioni si rivelarono devastanti per la fragile economia moldava.
Decine di fabbriche si videro costrette a chiudere, impossibilitate a competere con le più avanzate e moderne catene di montaggio occidentali. E gli operai, finiti in mezzo alla strada, cominciarono a ricorrere a qualsiasi sorta di espediente pur di tirare a campare: incluso rubare i pesanti coperchi dei tombini cittadini approfittando del favore delle tenebre.
Già, le tenebre. A Chisinau le tenebre calavano presto nei rigidi mesi invernali di quegli anni, un po' perché l'amministrazione moldava non godeva nemmeno dei fondi sufficienti a garantire l'illuminazione pubblica, un po’ perché l'energia elettrica veniva fornita alle abitazioni soltanto in determinate fasce orarie, costringendo i ragazzi a studiare a lume di candela.
Come è logico ed arci-noto, è proprio approfittando di questo genere di miserie che la mafia riesce a rafforzarsi, e tra tutti coloro che la contattarono per domandare prestiti, aiuti e favori, o peggio ancora, la avvicinarono per commettere reati, ci fu anche il presidente di una piccola squadretta di terza divisione, affiliata ad un moribondo cementificio capitolino.
Il suo nome era Valery Gorokhov e oggi Gorokhov ricorda così lo scenario con il quale la popolazione moldava, all’indomani della dissoluzione dell’U.R.S.S., fu costretta a fare i conti: «non appena l’Unione Sovietica si sciolse, tutti noi piombammo nel baratro. Di colpo, smettemmo di lavorare. Del resto, lo stabilimento industriale per cui ci alzavamo ogni mattina di punto in bianco non ricevette più alcun ordine da soddisfare e se avessimo mantenuto i suoi impianti in funzione avremmo soltanto incrementato le perdite. La nostra fabbrica si stava avviando dritta, dritta al fallimento, ma desideravamo almeno salvare la nostra squadra di calcio. Perciò, cominciammo a cercare nuovi investitori, e lo facemmo ovunque potessimo. Sapevo che Valeriu Rotari, detto “il verde”, da bambino aveva giocato a calcio, quindi decidemmo di contattare anche lui. Lo incontrammo, gli chiedemmo aiuto e lui ce lo fornì».
Il primo contatto di Rotari con la squadra
L'ingresso di Rotari in società avvenne il 1 marzo 1993. Da quel momento in avanti, i dilettanti calciatori del cementificio cominciarono ad essere seguiti da un vero e proprio allenatore ed iniziarono a ricevere importanti somme di denaro a cadenza, più o meno, regolare.
L'attaccante Alexander Skrupsky, che giocò per i bianco-verdi per ben 8 anni, non ha mai dimenticato il giorno in cui "il verde" fu annunciato alla squadra: «lo ricordo come se fosse ora. Eravamo intenti a ridere e scherzare tra di noi all'interno dello spogliatoio, quando Gorokhov, il nostro presidente, entrò nella stanza e ci disse, "ragazzi, sedetevi, c'è qualcuno che vuole parlare con voi". Noi, ignari di tutto, obbedimmo. Ci sedemmo ed attendemmo in silenzio, finché uno sconosciuto non fece capolino dalla porta e ci annunciò che da quel momento in poi saremmo stati a tutti gli effetti una vera e propria squadra. Ricordo che non riuscimmo a capire. Che genere di squadra? Ma soprattutto, non eravamo già una vera e propria squadra? Ma quell'uomo, incurante delle nostre perplessità, continuò a parlarci e ci informò che da quel preciso istante avremmo dovuto allenarci seriamente, perché avremmo presto ottenuto un nuovo allenatore e delle nuovissime uniformi. Ed in effetti, presto ci presentarono il coach e ci consegnarono le nuove divise. Ma non è tutto, cominciarono anche a versarci regolarmente lo stipendio. La cosa ci sembrò talmente strana che decidemmo di svolgere delle indagini più approfondite in merito e fu così che scoprimmo chi - e che cosa - rappresentava “il verde”».
Rotari, un "Vory v Zakone"
Ebbene, “il verde” era un uomo dalla doppia vita: ufficialmente, era uno stimato ed amato imprenditore, titolare di un casinò e di una grande catena di ristoranti, ma chi lo conosceva bene sapeva che in realtà era uno dei temutissimi “vory v zakone” (“ladri nella legge”, ovverosia, capi della mafia russa) che si spartivano le diverse tipologie di business criminosi in corso nella capitale. L'unico tra i più rispettati (tra i quali figuravano anche Petru Gîlcă, detto “Micu”, Evghenii Grișcenco, noto come “Jeka”, Vladimir Moscalciuc, a.k.a. “Makena”, Veaceslav Grigoriev, conosciuto come “Șket” ed Ivan Gușan, ribattezzato il “Patron”) ad essersi guadagnato il titolo senza alcuna effettiva cerimonia di investitura.
Dopo che i calciatori del Constructorul lo scoprirono, si consultarono tra loro per decidere il da farsi. Qualcuno, mosso dalla coscienza interiore, pensò di abbandonare il club, ma alla fine, nessuno di loro decise di rifiutare la grande opportunità che il boss del gioco d’azzardo e delle scommesse clandestine di Chisinau gli stava fornendo.
Del resto, non ne avevano davvero motivo. E poi, Rotari non sembrava minimamente intenzionato a ricorrere ad alcun metodo intimidatorio nei loro confronti. Anzi, con tutti i suoi giocatori, il gangster si dimostrò immediatamente molto disponibile e presente, quasi troppo, a dispetto di tutti quei cliché che dipingono i malavitosi come persone violente, insensibili e spietate.
Ad esempio, il difensore Eric Ococo, che militò nel Constructorul dal 1996 al 2000, a proposito di Rotari disse: «nessuno all'interno del club lo chiamava “verde”. Lo chiamavamo tutti Valeriu Grigorievich, oppure “nonno”. E diciamo che lui si comportava veramente come se fosse nostro nonno. Dico davvero, senza esagerare. Spesso funzionava in questo modo. Entravamo negli spogliatoi, ci cambiavamo e ci preparavamo per l'allenamento, ma prima di dare il via alle danze aspettavamo che il nostro boss fosse giunto sul posto. Rotari possedeva anche l'ultima parola sulla formazione titolare. Era genuinamente interessato al club e proprio per questo era anche molto severo. Spesso ci rimproverava quando le cose andavano male, ma è anche vero che era sempre disposto ad aiutarci. Molti miei compagni ricevettero in dono degli appartamenti da lui, ad esempio. Inoltre, era anche un ottimo psicologo. Riusciva a leggere la mente delle persone come pochi altri e spesso amava ripetere che “le brutte persone non possono diventare calciatori professionisti, solo quelle buone”».
Valeriu, come tanti altri capimafia, possedeva una spiccata duplice morale. Forse non manteneva santini nel proprio portafoglio, né appendeva quadri ad immagine religiosa al di sopra del proprio capezzale, ma amava raccontare in giro che tutto ciò che faceva, lo faceva a fin di bene e che anche in qualità di presidente del Constructorul, il suo scopo non era soltanto quello di portare in alto il club, ma era anche quello di aiutare gli altri.
Precisamente, Valeriu amava ripetere che aveva accettato di finanziare la società all’unico scopo di allontanare i bambini dalle logiche del malaffare (le stesse che da giovane gli avevano impedito di diventare un calciatore professionista, nonostante ne avesse avute tutte le potenzialità). Affermazioni che assomigliavano a vere e proprie mezze verità.
In realtà, infatti, è molto probabile che, almeno inizialmente, il boss della malavita moldava desiderasse esclusivamente utilizzare il calcio per accrescere la propria influenza sulla popolazione e che solo in un secondo momento abbia iniziato ad anteporre l'interesse per la propria squadra a quello della "bratva".
Ciò che è certo, comunque, è che verso la metà degli anni novanta Rotari non si accontentò più che il Constructorul fosse considerata una poco più che valida alternativa alla vodka dai tanti lavoratori che ogni giorno rincasavano esausti dalle fatiche nei campi. Rotari cominciò a desiderare che la propria società diventasse una delle formazioni più temute di Moldavia. E fu per questo che, quando gli si presentò l'opportunità di aggiudicarsi i migliori giovani calciatori locali, spalancò il proprio portafoglio senza badare a spese.
Lo confermano anche le dichiarazioni rilasciate qualche anno più tardi dal centrocampista Victor Komlenok, che, interpellato a proposito del proprio approdo al Constructorul, disse: «avevo appena 17 anni quando il nostro direttore tecnico mi chiamò per dirmi che aveva ricevuto un'offerta da parte del Constructorul. Sapevo già chi era “il verde” e che tipo di club fosse il suo, ciò nonostante, impiegai davvero ben poco tempo a decidere. Due giorni forse. Me la raccontai in questo modo: “tanto è solo per giocare a calcio, mica devo commettere qualche reato”. Oltretutto, all'epoca, nelle riserve dello Zimbru, percepivo soltanto 35$ al mese, mentre il Constructorul me ne prometteva 220$. Cifre spaventosamente alte, che non potevo certamente permettermi di rifiutare».
I primi successi del Constructorul
Nel corso degli anni, Rotari investì tanti soldi in cambio di talento, ma non li spese male ed i risultati, quindi, non tardarono ad arrivare. Nel primo anno alla guida del club, la società vinse la terza divisione moldava, poi, l'anno successivo, si guadagnò la promozione nella massima serie, infine, al debutto in Divizia Naţională, giunse terza, aggiudicandosi per la prima volta la Coppa di Moldavia e, con essa, il diritto di partecipare alla successiva edizione della Coppa delle Coppe. Fu un successo straordinario, ottenuto, oltretutto, senza ricorrere ad alcun tipo di minaccia, “combine” o sotterfugio: qualcosa di raro nella Moldavia dell'epoca.
La campagna sportiva seguente si aprì nuovamente nel migliore dei modi, e si concluse ancora meglio, con la vittoria del campionato nazionale 1996-97. Il club, infatti, nel turno preliminare di Coppa delle Coppe sconfisse gli israeliani dell'Hapoel Rishon LeZion (approfittando della regola che attribuiva maggior peso ai gol segnati in trasferta), ed anche se nei successivi sedicesimi di finale non riuscì ad imporsi sul fortissimo Galatasaray della coppia d'attacco Hagi - Hakan Şükür, da lì in avanti intraprese una lunga cavalcata in campionato che si concluse soltanto con uno strameritato, quanto anticipato, trionfo. Merito di un sapiente mix di talento ed esperienza, ma soprattutto, merito del nuovo coach e degli importantissimi rinforzi che Rotari seppe portare in dote alla squadra ad inizio stagione.
Severo ma disponibile
Si dice che Rotari sia stato particolarmente duro ed esigente con la propria squadra quell'anno, soprattutto quando cominciò a capire che quest'ultima avrebbe potuto davvero aggiudicarsi il titolo. Pare anche, tuttavia, che nel corso di quella splendida stagione “il verde” non abbia fatto ricorso soltanto al “bastone”, ma che seppe sapientemente somministrare ai propri giocatori anche la "carota".
Lo si evince, ancora una volta, dalle parole pronunciate da Victor Komlenok, che in passato descrisse così la reazione che Rotari ebbe dopo una risicata vittoria del suo Constructorul ai danni del Balti: «Vincemmo, ma secondo “il verde” giocammo male e continuò a ribadircelo per un'ora. Poi venne da me e mi disse "tu, Komlenok, sarai mai stato colpito in vita tua? Saltelli ogni volta!". Ebbene, aveva ragione. Dato che ero molto esile, toglievo sempre il piede quando qualcuno cercava di intervenire su di me. Più che altro per evitare che me lo rompessero. Tuttavia, quando Rotari mi fece quella domanda, pensai bene di non ammettere la verità, bensì, di mostrargli i lividi e le escoriazioni che avevo riportato sulle braccia, in modo da convincerlo che avevo dato il massimo. La cosa a quanto pare funzionò, perché Valeriu mi allungò 100$ e mi disse "per te, dal “verde”. Naturalmente, gli altri ragazzi si infuriarono con me, ma a torto, perché in generale lui era molto ben disposto verso tutti. Rotari aiutava finanziariamente anche i nostri parenti. Devo dire che c'era una montagna per noi, a patto che ci fossimo dimostrati professionali».
"Soldi, non parole"
Di base, Rotari pagava degli stipendi molto alti ai suoi calciatori, ma per premiare il merito e la professionalità, aveva anche escogitato un rigido sistema di bonus in denaro da corrispondere tutte le volte che la squadra avesse raggiunto determinati obiettivi.
Al Constructorul, dunque, lo stipendio non era mai composto soltanto da una cospicua parte fissa, ma anche da un altrettanto importante componente variabile, e questo perché "il verde" aveva correttamente compreso quanto, nella Moldavia post-sovietica, le tipiche strategie di team-building occidentali contassero zero, quantomeno messe a confronto col dio denaro.
“Soldi, non parole”, questo era il pensiero predominante del Rotari dell'epoca, e proprio per questo, di tanto in tanto, Valeriu elargiva ai propri calciatori anche delle piccole somme di denaro per ragioni apparentemente futili e non strettamente legate al calcio. Per l'ennesima volta, fu Eric Ococo a fornire un divertente aneddoto in proposito: «Una volta, dopo essermi fatto una doccia, una delle guardie del corpo del presidente mi chiamò al proprio cospetto. Andai da quest’uomo ancora avvolto negli asciugamani e lui mi allungò del denaro. Ora non ricordo quanto, ma sono certo che fosse una quantità di tutto rispetto. Mi meravigliai e gli chiesi come mai mi stava consegnando quei soldi e lui mi rispose che avevo il taglio di capelli giusto per comunicare all'esterno l’immagine che il club voleva dare di sé».
Qualunque fosse l'immagine che il club volesse fornire al pubblico di sé, essa finì irrimediabilmente per scontrarsi con la dubbia fama del suo presidente e delle persone che, nel corso degli anni, cominciarono puntualmente a radunarsi sugli spalti quando il Constructorul giocava tra le mura amiche.
Non tutti erano amici del “verde”, molti erano “amici degli amici” del “verde”: gente dall’aspetto poco rassicurante, losco ed inquietante, per lo più, appartenente al sotterraneo mondo del crimine moldavo. Fu in questo scenario che accade un fatto estremamente curioso. Durante una partita di campionato come tante altre, presumibilmente tenutasi tra il 1997-98 ed il 1998-99 (stagioni in cui il Constructorul terminò la competizione, rispettivamente, al terzo ed al secondo posto) un forte boato proveniente dal parcheggio situato all’esterno dell’impianto di gioco richiamò l'attenzione di ogni persona presente sugli spalti.
Tutti i gangster più in vista, temendo di essere sotto attacco, si affrettarono verso le uscite di sicurezza del Republican Stadium di Chisinau (sia per assicurarsi un’eventuale via di fuga, sia per scoprire che cosa stesse realmente accadendo). Ma in verità, non stava succedendo niente di allarmante. Giunti nell’area di sosta, infatti, i criminali, armati dalla testa ai piedi, trovarono soltanto lo sfortunato autista del pullman rivale, intento a rotolarsi a terra dal dolore: si era ustionato nel vano tentativo di riparare il guasto occorso al mezzo.
Immaginatevi la scena: il poveretto, in preda al panico, che in fretta e furia spunta dal sotto-scocca di una sgangherata e malridotta corriera in cerca di soccorso, ma si trova improvvisamente decine di armi da sparo puntategli contro. Quando i malviventi realizzarono che non c'era niente da temere, tirarono un profondo sospiro di sollievo e scoppiarono a ridere fragorosamente.
Il declino
Ma le risate di quel giorno, avrebbero presto lasciato spazio ad un fiume di lacrime. Agli albori del nuovo millennio, infatti, le forze dell’ordine moldave, nel tentativo di estirpare il crimine organizzato dalla capitale, arrestarono Ivan Gușan, uno dei più importanti "vory v zakone" attivo nel Paese. E' possibile che quella mossa facesse parte di un preciso piano diretto a seminare zizzania tra le diverse bande armate operative a Chisinau, ma non ve ne è certezza. Di sicuro, però, quel provvedimento creò un pericoloso e gigantesco vuoto di potere in città.
Alcune organizzazioni entrarono immediatamente in conflitto tra loro per riempirlo, ed il primo pezzo grosso a farne le spese fu Evghenii Grișcenco, detto “Jeka”, prelevato da un manipolo di malviventi in tute mimetiche e passamontagna proprio di fronte ad una delle strutture del Constructorul.
L'esecuzione di "Jeka", ritrovato qualche ora dopo nel bel mezzo di un giardino pubblico, esanime e con una pallottola conficcata nel cranio, fu solo un antipasto dell'escalation di violenza che di lì a poco avrebbe colpito tutto il Paese: molto presto, infatti, la stessa sorte sarebbe toccata a Rotari.
Avvenne la fredda notte del 16 febbraio 2000, quando una raffica di colpi d’arma da fuoco raggiunse, anzi, investì, l’automobile a bordo della quale il 53enne presidente del Constructorul stava viaggiando assieme alle sue fedeli guardie del corpo: Ion Gancu e Vasile Cartera. Il “verde” stava rientrando a casa dopo aver trascorso la serata nel suo casinò, ma non giunse mai a destinazione. Perse la vita sul colpo, in Drumul Viilor str., e dopo la sua scomparsa niente fu più lo stesso all'interno del suo quartier generale.
Il Constructorul, privo del suo boss, inanellò alcuni brutti risultati e prima di sprofondare per sempre nell'anonimato, fece appena in tempo a regalare ai suoi tifosi un'ultima, inattesa gioia. Protagonista ne fu Boicenco, che con una rete segnata nel finale, riuscì a fare in modo che la sua società si aggiudicasse l'ultima Coppa di Moldova della sua storia: un ultimo successo che venne agguantato e celebrato in onore "verde".
La vittoria in Coppa di Moldavia diede al club anche un'ultima possibilità di misurarsi col più forte e blasonato calcio europeo, ma quell’ultima partecipazione in Coppa Uefa, invece di recare ulteriore lustro al club, finì per macchiare indelebilmente il suo ricordo.
Durante lo scontro che contrappose il Constructorul al CSKA Sofia, infatti, Larisa Nefiodkina, vedova di Valeriu, e sua figlia Elvira, dopo aver assistito all'assegnazione in favore degli ospiti di un calcio di rigore a lor giudizio palesemente inesistente, accusarono la terna arbitrale di essersi intascata 10000 dollari per favorire i bulgari.
Di fronte alle loro lamentele, il quarto uomo e gli arbitri rimasero impassibili, e così, dopo un rovente post-partita ricco di minacce, un dirigente del Constructorul decise di passare dalle parole ai fatti: seguì uno dei guardalinee fino all'hotel in cui pernottava e gli puntò la pistola contro.
Fu un atto fortemente intimidatorio che valse alla società la temporanea squalifica da tutte le competizioni internazionali. Fu un atto che Rotari, criminale sì, ma soltanto al di fuori del calcio, non avrebbe mai compiuto. Fu un atto che Larisa ed Elvira pagarono a caro prezzo.
Dopo quell’episodio, infatti, persa ormai ogni rimanente briciola di credibilità all'interno dello spogliatoio, le due donne rimasero al timone del club ancora per un'ultima stagione, poi cedettero le proprie quote ad una cordata di imprenditori pridnestroviani intenzionati a trasferire la società dapprima a Cioborciu ed infine a Tiraspol.
Il resto è storia recente. Il club venne ridenominato Constructorul Cioborciu nel 2001-2002, poi venne ribattezzato F.C. Tiraspol al termine della stagione successiva. Infine, diventato ormai una succursale del potente Sheriff, venne sciolto all'improvviso, nell'estate 2015, cancellando ogni residua testimonianza dell'unica opera buona compiuta da Rotari nel corso della sua breve, ma "ambigua" esistenza.
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