Intervista a Paolo Di Francesco, uno dei tre magazzinieri licenziati dall'Inter
L'1 Novembre, nel giorno dell'annuncio del rinnovo di Lautaro Martinez, tre storici magazzinieri dell'Inter sono stati licenziati. Abbiamo avuto il piacere di scambiare due chiacchiere con uno dei tre, Paolo di Francesco, che ringraziamo di cuore.
Tre lavoratori, tre magazzinieri storici di casa Inter, sono attualmente senza lavoro e le loro mansioni sono state esternalizzate. Questa assurdità economica - si parla di una retribuzione annua lorda di circa 25.000 euro a magazziniere, per un totale di 75.000 euro lordi l'anno per tutti i tre - ed umana, è avvenuta ufficialmente dal 1 Novembre di quest'anno, ma cosa intendiamo esattamente quando parliamo di esternalizzazione?
L'esternalizzazione è il trasferimento di servizi e funzioni interni a un'azienda a fornitori esterni. E' il processo attraverso il quale le aziende parcellizzano la propria struttura delegando ad altre aziende segmenti del proprio processo produttivo, con l'obiettivo di frantumare numericamente la presenza di lavoratori all’interno della stessa azienda con un inquadramento normativo inserito in uno stesso contratto. Questo metodo porta licenziamenti a pioggia, nonché un gioco al ribasso delle condizioni lavorative.
"Per abbattere il costo del lavoro – e di conseguenza i diritti e le tutele dei lavoratori –, grandi e medie imprese si avvalgono delle catene del subappalto, spesso affidate a cooperative e consorzi, i quali, godendo di una legislazione fiscale vantaggiosa, risultano più competitivi nell’ottenimento delle gare d’appalto, con il risultato che, nella migliore delle ipotesi, vengono negati solo i contratti collettivi nazionali, mentre sempre più di frequente l’intera organizzazione del lavoro rasenta la schiavitù" (Marta Fana - ricercatrice esperta di mercato del lavoro ed autrice di libri quali "Basta Salari da Fame" e "Non è lavoro è sfruttamento").
Ho raggiunto allora Paolo di Francesco, uno dei magazzinieri licenziati, per chiedergli della situazione.
Caro Paolo, buongiorno e grazie innanzitutto. Partiamo dall'inizio. Da quanto lavoravate all'Inter? E cosa significava, per voi, farlo per la vostra squadra del cuore?
"La mia esperienza lavorativa parte nel 2010, l’anno del Triplete, inzialmente con un contratto a termine di un anno, successivamente assunto a tempo indeterminato nel 2011 sempre con la gestione Moratti. Per un tifoso interista che da bambino andava a vedere le partite a San Siro, lavorare per la propria squadra del cuore è una soddisfazione immensa"
Moratti, Thohir e Zhang. Qual è la percezione che avete avuto dall'interno nella gestione della società?
"Premetto che ogni cambio proprietà comporta dei cambiamenti sia di gestione della squadra e sia del personale. Solitamente l’area manageriale è quella più coinvolta. Ho vissuto quindi personalmente il cambiamento da una società a gestione familiare, quella della famiglia Moratti, ad una società che opera come una multinazionale con capitale estero con un management che non arriva dal mondo del calcio. Questo percorso, dalle società sportive alle multinazionali e annesso ampliamento del business core per diventare una brand d’intrattenimento è caratteristica di molti club europei, anche se non tutti, vedi gli esempi di Barcellona e Bayern"
Nella giornata in cui è stato annunciato il rinnovo di Lautaro vi è stata comunicata la non volontà di rinnovare il contratto. Paradossale vero?
"Per i più è stato un paradosso enorme, soprattutto dal lato economico: non si lesina per i giocatori, si licenziano i dipendenti prima di Natale. Ma per l’AD dell’Inter le due cose sono scisse: i calciatori sono visti come un investimento, mentre noi siamo stati visti come un costo e resi vittime della famigerata esternalizzazione di ramo d’azienda, a nostro avviso scellerata, che comporta l’appalto a uno società esterna del magazzino. Noi siamo risultati come lavoratori in esubero"
Quali sono state le motivazioni addotte dall'Inter?
"La società ha deciso di esternalizzare il servizio del magazzino centrale ad una società di logistica esterna, quindi per la società i magazzinieri che ci lavorano sono o da ricollocare o licenziare. Eravamo convinti, vista la nostra esperienza pluridecennale nel mondo Inter, di essere reimpiegati in altre aree sportive della società, dato che i magazzinieri sono figure fondamentali in una società di calcio. Invece ci hanno subito comunicato che non intendevano impiegarci altrove, non tenendo in minimo conto la nostra anzianità ed esperienza professionali. Ci aspettavamo un trattamento diverso visto quello che abbiamo fatto in tutti questi anni di lavoro con apprezzamenti sia dai dirigenti (io personalmente ho avuto un encomio ed un aumento dall’AD Bolinbroke sotto la presidenza Thorir) sia dai colleghi. Sappiamo che la scelta di licenziarci non è stata condivisa da tutti i dirigenti, per esempio quelli dell'area sportiva gestita dal Dott. Marotta, ma ha prevalso la linea dura dell’AD Antonello e dei suoi manager. Fin dall’inizio abbiamo notato un’intenzione di umiliazione, un’arroganza non degna dello stile Inter, uno stile dirigenziale più vicina alla cultura ottocentesca nel rapporto fra manager e dipendenti. E’ questi costanti atteggiamenti del management che abbiamo deciso di uscire allo scoperto denunciando ai media la nostra disavventura. Ci siamo sentiti in coscienza di rompere il silenzio anche per altri che hanno subito o subiranno lo stesso trattamento in futuro"
L'appoggio della CN, di Paolo Rossi e altri esponenti "noti" del tifo nerazzurro non è servito a smuovere la società. Temete che dopo questa solidarietà "a caldo" la vostra situazione possa cadere nel dimenticatoio?
"Premetto che non smetteremo mai di ringraziarli per gli attestati di solidarietà e vicinanza umana che ci hanno espresso in un momento difficile delle nostre esistenze. Così come l’aiuto prezioso che ci ha dato la Cgil per cercare di risolvere la nostra situazione, tentando in tutti i modi possibili di trovare una soluzione per il nostro rientro in società, nonché l’inaspettata vicinanza di diverse forze politiche presenti in consiglio comunale a Milano. Tutto questo non ha fermato il nostro licenziamento, ma ci ha trasmesso la forza di far parte di una comunità solidale fatta di valori umani sinceri. Sono arrivati attestati di solidarietà anche da dirigenti e colleghi di altri club, soprattutto al mio collega Davide che ha lavorato per tanti anni con la prima squadra prima di essere spostato al magazzino centrale. Sicuramente possiamo dire che non è una bella pagina della storia dell’Inter, rimarrà per sempre una macchia indelebile, ora confidiamo nel giudice del lavoro"
Alcuni vi definirebbero "choosy" perchè avete ricevuto proposte di buonuscita e di ricollocazione che avete rifiutato. Perché? Quali sono le vostre rivendicazioni?
"Assolutamente no. Le uniche proposte che ci hanno fatto pervenire sono state due: lavorare con un contratto di un anno per la società di logistica che ha rilevato il nostro magazzino, lasciando un posto a tempo indeterminato per un contratto a termine. Irricevibile per noi. L’altra offerta è di diventare autisti di pullman di linea a San Giuliano Milanese per un’azienda che collabora con l’Inter. Sinceramente non abbiamo ancora capito cosa c'entri con la nostra esperienza lavorativa questo tipo di proposta. Non abbiamo neanche la patente da autobus. Tramite il sindacato abbiamo chiesto di provare a trovare una soluzione nel mondo delle società sportive o sponsor specializzati nel settore sportivo. Anche in questo caso abbiamo ricevuto un diniego. Noi tutti abbiamo sempre lavorato, è la prima volta che ci troviamo davanti ad un licenziamento"
Quali spiragli intravedete in questa vostra battaglia? E quali sono i prossimi passi che intendete fare?
"Innanzitutto faremo ancora tutto il possibile per non far calare l’attenzione sul nostro caso. Lo dobbiamo alla città e a tutti i tifosi e le persone che ci sono state vicine. Andremo fino in fondo perché sentiamo che il nostro è un licenziamento ingiustificato e che possiamo tranquillamente essere reintegrati perché sfido chiunque a dirmi che non l’Inter non si può permettere di tenere tre lavoratori, lo trovo imbarazzante per i dirigenti che hanno perseguito la linea del licenziamento"
Qual è la situazione dei lavoratori non sportivi delle società calcistiche?
"Non bella. Come dicevo prima il passaggio da società sportiva a multinazionale nel mondo del calcio ha portato un management che ha un approccio contabile e vede il personale come numeri e non come risorse. Ma questo avviene non solo nel nostro settore ma in tutto il mondo del lavoro: le delocalizzazioni e i conseguenti licenziamenti di massa, la precarietà delle forme di lavoro e le esternalizzazioni hanno minato il rapporto di fiducia fra aziende e lavoratori, provocando rabbia e frustrazione dovute alla mancanza di rispetto che le imprese hanno per il valore dei loro lavoratori. Anche il calcio sta vivendo questa trasformazione"
La vostra battaglia può divenire collante per la creazione di una coscienza di classe dei lavoratori non sportivi che conduca a una lotta condivisa e comune?
"Lo spero. Noi abbiamo rotto il silenzio in un mondo visto come splendido e fatato, dove invece spesso prevale l’omertà sul lato oscuro. Sicuramente c'è un minimo comune denominatore con gli altri lavoratori e le altre lavoratrici che sono sotto procedura di licenziamento. Il sentir comune di essere vittime di un’ingiustizia e di non avere tutele che possano dare dignità a chi ha lavorato per decenni con onestà e ora si trova a cinquant'anni a doversi reinventare in un mondo del lavoro dove il contratto a tempo indeterminato è sempre più un miraggio, minando il futuro di famiglie e persone. Il 16 parteciperemo allo sciopero generale per tutti questi motivi".
Grazie mille Paolo, sei stato gentilissimo e chiarissimo.
(Piccola postilla: il caso dei tre lavoratori è paradigmatico ed emblematico di come si stia assistendo all'astrazione delle società calcistiche dal territorio a cui sono legate. Questo fenomeno lo si era già visto con le proprietà USA di Manchester United e Liverpool dinanzi alle quali, però, gli stessi tifosi avevano reagito arrivando, come nel caso dei Red Devil, alla scissione della tifoseria con contestuale creazione di un altra squadra (lo United FC of Manchester). Se questo deve essere il futuro, no grazie. Nessun romanticismo però. Non si chiede il fantomatico calcio di una volta coi presidenti tifosi o con azionisti di maggioranza "local". Ma deve essere necessario che il lavoro di ogni parte della società calcistica venga rispettato così come la persona o le persone che ci sono dietro. Trattasi di elemento ineludibile ed indispensabile.)
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