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, 10 Dicembre 2021

Considerazioni sparse sull'esonero di Luca Gotti


Dopo due salvezze tranquille, l'antidivo Gotti può tornare dietro le quinte (se vorrà). Ma l'Udinese, invece, dove vuole andare?


– Luca Gotti non è più l’allenatore dell’Udinese. Il tecnico friulano lascia la squadra al quattordicesimo posto, in piena quota salvezza (+6) ed in teorica linea con le aspettative societarie: solo teorica però, perché il club del patron Pozzo ha deciso di sollevarlo dall’incarico dopo un biennio quasi esatto dal suo arrivo. A nulla sono valse le salvezze tranquille raggiunte nei due anni precedenti, quando aveva rivitalizzato la squadra dopo esser subentrato a Tudor e quando era riuscito, nella stagione scorsa, a confermarsi: da qualunque angolazione la si guardi, la vicenda Gotti-Udinese è piena di spigoli e poco lineare, un mare piatto di risultati in linea con le aspettative che però sotto cova correnti bizzose, dal difficile rapporto iniziale tra Gotti stesso e il suo ruolo, ad un progetto che non si capisce bene dove voglia arrivare, ad una proprietà che fa una scelta decisamente in controtendenza rispetto ad obiettivi e momentum;

- L’ultima avventura di Gotti dietro le quinte fu al Chelsea, con Maurizio Sarri: ecco, nulla c’è di più distante dal sarrismo di ciò che ha proposto ad Udine. La sua Udinese era una squadra terribilmente solida, al limite dello speculativo, conservatrice e di certo meno elegante delle camicie e dei dolcevita indossati dal suo tecnico: con questa identità aveva però raggiunto una efficacia tale da non trovarsi mai nemmeno vicina al naufragio, sempre a galleggiare tenendo a distanza le onde della zona retrocessione. Senza cadere nel tranello giochisti/risultatisti, va detto che cambiare idea è proprio delle persone intelligenti, non per forza incoerenti: più che Sarrista, Gotti si è rivelato pragmatico, capendo che se la regìa passa dai piedi di Makengo e Wallace più che al Sarri-ball si deve pensare a raggranellare senza lustrini, in fretta, i fatidici 40 punti. Il sarto Gotti ha confezionato abiti da lavoro più che smoking, ritornando a quella tradizione italiana sana e semplice: altro che sarrismo, Gotti è stato allegriano, o forse solo concretamente consapevole;

- Un dato è inconfutabile: Gotti era riuscito a valorizzare in questo biennio le rose a sua disposizione. Nella prima parte della sua avventura lustrando giocatori come Musso, Fofana, De Paul, e poi resistendo ad un graduale impoverimento del roster nelle sessioni di mercato estive, che regolarmente facevano partire i migliori talenti per lasciar spazio a sconosciuti e “riciclati” della holding Pozzo. Se alle partenze dei big corrispondono gli arrivi di Soppy, Success, Teodorczyk e Opoku, non resta che affidarsi ad una solida organizzazione complessiva per centrare la salvezza, ed è ciò che Gotti ha fatto. Chi arriva, che sia un nome altrettanto esotico come Paco Jemez, una coupe de theatre alla Stankovic od un solido Donadoni, troverà una rosa non troppo qualitativa, ma comunque assolutamente in grado di confermarsi nella massima serie: se i Pozzo hanno optato per questa mossa, però, è perché una salvezza tranquilla non basta più, cercano un salto di qualità. Per farlo bisognerà riuscire a far rendere meglio i pochi piedi buoni della squadra come Pussetto, Molina e Deulofeu, a dar nuovo lustro al Tucu Pereyra, a confermare le buone impressioni date da Beto. Se i Pozzo hanno optato per questa mossa, è perché cercano un salto di qualità;

- Al di là di questa scelta, ciò che bisognerebbe capire è quale sia oggi il progetto Udinese : se negli anni 90 la squadra del patron Pozzo era una fucina globale di talenti presi chissà dove e valorizzati, nel tempo si è rivelata sempre di più un’accozzaglia accomunata dal solo esotismo, ma con sempre meno talento. A questo si aggiungano le porte scorrevoli tra le varie squadre di proprietà familiare, e le innumerevoli giravolte interne di giocatori (e talvolta pure tecnici) tra Watford e Granada: a parte la realizzazione dell’incantevole Dacia Arena , sembra che la verve del club sia decisamente inferiore a quella degli anni d’oro, e non si capiscono bene le reali ambizioni, al di fuori del business come impresa di famiglia. Se sembrano di un’altra epoca i nomi di Sanchez, Pizarro, Muriel e Di Natale, sono altrettanto lontani quelli meno blasonati di Inler, Allan e Asamoah. A parte qualche talento valorizzato peraltro proprio da Gotti, come De Paul e Fofana, e qualche Stryger Larsen e Nuytink che fanno da mosche bianche in un panorama di carneadi, negli ultimi anni dalla cantera globalizzata friulana è uscito ben poco, ed il celebre lavoro di scouting internazionale sembra abbia perso fiuto e spinta. Che sia proprio quello il punto identitario da cui ripartire?;

– Quando subentrò a Tudor elevandosi da collaboratore a capo allenatore, Gotti affermò che non si trovava proprio a suo agio in queste vesti. E’ arrivato come un anti-eroe allergico ai riflettori, ai media ed alla fama, che a suo dire peggiorava così tanto la qualità della vita da non trovare nell’aumento di stipendio una moneta di scambio adeguata. In realtà Gotti alla sua prima esperienza da capo allenatore in campo e nei post partita, seppur continuando ad indossare questi panni con la consueta eleganza, sembrava tutt’altro che fuori luogo: pacato e trasparente, era in grado di fornire analisi lucide e tempestive (forse anche grazie all’esperienza dietro le quinte maturata in precedenza). Se questo atteggiamento fosse una maschera o una verità lo scopriremo alla prossima offerta: dopo il primo giro di giostra, difficilmente un bimbo non chiede un secondo gettone, e solo allora vedremo da che parte del teatro vorrà rientrare il nostro antidivo.

  • Torinese e granata dal 1984, dopo una laurea in Filosofia, opto per diventare allenatore professionista di pallavolo, giusto per assicurarmi una condizione di permanente precarietà emotiva e sociale. Questa scelta, influenzata non poco dalla Generazione di Fenomeni che vinse tutto a cavallo degli anni 90', mi porta da anni a girovagare per l'Europa inseguendo sogni e palloni, ma anche a rinunciare spesso a tutto il resto di cose che amo fare nella vita: nei momenti di sconforto per fortuna esistono i libri, il mare, il cioccolato fondente e le storie di sport in cui la classe operaia va in paradiso.

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