Lo stato di salute del calcio italiano
E' un calcio malato. Lo era all'epoca e lo è oggi.
A long December and there's reason to believe
"A Long December" - Counting Crows
Maybe this year will be better than the last
I can't remember the last thing that you said as you were leavin'
Now the days go by so fast
"E' un calcio malato". Quella voce nasale di sottofondo chiudeva il mini servizio ironico che andava in onda, un po' di tempo fa, per Mai Dire Gol.
Lo era già all'epoca e lo è oggi. Però, forse, più sotto traccia. Non smaccata in stile '90. La finanza, dalla crisi del 2008, ha saputo camuffarsi. I veri diez redigono i bilanci più che ispirare le manovre sui campi da gioco. Sostanzialmente la fonte di ispirazione è l'assioma del "Too big to fail" ("troppo grande per fallire"). Divenuto un mantra successivamente al collasso greco - quando si pensava che anche il nostro paese potesse finire commissariato dalla Troika (BCE-UE-FMI) -, l'espressione indica le aziende considerate di interesse così rilevante da non poter fallire. Se, difatti, si permettesse ciò, ne andrebbe di mezzo una larga parte dell'economia reale.
Il gioco è semplice: banca concede amplissime linee di credito. I soggetti beneficiari (società di capitali) non riescono ad essere solvibili. Si scarta l'ipotesi del fallimento per via del mancato rimborso ai creditori e la conseguente ricaduta di liquidità sull'economia reale. Si rende, così, necessaria l'interposizione dello Stato attraverso l’erogazione di fondi pubblici.
Uno scenario del genere lo si era visto, nel mondo del pallone, con i casi Parmalat e Cirio e le relative ripercussioni sui bilanci delle controllate Parma e Lazio. Con tutte le conseguenza note. Ma non solo. Si può ricordare il noto closing del Milan attraverso il misterioso Yonghong Li, che ad oggi deve ancora rimborsare 7,3 milioni di dollari per il prestito da 8,3 milioni di dollari utilizzato per sottoscrivere uno degli aumenti di capitale del club milanese.
Rimanendo in terra cinese, ci sono i problemi finanziari di Suning e il crac Evergrande, il secondo colosso immobiliare cinese, da 305 miliardi.
A chi non fosse nota la questione: nel 2017 Zhang Jindong - presidente della Suning Holdings Group (il gruppo che controlla l'Inter) e padre di Steven Zang, per il tramite di Suning Appliance (controllata del gruppo), aveva anticipato ad Evergrande 20 miliardi di yuan (circa 2,6 miliardi di euro), sottoscrivendo azioni di classe A di Evergrande Real Estate destinate alla quotazione in borsa. Evergrande aveva raccolto, grazie anche a Suning, 130 miliardi di yuan (circa 16,65 miliardi di euro), ma nell’autunno dell’anno scorso, dopo il rinvio del progetto di quotazione, alcuni investitori hanno dato il loro assenso a non esercitare opzioni di riscatto delle quote, evitando la crisi di liquidità del colosso. Zhang Jindong accettò di rivedere l’accordo in essere con il patron di Evergrande, Xu Jiayin, rinunciando, di fatto, al rimborso del prestito, mantenendo la partecipazione in Evergrande Real Estate, che poi ha perso l’80% del valore. Il 23 settembre di quest'anno la società cinese non ha rimborsato una cedola da 83,5 milioni di dollari, con lo spettro del default vicino.
Default che proprio oggi è ufficialmente arrivato. Sarà da capire nei prossimi mesi se ci saranno ripercussioni a livello economico su Suning e di riflesso sull'Inter.
Ma andiamo oltre e torniamo specificatamente in terra italiana dove è stato scoperchiato definitivamente il caso "plusvalenze".
Come noto, ogni club di Serie A deve rispettare il c.d. indicatore di liquidità ("sistema di indicatori di controllo dell'equilibrio economico e finanziario" introdotto dalla FIGC nel 2015). Superarlo è facile. Basta ricapitalizzare. Ma tra gli indici c'è anche l'indicatore di indebitamento e quello di costo del lavoro allargato.
Per rispettare quest'ultimo, però, non basta ricapitalizzare.
Che fare? Niente di particolare, tanto la soglia è alta, quindi facile da rispettare e si aggiunga che l'indicatore non è ritenuto vincolante.
Quindi? Cosa c'entrano le plusvalenze? Semplice. Il costo del lavoro allargato altro non è che il monte ingaggi. Essi dovrebbero essere parificati, quanto meno, dai ricavi (diritti tv, sponsor, botteghino) che, però, sono nettamente inferiori rispetto ad essi. Anche, ma non solo, causa Covid. Conseguenza? Gravi perdite d'esercizio. Come limitarle? attraverso le plusvalenze sulla vendita delle prestazioni sportive dei calciatori. Salvo che molte di esse paiono pesantemente gonfiate.
Nulla di nuovo sul fronte dei bilanci creativi.
Come si può produrre? In maniera più semplice che un lavoro di Art Attack. E senza colla vinilica o forbici pericolose. Qui i passaggi di massima.
Si fa uno scambio con prezzi gonfiati: un club cede un calciatore ad un prezzo gonfiato ad un secondo club da cui compra, sempre a prezzo gonfiato, un altro calciatore. Entrambi realizzano una plusvalenza, che altro non è che la differenza tra prezzo e valore netto.
Da subito i due club migliorano il proprio conto economico. Essa è de facto uno scambio di calciatori. Nessun effetto di natura finanziaria. Nessuno esborso di denaro. Effetto è che il rapporto tra il valore netto contabile della rosa e il valore di mercato della stessa aumenta. Ma da qui diventa circolare il tutto. Aumentano gli ammortamenti totali (per ammortamento intendiamo la quota di costo del cartellino - rapporto tra prezzo di acquisto e numero di anni di contratto - che concorre a determinare l'utile o la perdita d'esercizio). Questi abbattono il conto economico. Ma, essendo fittizie, servono da calamita verso nuove plusvalenze.
Questo circolo, se praticato constantemente nel corso degli esercizi economici, diventa molto apprezzabile numericamente. Allo stesso tempo comporta un problema sosteniblità a medio-lungo termine.
Crescono le plusvalenze, crescono gli ammortamenti.
La sequenza degli ultimi cinque anni è impressionante. Nella stagione 2015/16 i club di Serie A hanno realizzato plusvalenze per 376 milioni. Dopo un anno si assiste a un aumento di questa tipologia di entrate dell’85%, a quota 693 milioni. Nelle annate successive il trend si stabilizza (713, 712 e 738 milioni nella stagione 2019/20) e le plusvalenze diventano la seconda voce di ricavo dopo i diritti tv.
E gli ammortamenti? Nella stagione 2015/16, la Serie A aveva accumulato 518 milioni di costi legati ad ammortamenti e svalutazioni del parco calciatori. Nella stagione successiva si sfiorano i 630 milioni, nella stagione 2018/19 (l'ultima pre-pandemia) si arriva a 871 milioni e nella stagione 2019/20 si raggiunge la vetta di 1.087 milioni.
Come mai è partita dalla Covisoc ora e non qualche anno fa? Perché, semplicemente, c'è stata una evidente mancanza di motivazione sportiva alla base.
Si pensi allo scambio tra Juve e Marsiglia dei giocatori Franco Tongya e Marley Aké. Valore scambiato 8 milioni, saldo 0. Giocano, oggi, nella quarta serie francese e in Serie C. Ma si vedano i quattro calciatori che il Lille si è preso per 20 milioni nell’affare Osimhen: tre sono tornati in Italia, due in Serie D, uno in C, un altro è al Lille e non ha mai giocato.
La Juventus ha realizzato ben 42 scambi di questa natura di cui 21 per 90 milioni.
Il nodo sarà stabilire se il valore di uno scambio è congruo.
Ma non è finita qua. La Guardia di Finanza sta indagando per verificare l'ipotesi di reato di falso in bilancio e false fatturazioni Andrea Agnelli, Pavel Nedved e Fabio Paratici. Le operazioni sarebbero per 50 milioni di euro.
In base alla legge sulla responsabilità delle società, la stessa contestazione è mossa al club.
Ma non solo Juventus e non solo plusvalenze. Similari ipotesi di reato hanno portato Massimo Ferrero ad essere tratto in arresto qualche giorno fa.
Per capire bene la situazione di Ferrero c'è un'interessante intercettazione del suo commercialista Vidal con Diamanti del 2020.
"Adesso ho capito perché sta cercando di prendere i soldi dalla Sampdoria! [...] Massimo ha duecento milioni di euro di debiti". "Quando mi ha parlato di questo progetto (acquisto di un appartamento) gli ho detto: Massimo mi fai quasi ridere… Sei pieno di debiti… Non sai come ne uscirai e pensi a comprare?". Diamanti replica: "È stata fatta talmente tanta m… dentro queste società che è veramente preoccupante come sono state gestite. Perché Massimo Ferrero è un eccezionale commerciale, ma anche il peggior nemico di sé stesso. Lui dice di non essere avido, ma in realtà vuole sempre di più... Il tema è che se gli dici che stai chiudendo la vendita di una società a ottanta, lui ne vuole cento. Se gli dici cento, ne chiede centoventi. Mi sembra di lavorare per uno limitato. Lui mi dice "io voglio prendere più di questo", io gli dico "Massimo ma sei fallito!"".
Ma andando a ritroso, bisogna capire come la Sampdoria sia finita nella mani del "Viperetta".
La squadra genovese è stata ceduta ma il costo l'ha sostenuto Garrone (ex patron doriano).
Il bilancio al 31 dicembre 2014 della Sport Spettacolo Holding, controllante del club, conferma Garrone, attraverso la San Quirico, ha versato nelle casse blucerchiate la bellezza di 62,5 milioni. Aggiungendo i 2,9 iniettati nella squadra dalla ex controllante Sampdoria Holding prima della vendita, per un totale di 65,4 milioni.
In pratica, Garrone ha versato nelle casse doriane 36,5 milioni di cui 28,9 in conto capitale della Sport Spettacolo Holding.
Ferrero si è trovato la squadra ripulita dai debiti visto che, prima della cessione, i 22,7 milioni di esposizioni con le banche sono stati azzerati. A ciò si aggiunga che nessun aumento di capitale per il rilevamento delle quote da parte di Ferrero è stato effettuato. La Samp ha potuto coprire con quella liquidità i 24,6 milioni del rosso di bilancio al 31 dicembre 2014. Ma non solo.
Il bilancio della Sport Spettacolo Holding rivela che almeno fino al 31 dicembre 2014 è stato Garrone ad assicurare il rispetto dei pagamenti. San Quirico si è fatta garante per 35,3 milioni: 10,2 a favore di Banca Regionale Europea per le fideiussioni richieste dalla Lega per le operazioni di calciomercato; 6 a favore di Monte dei Paschi per gli affidamenti concessi; 19,1 per garantire a Leasint il pagamento dei residui canoni di affitto (14,1) e dell’opzione di riscatto (5) dei marchi blucerchiati che nel 2011 furono temporaneamente venduti per fare cassa. Ancora, nel bilancio 2014 della San Quirico sono stati accantonati altri 7 milioni "per tenere conto di potenziali passività legate alla gestione di partecipazioni dismesse".
Dulcis in fundo, il contratto con Ferrero presentava una clausola che concedeva allo stesso un indennizzo alla luce di alcuni aggiustamenti contabili, come confermato nella relazione della Sport Spettacolo: "Per quanto riguarda la capacità della società di far fronte alle proprie obbligazioni si fa presente che la stessa è controllata interamente da Holding Max srl che garantisce, in forza del contratto di cessione quote anche insieme alla società ex controllante San Quirico, sia un periodico sostegno finanziario diretto che interventi di garanzia".
Ricordiamo che Garrone, all'atto della cessione pubblica disse: "In 7 anni abbiamo ricevuto proposte ma nessuna credibile. Una volta dissi pubblicamente che se qualcuno di veramente affidabile avesse bussato alla porta lo avrei ascoltato. Lo ha fatto qualche tempo fa con la discrezione che piace alla mia famiglia".
L'elenco potrebbe essere ben più lungo e corposo (il fallimento del Chievo, del Livorno e di altre moltissime realtà c.d. minori, mancate iscrizioni ai campionati etc etc), ma queste ultime due vicende danno perfettamente l'idea di come sia gestito il sistema calcio italiano. Ma il problema, in realtà, è sistemico ed il calcio un suo riflesso. Il capitalismo italiano è gretto, tragattino. Cerca il profitto col trucco, senza l'investimento, la ricerca o l'innovazione. Chi può gioca sul Too big to fail. L'accumulazione dei debiti incide sul piccolo non sul grande. Ed in questo Berlusconi è stato maestro, dettando la linea introducendo depenalizzazioni sul fronte dei reati finanziari (nel frattempo il non proprio comunista George W Bush inaspriva pesantemente quelle fattispecie) lasciando il messaggio in stile Guzzanti sullo sfondo: potete fare come cazzo vi pare.
Quale soluzione? Sicuramente occorrerebbe quella drastica. Rivedere interamente il sistema. Dalle fondamenta. Ma ciò comporterebbe radere al suolo la Serie A. O larga parte di essa. Impossibile. Too big to fail. Troppe esposizioni nei confronti dei creditori. Allora? Immobilismo. Come da prassi della FIGC. Si aspetta che la bolla imploda per far continuare il tutto come è sempre stato.
Basterà aspettare Marzo per vedere se la Nazionale si qualificherà per ammantare, nuovamente, tutto sotto il rigonfio tappeto.
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