, , 7 Settembre 2021
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Considerazioni sparse sullo Us Open sinneriano


Si conclude agli ottavi di finale la campagna americana di Sinner, che può essere soddisfatto della propria crescita nonostante la delusione.


- Perdere fa male sempre e comunque. Specialmente dopo essersi mangiati un set point sul proprio servizio sbagliando un dritto da non sbagliare, un solo colpo che poteva capovolgere il destino di un match a senso unico - o forse no: chiederselo è allo stesso tempo inutile e inevitabile. Jannik dormirà male per qualche giorno, poi riprenderà a macinare con rinnovata fiducia, perché i rimpianti riguardano solo singoli errori ma non lo spirito e l’interpretazione, aspetti ben più importanti in una lettura distaccata degli eventi. Se perdi ma hai dato tutto ottieni almeno un quadro realistico della situazione, mentre a volte capitano sconfitte in cui non ti sei espresso e lì la questione si fa più complessa e inquietante. Jannik esce a testa alta, dopo una partita di grande sostanza e costanza contro un avversario in forma smagliante, qualche pecca in momenti importanti e alcuni motivi tecnici ben identificabili. Il servizio è la chiave di lettura principale: su questo fondamentale Zverev ha costruito la propria superiorità, mentre Jannik è ancora incostante, cosa che lo condanna a una vita di alti e bassi, troppo dipendente dall’efficacia in risposta. Ma i colpi durante il gioco sono stati spesso buoni, il dritto è migliorato, il rovescio è tornato affidabile, efficaci anche la lettura e la costruzione. Insomma è una sconfitta che autorizza speranze;

- Ci sono partite matrioska che nascondono al proprio interno altre partite, e sono le più difficili da decifrare. Ci sono avversari eccentrici che ti rubano la scena e impongono il proprio stile e la propria personalità, togliendoti ritmo e sicurezze. È successo tutto questo e di più nel terzo turno con l’istrionico Geal Monfils. Dopo un primo set durissimo in cui Jannik sale di tono nei momenti importanti recuperando un break e dominando il tiebreak, la gara sembrava in discesa. Sinner rimane attento nel gestire, mette in cascina il secondo set e instradato il terzo. A quel punto Monfils si libera e all’improvviso la bonaccia si trasforma in tempesta. Ed ecco che il bambino prodigio di San Candido, amato e coccolato da tutti, da sempre al centro dell’attenzione, si trova all’improvviso ridotto a una comparsa mentre il suo alter ego di là ruggisce, schiuma e chiama a raccolta la folla. Jannik perde il terzo set ma reagisce e si porta 4-0 nel quarto. Sembra fatta, invece Gael riprende fuoco, rimonta e vince nell’isteria generale. Insomma l’onda del destino sembra parlare la sua lingua ma Jannik invece di farsi travolgere decide di cavalcarla: alza ancora il volume del suo tennis e porta a casa un duello epico, con tanti saluti a Gael che in quella bolgia ci sguazzava alla grande (in modo anche piuttosto irritante, con tutto il bene che gli vogliamo). La morale è che Jannik non si arrende mai, ha una capacità non comune di reagire ai rovesci (sic) del gioco e questo lo aiuterà a raggiungere grandi traguardi;

- Se quei tre hanno monopolizzato per anni i titoli del grande Slam un motivo ci sarà. Gli Slam sono infinitamente più complessi degli altri tornei, e questo fa parte del loro fascino irresistibile, alla faccia di chi vorrebbe ridurli a banali sfide ai due su tre, con killer point e facezie varie. Bisogna mettersi nelle condizioni di poter vincere, poi ci vogliono anche un po’ di fortuna e follia per fare quel passo in più. L'approccio al torneo e la gestione delle energie fisico-emotive sono fondamentali per arrivare pronti ai momenti caldi. Sinner si è presentato ai nastri di partenza con il giusto mix di fiducia (vittoria a Washington) ed energia (nelle settimane precedenti due eliminazioni premature), forse anche più libero dalle aspettative che nei mesi scorsi l’hanno un po’ zavorrato. Il draw gli ha preparato un percorso in crescendo ma gli ha anche messo di fronte il peggior ottavo di finale possibile. Lui – ricordiamo che era alla terza partecipazione e che non aveva mai vinto un match - ha fatto il suo, dimostrando un netto miglioramento nell’uso delle risorse. Certo, ha perso set, ma ha evitato quell’estenuante dispendio energetico che spesso lo stravolge fin dai primi turni a causa della sua propensione a complicarsi la vita. È inevitabile incontrare le difficoltà, ma è fondamentale evitare di crearsele da soli. In questo senso Jannik sta migliorando passo dopo passo, anche se non si può pretendere la perfezione dai suoi vent’anni;

- Si è giocato a lungo senza pubblico. È vero che il tennis è un’esperienza interiore ma è altrettanto innegabile che, a questi livelli, l’interazione con la gente è un aspetto imprescindibile. Basta vedere qualche match dal vivo per percepire quell’unico respiro che unisce il campo e gli spalti. Il silenzio religioso lascia spazio a ogni singolo suono e sembra quasi che i cuori battano all’unisono. A questo si alternano gli applausi liberatori e le grida di stupore che confermano la dimensione collettiva di questo sport individuale. Ogni giocatore deve farci i conti. C’è chi litiga, chi ruggisce, chi aizza e sobilla le masse e c’è chi ti raggiunge l’anima soltanto con il suo modo di essere. Jannik ha attraversato fasi importanti della carriera senza tutto ciò e adesso ha assaporato questa quasi novità. Si è trovato con Monfils in una spiacevole situazione di tifo avverso, in cui le sue meraviglie passavano quasi inosservate mentre le spacconerie del francese generavano orgasmiche acclamazioni. Bene, poteva reagire male, poteva sparire mentalmente dal campo: invece ha dimostrato personalità, ha trasformato l’energia contraria in linfa vitale. L’altro aspetto positivo è la sua capacità di rimanere se stesso: non è un attore né un mostro di simpatia, ma è genuino e questo il pubblico lo sente, perciò spesso gli capiterà di essere sostenuto dagli spettatori. Insomma ci sono le potenzialità per un feeling produttivo nel prosieguo della carriera e comunque vada il suo approccio positivo farà la differenza;

- E ora? Ora c’è da lasciare passare qualche tempo per smaltire la botta e poi rimettere insieme i pezzi. Come ha detto lui stesso, Jannik è entrato in una nuova fase della propria costruzione come giocatore. Il giovane esuberante che spara vincenti o errori senza compromessi né vie di mezzo è stato un po’ oscurato da un uomo più prudente, in cerca delle giuste letture, di un equilibrio che lo trasformi in un campione in grado di sollevare trofei a ripetizione. Ogni tanto il ragazzo è apparso bloccato o disorientato, ma è normale perché sta cercando una strada e i tempi per farlo non sono brevi, né ci sono scorciatoie. Ma è giusto così, dal momento in cui ha preso l’impegno di diventare la migliore versione possibile di se stesso (c’è chi non lo fa, c’è chi preferisce piuttosto rimanere un vorrei ma non posso o un potrei ma non voglio: lui ha scelto di crescere), Jannik sapeva di intraprendere un cammino fatto di alti e bassi, con tutte le frustrazioni del caso. Una vera e propria fine non ci sarà, perché gli obiettivi si spostano di continuo come l’orizzonte, però certamente il puzzle assumerà via via una fisionomia più definita. Se il servizio rimane il nodo tecnico centrale insieme al gioco a rete, altri aspetti sono più difficilmente isolabili dal disegno globale. Ma si è intravisto in America un Sinner a tratti di nuovo brillante, segno che la follia giovanile non è stata persa ma è pronta a tornare, mediata dalla saggezza di un giocatore solido e formato, sempre più in grado di selezionare i momenti. La sensazione è che si sia superata quella fase un po’ triste e seccata vista a tratti sul rosso e sull’erba. Insomma non è stata questa la volta buona e non lo sarà la prossima, ma la fiducia è alta.

Autore

  • Nicola Balossi Restelli, annata 1979, vive a Milano con una moglie e tre figli e si divide tra scrittura e giardinaggio. La sua insana passione per lo sport ha radici pallonare e rossonere, anche se la relazione più profonda e duratura è stata quella con la palla a spicchi, vissuta sui parquet (si fa per dire) delle minors milanesi dagli otto ai quarant’anni, quando ha appeso le scarpe al chiodo. Gravemente malato anche di tennis e di Roger Federer, ne scrive talvolta su https://rftennisblog.com/.

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