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, 29 Agosto 2021

“Different On Levels The Lord Allowed” è un inno alla profondità


Il nuovo album di Damian Lillard è fuori. Ne ha parlato con Jacob Uitti in una lunga intervista concessa ad American Songwriter. Lillard è l'esempio di come la cultura sportiva, attraverso i propri interpreti, possa dialogare alla pari con tutti gli altri aspetti della società. Lui lo fa attraverso la musica e non solo; noi (europei) invece dovremmo lasciare agli atleti lo spazio che meritano invece di rinchiuderli in un campo da gioco per poi stupirci se confondono razzismo e nazismo.


Sì, Damian Lillard ha partecipato a sei all-star game ed è stato nominato altrettante volte nei quintetti All-NBA. Sì, è arrivato da un piccolo college per poi esplodere sulla scena del basket mondiale e diventare un perenne candidato all’MVP. È diventato l’immagine di molti brand e le pubblicità di scarpe, drink e servizi di streaming in cui appare vanno in onda su tutti i canali.

Lillard, però, è anche un musicista e un MC di altissimo livello. Non si tratta di un atleta famoso che prova a vendere qualche disco sfruttando la propria celebrità, né cerca di raccogliere qualche visualizzazione su YouTube e neanche cerca farsi un nome in un altro segmento dello showbiz. Al contrario, quella di Lillard è una storia costruita, come dice lui, “mattone su mattone”.

Forse, non è tanto la sua abilità nel fare canestro o nello scrivere barre a renderlo speciale; è la sua propensione al lavoro duro e alla cura dei dettagli a farne un individuo così incredibile. La “D”, con cui inizia il suo nome, sicuramente sta per “Dedizione”. Più dello sport, più della musica, questo è ciò in cui eccelle.

Artwork di Different On Levels The Lord Allowed

Ci siamo beccati con Lillard – aka Dame D.O.L.L.A. – per chiedergli del suo nuovo album, Different On Levels The Lord Allowed, uscito il 20 di agosto e in cui figurano persino dei feat. con Snoop Dogg e Lil Wayne. Abbiamo parlato del suo imprinting musicale durante l’infanzia ad Oakland, della leggendaria etica lavorativa che lo contraddistingue, della sua famiglia molto unita, della comunità in cui è cresciuto e come si è innamorato del linguaggio.

Qual è stato il momento in cui la musica è entrata nella tua vita?

Ero molto piccolo. Nella mia famiglia la musica era una cosa importante. Mia mamma la ascoltava in continuazione e cantava spesso. Molti dei miei cugini facevano musica da bambini, cantavano e rappavano. Sono sempre stato circondato dalla musica. La mia famiglia era così tanto in fissa con la musica che è diventata parte di me.

Quando hai iniziato a investire sulla musica come qualcosa di più che un semplice passatempo e come si è rafforzato il tuo amore per il linguaggio?

Credo di aver iniziato a puntarci più seriamente durante l’ultimo periodo al college e ho cominciato a vedere dei miglioramenti. Sentivo di aver trovato un buon equilibrio, qualcosa che mi piaceva veramente al di fuori dello sport. Mi dava la stessa spinta. Quando riuscivo a scrivere qualcosa che mi piaceva, mi sentivo bene, così ho iniziato ad appassionarmi e a tenerci sempre di più.

Ovviamente, una volta entrato in NBA, dovevo assicurarmi di restare concentrato sul basket ed essere la versione migliore di me stesso come atleta, ma ho sempre avuto in mente di voler fare qualcosa con la musica. Dovevo solo affermarmi come atleta prima. Per quanto riguarda il linguaggio, invece – mettere le parole insieme, trovare dei modi intelligenti per esprimermi, dire cose argute – direi che è merito di mia zia.

La sorella di mia mamma mi stava sempre addosso quando usavo male una parola, o sbagliavo l’ortografia o magari la mettevo al passato piuttosto che al presente. Quindi se dicevo qualcosa e usavo una parola sbagliata, allora dovevo scrivere le stesse frasi prima al passato e poi al presente. Cose così. Ci metteva sempre alla prova a casa. Oltre alla scuola, lei ci faceva fare cose del genere regolarmente.

Da bambino, quando qualcuno mi parlava, che dicesse una parola comune o una parola più rara, io capivo. Ero in grado di portare avanti una conversazione e capire. Un’altra cosa, che diventò un’abitudine, era cercare immediatamente il significato di una parola che non conoscevo per includerla nel mio vocabolario. Se sentivo qualcuno usare una parola che non sapevo, andavo lì e gli chiedevo: “non so cosa vuol dire, me lo dici?” Credo che sia partito tutto da lì.

Leggevi molto da bambino?

Sì, sì.

In che modo sei riuscito a migliorare come scrittore, come paroliere? Ora eccelli in quest’arte: la nuova traccia, “The Juice”, è fantastica. Si tratta di una combinazione di talento naturale ed esercizio costante?

Credo che sia perché ci tengo. Di solito, quando tieni a qualcosa, le dedichi il tuo tempo. Ti ci impegni. In più, bisogna accettare suggerimenti e critiche. Uno dei miei cugini, che lavora alla mia etichetta, è anche un artista prodotto sempre da noi e ormai fa musica da 25 anni. È più grande di me e mi ha sempre spinto da dare il meglio come artista. Allo stesso modo sono stato spinto a dare il meglio come atleta. Lui non si fa problemi a muovermi qualche critica.

Ascolto le critiche e i consigli che mi danno per metterli in pratica al meglio delle mie abilità. Ma dentro, c’è anche la vita che faccio: mi occupo di molte cose, faccio sempre nuove esperienze e imparo tanto. Ho un sacco di cose da dire. Quindi cerco di raccontare tutto nel modo più creativo e interessante. Voglio essere articolato, creativo, acuto e intelligente per riuscire a tirare fuori tutto.

E se ci riesco, allora lo posso raccontare. La prendo come una sfida. Poi è quasi come fossi una specie di cheat code  perché c’è un sacco di roba da raccontare! C’è così tanta gente che vuole sapere, capisci? Quindi, è solamente una questione di rendersi conto di quanto siano potenti la propria vulnerabilità e la propria trasparenza nella musica. È una di quelle cose che si imparano col tempo e credo mi abbia reso un artista migliore di com’ero.

Dame DOLLA si esibisce al fianco di Lil Wayne

Sì, sei venuto fuori con un approccio alla musica onesto, sincero, persino attento, è la tua cifra.

Sì.

Hai fatto partire il “Four Bar Friday” sui social. Cosa ti ha mostrato e insegnato sulla musica o sull’industria musicale?

Principalmente roba legale. Mi sono messo a pensarci perché volevo far vedere che rappavo e dovevo trovare un modo per farlo. Così, un giorno sono andato dai miei ragazzi e gli ho detto, “mi è venuta un’idea, praticamente ti riprendi mentre canti quattro barre a cappella, posti il video e incoraggi gli altri a farlo. Fai vedere quanto puoi essere creativo con solo quattro barre.”

È così che mi sono presentato al modo del rap. Ma volevo creare una community. Allora mi hanno risposto: “l’idea è buona, ma ti devi assicurare di registrare il marchio. Devi accertarti di questo e di quello. Non ci può essere musica di altra gente, devi avere le autorizzazioni per questo e per tutta questa roba qui.” Non sapevo ci fossero così tante cose da fare solamente per postare della musica su internet.

Era la prima volta che vedevo come si faceva musica seriamente, solo gli aspetti legali, cosa puoi e non puoi fare. Poi però ho capito che con la musica devi salire un gradino alla volta, non puoi saltarne neanche uno. Devi pensare che ci sono un sacco di persone che partecipano al Four Bar Friday, che rincorrono lo stesso sogno e non posso mancargli di rispetto e saltare gli step usando la mia fama di atleta. Questo mi ha incoraggiato a dedicar mici di più e costruirmi mattone su mattone.

Allora ho deciso, prima inizio su SoundCloud, poi faccio freestyle sui beat di altri. Continuo il Four Bar Friday, poi provo a cercare qualche collaborazione e qualche evento live prima di uscire con un album e aspettarmi che la gente lo copri perché sono Dame Lillard; mi capisci, no?

Per il tuo altro lavoro rispondi a tante interviste, ma mi chiedo cosa ti possano offrire la musica e il rap in termini di espressione verbale. Ti permette di dire cose che i canali più tradizionali e sui quali sei più presente non ti lasciano dire?

Penso mi dia il giusto equilibrio. Come ti dicevo prima, sono un rompiscatole per quanto riguarda l’allenamento, la dieta e il modo in cui mi preparo per queste cose. Quindi, quando sei così tanto suscettibile per qualcosa, devi avere qualcos’altro per allentare un po’ la tensione. Qualcosa che ti faccia andare altrove con la testa e che ti allontani da certe situazioni in modo da non lasciarti bruciare completamente.

La musica è questo per me. La uso per esprimermi e per dare qualcosa agli altri: ne ho fatto uno specchio in cui la gente può vedermi più nel profondo. Amo la musica, dunque la userò in modo tale per cui la gente che sente solo le mie interviste, in cui mi chiedono della partita, della striscia positiva o negativa o cose del genere, non saprà nient’altro. Sono certo che vorrebbero dare una sbirciata dal buco della serratura per vedere com’è veramente la mia vita, per capire cosa succede.

Con la musica faccio questo e penso che non sia solo un modo per far vedere alla gente che so rappare o che prendo la cosa seriamente. Anzi, penso di mostrare alle persone chi realmente sia quello che vedono in TV. Do loro la possibilità di seguirmi sempre e non solo quando ne metto 50 in una serata.

Lillard che ne fa 50 contro i Pelicans

Dre Grant” è una traccia davvero incredibile. L’ho sentita e mi sono chiesto quale sia l’impatto della tua famiglia, della comunità in cui sei cresciuto, o persino della religione sulla tua creatività.

Come hai detto tu, si tratta di influenza. Quando faccio musica, voglio che chi mi ascolta possa seguire ciò che c’è dietro. Mi sembra che molto di ciò che sentiamo nella musica, alla televisione, alla radio o qualsiasi altro canale, sia in qualche modo influente. La gente, allora, pensa che questa sia la strada da percorrere per fare qualcosa, il modo per restare sul giusto cammino.

Io, per farlo, ho scelto la musica e tutto ciò che scelgo di mostrare. Così la gente sa che se si sente vicino a me, se prova ciò che provo io, non c’è niente che non vada, mi segui? Mi piace dare alle persone qualcosa di positivo, vero ed autentico da seguire, così sanno che possono andare anche in altre direzioni e non solo in quella del mainstream o di ciò che viene spinto di più.

Cerco solo di proporre qualcosa di vero, qualcosa da cui chi si sente come me o proviene dalle stesse situazioni o ha una famiglia come la mia o vive una vita come la mia, più in grande o più in piccolo, possa trovare un indirizzo o del supporto.

Da dove viene il tuo nuovo album? Come e quando l’hai scritto, quali erano i temi importanti che sentivi di voler esprimere?

Ci ho messo tipo un anno. Prima lavoravo sui miei album per 10-11 giorni perché non avevo tempo e dovevo fare in fretta. Non uscivo con un album dal 2019. Mi sono preso il mio tempo; volevo che uscisse bene, volevo che fosse solido. Essenzialmente parla di dove mi trovo ora, di come ci sono arrivato e di come mi sento.

Vivere il momento, accettare chi sono nella mia vita e condividerlo. È tutto qui. Col primo album mi sono presentato e ho condiviso un po’ di tutto ciò. Sentivo che era arrivato il momento per un album di questo genere, ecco perché l’ho chiamato col mio nick (Dame) e l’acronimo di Different On Levels The Lord Allows. Voglio condividere le motivazioni per cui rappresento tutto ciò, perché ho avuto un impatto sulla mia posizione attuale, perché ho avuto successo e perché sono arrivato dove dovevo arrivare.

La tua dedizione l’idea che hai del “non saltare nessuno step” è davvero difficile, soprattutto in un mondo in cui molti pensano, solamente perché ci sono amici sui social, di meritare le stesse cose che hanno gli altri. Tu piazzi l’asticella davvero in alto e lavori molto duramente: da dove ti viene questa forza e come riesci a mantenerla nel tempo?

Penso sia qualcosa di innato e anche che faccia parte di come sono stato cresciuto. La mia famiglia e il modo in cui cerco di seguire le orme di mio padre e il modo in cui ascolto e guardo e vedo ogni cosa. Quando mi pongo degli obiettivi, per esempio quando ho deciso di giocare in NBA, passo molto più tempo a preoccuparmi di non fare abbastanza che a dirmi: “Sì, ce la farò e basta!” Per questo ho sempre curato i dettagli, senza mai saltare alcun passaggio.

Non saltavo gli allenamenti, non sono mai arrivato in ritardo agli allenamenti. Mi immergevo nell’acqua gelata ogni volta, andavo a letto sempre alla stessa ora. Non ho mai fatto tardi a lezione. Sono andato al college per quattro anni e non sono arrivato una singola volta in ritardo a lezione. Non ho mai saltato una lezione. Mi sentivo come se tutto contasse. Me lo dicevo: “tutto conta”. Non voglio trattare male nessuno, proprio non voglio… Ho sempre cercato di non saltare i passaggi e di fare tutto al meglio delle mie possibilità.

Non ero il più talentuoso e nemmeno il più dotato fisicamente o atleticamente, ma ancora oggi sento di aver raggiunto questo livello come atleta, e anche come individuo, perché ho sempre vissuto in questo modo. Senza mai saltare un passaggio. Per me, solo così hai la possibilità di raggiungere i risultati che cerchi e di avere successo. Se lavori, i risultati arrivano. Con la musica, sentivo di avere il giusto metodo per arrivare dove volevo seguendo lo stesso approccio che per tutta la vita ho avuto per arrivare in NBA. Quindi, devo comportami allo stesso modo quando faccio musica se voglio ottenere i risultati che cerco.

Devo fare tutto nel modo giusto, senza saltare nessun passaggio. Devo affrontare la sfida per quello che è. È così che vado avanti. Questo è il motivo per cui sono sempre riuscito a prendermi il mio tempo senza mai essere pigro o farmi aspettative che poi non si sono concretizzate. È così: anche se la crescita è lenta, è comunque una crescita e devi essere sicuro di mantenerla costante.

Un fermoimmagine dal video di Dre Grant

Cosa ami di più della musica?

La cosa che amo di più è la sensazione che provo quando entro in connessione con l’artista. Ovviamente, tutti amiamo il beat e il modo in cui è prodotta e saltare a ritmo, penso che queste cose piacciano a chiunque. O la leggerezza o fluidità, se non si tratta di musica rap. Ma per me, la miglior sensazione, come ascoltatore, è quando sento l’artista: quando ascolto la musica di qualcuno e ci entro in connessione.

Quando senti il testo e pensi: “cavolo, è successo anche a me! Anche io mi sento così”. Adoro quel momento lì ed è per questo che sono un grandissimo fan di J. Cole, perché mi sento così con molti dei suo pezzi. Quindi, anche da artista, la parte migliore è quando la gente mi dice: “Ehi, questa è la mia traccia preferita! Stavo attraversando un momento difficile della mia vita e questa traccia mi ha parlato.”

Di solito succede sempre con le canzoni che mi piacciono meno e comunque qualcuno ci entra in connessione. È questa la cosa che amo di più della musica. Perché la musica è tua mentre la crei, ma quando la dai al pubblico, non lo è più. È degli altri, perché sono loro che la ricevono e che ci si affezionano e ci si riconoscono. È questa la cosa più bella!


  • Giacomo Zamagni da Rimini: sportivo da divano e traduttore freelance. Cresciuto a pane e motori ho tradito la mia famiglia innamorandomi del calcio e di tutto ciò che prevede un pallone. Curioso per natura e accidioso per convenienza. Sogno Totti, Micky Ward, Jay Adams e Valentino Rossi. Amo i giusti, gli outsider e i folli.

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