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, 6 Agosto 2021

El Fútbol Loco


In tutto il sud del mondo è antica consuetudine che a ciascuno venga affibbiato un soprannome che ne descriva, in astutissima (alcune volte anche crudelissima) sintesi, la principale caratteristica che lo distingue dal resto della comunità. Tale abitudine è stata sublimata attraverso il Fútbol ed i suoi interpreti. Nella terra dei tangueros è, per esempio, consuetudine trovare muchos "locos" in giro per i campi ognuno dei quali con una sua sfumatura e una sua precisa gradazione che, però, rende il calcio metafisico, trascendente, sacrale ed epico.


Il nostro calcio appartiene alla classe operaia e ha le dimensioni, la nobiltà e la generosità per permettere a tutti di goderselo come uno spettacolo.

Cesar Luis Menotti

Il primo Loco che a tutti e tutte viene in mente è di sicuro Marcelo da Rosario. La sua maniacalità per i numeri, per i movimenti, per gli allenamenti, per la ricerca dei giocatori (si dice che avesse suddiviso l'intera Argentina in quadranti ai tempi leprosi per riuscire così a mappare qualunque futbolista nel paese). La leggenda narra che il suo soprannome derivi dal periodo nel quale Marcelo allenava le giovanili della rosario rojonegra e dalla sua metodicità e dal dettaglio con il quale conduceva gli allenamenti, tanto che Picerini (allora Direttore Tecnico delle interi Giovanili) dopo averne osservato alcune sessioni disse: “Marcelo tu estàs loco".

Ma ci sono esempi ancor più puri nella loro essenza.

Il primo è Hugo Gatti.

Profilo indio, alla Monzon per intenderci, capello lungo tenuto fermo da una fascia di spugna, sguardo la cui intensità avrebbe meritato un piano sequenza di Leone, ruolo portiere ed una irrequietezza che lo portava a valicare spesso i confini dell'area di rigore pronto all'esplorazione di altri mondi che, spesso, erano vietati ai numeri 1 i quali, stando ad Eduardo Galeano, erano destinati a pagare "il conto sotto una grandinata di palloni, espiando peccati altrui”. Il suo abbigliamento consisteva in calzettoni giù senza parastinchi, divise rosa, azzurre, ciclamino. Era solito aspettare gli avversari allargando le braccia e mettendosi in ginocchio.

Nella sua carriera ha difeso i pali di Boca, River, Gymnasia e Union Santa Fe dove incontra un altro matto: Juan Carlos Lorenzo, che a Roma ha portato la sua filosofia, dando l'impianto sulla quale Maestrelli costruirà la sua arancia meccanica biancoceleste.

Nel 1976 gioca con la nazionale una partita a Kiev, contro l'URSS. La temperatura non era perfettamente aderente alla sua argentinità e quindi dovette porvi rimedio, ma a modo suo: “Nella borraccia che ho sistemato dietro alla porta non ho messo acqua, ma vodka. Ogni tanto ne mandavo giù un sorso. E così sono sopravvissuto senza correre il rischio di morire assiderato”. Ancora dubbi sul perché sia "El Loco"?

Due anni dopo, nel '78, il tappeto della passerella calcistica del trofeo più prestigioso ed ambito, la Coppa del Mondo, veniva steso in Argentina ma era rosso unicamente per via del sangue che scorreva a fiumi a causa della dittatura di Videla. Hugo non parteciperà. All'inizio si disse per questioni prettamente anagrafiche ma anche perchè Ubaldo Fillol gli aveva soffiato il posto a suon di parate sensazionali. “Non vado al Mondiale da secondo. Ho 35 anni, e sono contento che Ubaldo sia divenuto titolare. E’ giovane e bravo, se lo merita”. Ma la sua decisione fu presa perché non voleva rendersi complice della dittatura. Tanto è vero che Hugo Gatti giocherà altri 9 anni, chiudendo a 44 anni con i genovesi in giallo blu. ”El Grafico”, la rivista argentina per definizione, gli dedicò più di una copertina tra cui quella più bella: “El show de Gatti fue grandioso”. Una chicca: giusto qualche anno fa durante lo show tv “El Chiringuito”, ebbe una discussione con Cristobal Soria, ex dirigente del Siviglia durante la quale dopo un iniziale “No me vas a provocar”, fa per andare vero il malcapitato Soria urlando "Te voya matar!”.

C'è stato, però, un giocatore nella storia argentina che ha portato la locura, e le sue conseguenze, ad un grado di purezza inimmaginabile: Orlando Orlando Houseman, El Hombre de Casa.

Nonostante il cognome tradisse un'origine britannica, lui ci teneva a far sapere che era più argentino di tutti, tanto che lo irritava lo chiamassero per cognome preferendo la sua traduzione letterale.

È una specie di miscuglio tra Maradona e Garrincha”, lo definì Menotti ai tempi della rivoluzione dell'Huracán nel 1973. “Sono un abitante del villaggio. Questo è quello che sono stato per tutta la vita ed è quello che sarò sempre fino alla morte ", dice con orgoglio El Loco. Negli anni Cinquanta, come tanti altri contadini che arrivarono a Buenos Aires attratti dal miraggio di diventare operai facoltosi, Houseman Sr. si stabilì a Bajo Belgrano. Ma immediatamente cadde nelle trappola dei fumi alcolici per l'alienazione dovuta alla vita della fabbrica ed al sistema di vita urbano.

Non rimarrà per molto al fianco del figlio e René prenderà la strada di tanti suoi coetanei in Sud America: piedi nudi, fortuna altalenante e molta miseria sociale tutt'attorno. La madre ed i fratelli lavoravano molto pur di far quadrare i conti in casa ma El Hombre de Casa è sempre stato sposato la vita per divorziare dal lavoro. “En la villa hacía lo que quería, era el mejor lugar del mundo para mí. Era la libertad absoluta. Todo el día fuera jugando a fútbol para volver por la noche a dormir, sin tan siquiera lavarme. De hecho, todos me conocían como el ‘Cerdo’. Era sucio, muy sucio, pero me daba igual" (Nel barrio ho fatto quello che volevo, era il posto migliore del mondo per me. Era libertà assoluta. Giocavo a calcio tutto il giorno per tornare a dormire la notte, senza nemmeno lavarmi. In effetti, tutti mi conoscevano come il "Maiale". Era sporco, molto sporco, ma non mi importava”).

Spontaneo, libero, in una parola: Loco. Calzettone basso così da attrarre il difensore avversario, sempre incollato, alla sua caviglia, la mancanza di spazio e la strada gli hanno acuito lo spirito di sopravvivenza e la scaltrezza. Si incuneava soavemente nelle maglie delle difese, divertendosi a giocare con i difensori. Cambi di ritmo, dribbling, contatto e finta. "Regateaba, era rápido, hábil y disparaba con los dos pies, pero jamás me burlaba de nadie. Eso sí, si alguien me venía a buscar era un enorme hijo de puta. Si me buscaban me encontraban. Y si podía matar a alguien, lo mataba“ (Dribblavo, ero veloce, abile e tiravo con entrambi i piedi, ma non ho mai preso in giro nessuno. Certo, se qualcuno veniva a cercarmi era un enorme figlio di puttana. Se mi cercavano mi avrebbero trovato. E se potevo uccidere qualcuno, lo avrei ucciso”) riassume se stesso così Renè.

Nel 1973 si imbatte in Menotti. El "Flaco" si è appena insediato all'Huracán e ha un'idea rivoluzionaria che scuoterà la visione del Gioco in Argentina: pressione alta, squadra corta e libertà d'invenzione per i più talentuosi. Quell'ala anglofona di cognome sarà l'incarnazione sul campo di quella idea. Al suo debutto, Houseman ricevette un pallone da Babington, controllo con il petto in aria, tiro al volo mancino incrociato e gol. Sui volti dei tifosi appare la gioia. L'Huracán segna 46 gol nelle sue prime 16 partite.

La libertà assoluta è l'unico comandamento che Menotti imporrà a René: “Fumaba antes de los partidos y en el descanso. Menotti no me decía nada. Hoy fumo Marlboro, pero en la época fumaba Gitane, el cigarrillo más asesino que pueda existir. Sin filtro, era como un porro y te dejaba colocado. Y eso que yo ya estaba bastante tocado de normal. Imagínate…“ (Ho fumato prima delle partite e nell'intervallo. Menotti non mi ha detto niente. Oggi fumo Marlboro, ma all'epoca fumavo Gitane, la sigaretta più omicida che possa esistere. Senza un filtro, era come una canna e ti ha lasciato sballato. E che ero già abbastanza toccato come al solito. Vai a capire…)

Quando doveva correre era infortunato, ma con una palla in mezzo guariva miracolosamente”, ricorda Osvaldo Ardiles, che arrivò un anno dopo all'Huracán e divenne suo compagno di stanza. La vita quotidiana di 'Loco' come professionista non era troppo diversa da quella che aveva conosciuto a Belgrano: “Mi hanno affittato una stanza per abitare vicino allo stadio. Ho sopportato 15 giorni, non potevo sopportarlo". Ritornerà e rimarrà a vivere sempre a Belgrano.

Sono andato al compleanno di mio figlio e mi sono ubriacato. Sono arrivato per una partita contro il River il giorno dopo alle 11 del mattino ed ero ancora ubriaco. Doccia fredda, caffè e fischio d'inizio. A 20 minuti dalla fine ho segnato un gol. Sicuramente essere ubriaco mi ha aiutato, ma non ricordo nulla”.

el hombre de casa

Altra tappa essenziale della sua carriera sarà il Mondiale del 1978. Quello che, come si diceva poc'anzi, Gatti si rifiutò di giocare. Tre mesi di preparazione, senza alcol né donne. Iniziò il Mondiale da titolare ma lo concluse in panchina: “Quello che mi è successo è stato semplice: mi sono sovrallenato. Se non mi avessero chiesto così tanto, sarei stato il migliore. Dopo la gara mi sono scusato con i tifosi. Ho avuto la sensazione di averli traditi”.

Di offerte ne riceverà moltissime ma lui, come El Trinche, non volle mai abbandonare Belgrano. Per entrambi vale il legame viscerale con le strade e con la gente. Diceva Carlovich "Siempre se dijeron cosas de mí, pero la mayoría no era verdad. Lo único cierto es que nunca me gustó alejarme de mi barrio, de la casa de mis viejos, del café, de los billares, de mis amigos, del Vasco Artola, que de chico me enseñó a pegarle a la pelota con suavidad y efecto." ("Sempre vennero dette molte cose su di me, ma la maggior parte non erano vere. La unica cosa certa è che non mi è mai piaciuto allontanarmi dal mio quartiere, dalla casa dei miei genitori, dal caffè, dai biliardi, dai miei amici, da Vasco Artola che da piccolo mi insegnò a colpire la palla con dolcezza ed effetto" – n.d.a.). Estirparli sarebbe equivalso a farli appassire e morire calcisticamente prima di quando gli dei del pallone avevano già predeterminato.

Mi sono divertito e ho approfittato della mia vita. Mi alzo tardi e poi faccio quello che mi piace di più: niente. Comunque non ho niente. Non ho mai avuto niente. Soldi? Ho sempre pensato che vanno e vengono. Non mi è servito a niente spenderli. Alla fine, sai cosa avrei fatto se avessi avuto molti soldi? Avrei costruito una grande villa per vivere con la mia gente”.

El Hombre de casa

Renè con Best, ma così come Maradona, ha delineato il confine che rende fisico il metafisico. Le loro vite dimostrano l'esistenza della scintilla di genialità che può portare a far divampare l'incendio della follia incontrollabile che conduce all'inevitabile autodistruzione. Ma davvero sarebbe esistita questa genialità senza la follia a supporto? Una vita condotta nei binari della regolarità avrebbe portato ad un'espressione così limpida e cristallina di classe e talento? A voi l'ardua sentenza.

  • Impuro, bordellatore insaziabile, beffeggiatore, crapulone, lesto de lengua e di spada, facile al gozzoviglio. Fuggo la verità e inseguo il vizio. Ma anche difensore centrale.

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