Considerazioni sparse post Italia-Serbia (0-3)
La Nazionale Femminile non sfata il tabù olimpico ed anche stavolta esce ai quarti per mano di una Serbia in grande spolvero. Il grande rammarico è innegabile, ma, se guardiamo le carte d'identità e usiamo con intelligenza questa batosta, il futuro è tutto dalla nostra parte.
– La maledizione olimpica della nazionale femminile di pallavolo continua: di nuovo fuori ai quarti, ma stavolta fa molto più male. I risultati delle ultime manifestazioni ed i pronostici della vigilia facevano presupporre che questa nazionale avesse tutte le carte in regola per puntare alla medaglia: addirittura, molti dicevano che fosse la nazionale con il quoziente di talento più alto nella storia italiana, ma se così era, non è stato mostrato sul campo. Si torna a casa, a testa bassa, con la sensazione di aver sciupato una ghiotta occasione per tutto il movimento.
- E’ vero, in questo quarto di finale il sorteggio era stato poco fortunato, perché la Serbia di Terzic figurava tra le favorite per l’oro, ed era campione mondiale in carica: la più classica tra le finali anticipate, ai quarti, non è mai una bella situazione da affrontare. L’Italia però ha tantissimo da recriminare su come è arrivata a questo accoppiamento: dopo un buon approccio che ci aveva messo sulla strada giusta, ci si è giocati malissimo la chance di qualificarsi da prima nel girone buttando nel cestino le gare con Cina (peraltro già eliminata) e USA. La Serbia, oggi, è stata semplicemente superiore in tutto, ed ha brillato come squadra oltre il luccichio delle eterne Ognjenovic e Rasic e della stella polare Boskovic (oggi inarrestabile): la nazionale di Mazzanti non ha purtroppo mai dato l’impressione di poterla insidiare, e si è sciolta già a fine primo set sotto i colpi delle avversarie.
- Su questa Italia c’erano tante aspettative, giustificate: come squadra eravamo pressochè le stesse del secondo posto mondiale, ed i talenti non mancavano di certo. La sensazione è però che tutta questa aspettativa, tutta questa narrazione attorno all’ambiente azzurro, non abbia giovato più di tanto: la squadra celebre per esser sorridente, spigliata e giovane stavolta non ha usato il sorriso come arma per un gioco intraprendente ed estroverso, ma come maschera di circostanza che ha impedito di notare ed affrontare i reali momenti di difficoltà di fronte a cui il campo ci ha posto. Il rammarico sta nel fatto di non aver riconosciuto la sirena dell’allarme che suonava, ed aver continuato a pensare (o a fingere di pensare) che tutto sarebbe andato bene e la nostra Olimpiade avrebbe svoltato.
-Alla fine è sempre il campo che parla, e il campo ha detto che in tre partite chiave contro le dirette concorrenti l’Italia ha perso: si è dimostrata inferiore a Stati Uniti, Cina e Serbia, tre potenze con cui comunque ci si sarebbe dovuti scontrare per andare a medaglia. La verità è che bisogna sempre metter il campo al centro, e in campo questa sconfitta ha molti genitori: stavolta non è sceso il Deus Ex Machina Egonu, al suo primo vero fallimento (che dimostra quanto anche lei sia umana,e chissà Adinolfi come se la ride); l’alternanza tra i registi Malinov e Orro non è stata un quid aggiuntivo, ma un elemento di confusione; oltre alla nota lieta Bosetti nessun altro martello tra Sylla e Pietrini ha tenuto botta in ricezione; i quattro centrali hanno ruotato, ma nessuna ha davvero mai fatto la differenza. In generale, è sembrata una squadra con pochi equilibri e poco agonismo, quando invece negli anni precedenti aveva stupito proprio per la sua forte identità ed il suo coraggio;
- Se vogliamo trovare un lato positivo, sta nel futuro: la carta d’identità di questa nazionale è giovane, e fa pensare che avrà a disposizione ancora tanti anni per giocarsela alla pari con le prime del mondo. Le basi ed il talento sicuramente non mancano, e non sarà certo una Olimpiade sbagliata a farci cambiare idea su questo: oltre alle giovanissime Egonu, Pietrini e Fahr (22, 21 e 19 anni), il nucleo delle azzurre sta tutto tra il 26 ed i 27 anni, il che significa che avranno ancora almeno un'altra Olimpiade (e tutte le competizioni che stanno nel mezzo) da giocarsi nel pieno della maturità agonistica. Questa ennesima batosta olimpica, se vista ed usata nel modo giusto, potrebbe esser una esperienza necessaria a far da punto di partenza per evitarne di successive e portare a casa qualche trofeo internazionale: gli ingredienti per sfatare il tabù olimpico non mancheranno, se cominciamo da ora a pensare a Parigi sulla scorta di quanto visto a Tokyo.
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