Il metodo Brentford
Il Brentford Football Club in poco più di dieci anni è passato dalla Football League Two, la quarta divisione inglese, alla promozione in Premier League, senza il contributo di sceicchi o capitali stranieri. Il club londinese è uno dei più fulgidi esempi di programmazione e applicazione di un approccio data-driven nella gestione di un club, portate avanti dal proprietario Matthew Benham e il suo braccio destro Rasmus Ankersen.
Il tredici agosto scorso il Brentford FC ha inaugurato la Premier League 2021/22, tornando a disputare il massimo campionato inglese per la prima volta dal 1947, dopo ben 74 anni. Lo ha fatto in casa, nel suo nuovissimo stadio, il Brentford Community Stadium, che ha preso il posto dello storico Griffin Park, battendo meritatamente per 2-0 quel che resta dell'Arsenal.
La Bees, le Api, non sono sicuramente un club mainstream o appartente alla grande tradizione del calcio britannico. Si tratta di una squadra locale, con sede nell'omonimo distretto nell'area metropolitana occidentale di Londra, la cui intera comunità non riempirebbe nemmeno uno stadio di Premier League. Il miglior risultato nella storia del Brentford è un quinto posto in First Division negli anni '30, e fino a una decina di anni fa il club stazionava tra League One e League Two, rispettivamente la terza e la quarta divisione inglese.
Dopo i primi anni 2000, il club cominciò ad avere problemi finanziari, tanto che prima della fine del decennio passò di fatto in mano a un gruppo di tifosi, con la maggioranza delle quote detenute dal Bees United, un trust formato da supporters della squadra e imprenditori locali. Viste le difficoltà economiche nel 2009 Matthew Benham, imprenditore e tifoso della squadra sin da bambino, decise di aiutare il club stringendo un accordo con il trust che lo gestiva: per cinque anni avrebbe investito un milione di sterline a stagione nella società, in cambio di parte delle quote, e al termine del periodo il Bees United avrebbe potuto restituire il prestito o lasciare le quote a Benham. L'accordo si chiuse anticipatamente e nel 2012 il 97% della quote furono acquistate da Benham, che diventò di fatto il proprietario del club, mentre la restante piccola parte rimase ad altri tifosi.
Il fisico, il gambler, il rivoluzionario
Matthew Benham si è laureato in fisica a Oxford, per poi entrare nel mondo della finanza: le sue notevoli capacità gli consentirono di fare rapidamente carriera nella City, fino a raggiungere la posizione di vicepresidente della Bank of America nel corso degli anni '90.
Nei primi anni 2000 Benham decise di cambiare e passare al mondo delle scommesse sportive. Nel 2004 fonda una sua compagnia, Smartodds, che offre servizi per scommettitori professionisti: in particolare l'azienda fornisce consulenza, statistiche avanzate e modelli per scommettitori sportivi, oltre a una serie di altri servizi utili a soggetti che intendono scommettere forti somme di denaro. Non si sapeva molto di come operasse SmartOdds, fino all'uscita nel 2019 di "The Expected Goals Philosophy", scritto da James Tippett, ex "watcher" all'interno dell'azienda. I watcher sono dipendenti che si occupano di guardare partite e registrare ciò che accade, in maniera simile ai logger che registrano tiri, passaggi e altri eventi per aziende come StatPerform/Opta o Wyscout. In SmartOdds però viene utilizzato un approccio particolare per la stima degli expected goals. Solitamente i gol attesi vengono elaborati utilizzando modelli basati su frequenze, che una volta calibrati permettono di calcolare il valore di xG dei tiri che vengono registrati. Possono essere applicate anche tecniche alternative, come nel caso di Understat, che utilizza una rete neurale addestrata con centinaia di migliaia di tiri, per poter poi dare un valore ai nuovi tiri che vengono effettuati. In SmartOdds invece gli xG vengono stimati dai watcher: i dipendenti sono addestrati a dare un valore a ciascuna occasione che vedono e a registrarlo. L'idea di fondo è che un occhio umano esperto possa soppesare dettagli e sfumature che sarebbe altrimenti molto difficile modellare con un algoritmo. Questo permette inoltre di considerare anche azioni pericolose ma che non culminano in un tiro, che i classici modelli degli xG non considerano. I gol attesi calcolati in questo modo fanno da base per una serie di modelli e algoritmi molto più sofisticati che sono ciò che permette effettivamente all'azienda di fatturare milioni, visto che sono il principale motivo per cui i clienti si rivolgono a SmartOdds.
Dopo essersi insediato alla guida del Brentford, Benham ha deciso di sfruttare le sue capacità e l'esperienza nel mondo delle scommesse per portare il club a competere ai massimi livelli, diventando di fatto cliente della sua compagnia di scommesse. I modelli e i dati raccolti da SmartOdds sono stati posti come base per le valutazioni e le decisioni da prendere nella gestione del club. Fin dall'inizio della sua avventura Benham credeva fermamente che il sistema calcistico fosse ricco di "inefficienze" che potevano essere sfruttate: riteneva infatti che le modalità tradizionali di gestione dei club fossero arretrate e che un approccio più moderno, supportato dai dati, avrebbe permesso a una piccola squadra di competere e battere avversari con risorse anche molto superiori. "Se Davide vuole battere Golia, non può farlo usando le sue stesse armi", questo il credo che Benham e il Brentford hanno portato avanti dalla League One alla Premier League.
Cuore danese
Una parte importante in questa storia ha radici in Danimarca. Il principale artefice dei successi del Brentford, oltre a Matthew Benham, è il suo braccio destro, Rasmus Ankersen, danese appunto, e molto più aperto al pubblico e ai media rispetto all'evasivo imprenditore inglese.
Ankersen sarebbe potuto diventare un calciatore professionista: dopo essere cresciuto nel settore giovanile del Midtjylland, giovane club fondato nel 1999, una volta arrivato in prima squadra dovette ritirarsi subito a causa di un grave infortunio. Dopo aver lavorato per qualche tempo come collaboratore tecnico nel settore giovanile della squadra, Ankersen decise di partire per un viaggio intorno al mondo. Al suo ritorno iniziò a pubblicare libri, in particolare sulla crescita personale, la motivazione e lo sviluppo del talento, diventando una sorta di guru, tanto da diventare anche richiestissimo public speaker.
Poi l'incontro con Benham e l'ingresso nel management del Brentofrd. Ankersen ricorda così uno dei primi colloqui con Benham, quando il club militava in League One: "Gli chiesi quali risultati si aspettasse per la stagione. La sua risposta mi spiazzò completamente. Mi disse che al momento c’era il 43,3% di possibilità di essere promossi nella divisione superiore."
Benham riteneva troppo lento e graduale il processo di cambiamento e innovazione che stava portando avanti in un contesto piuttosto conservatore come quello del calcio inglese. Per questo decise di acquistare un altro club su cui poter lavorare, e la scelta cadde proprio sul Midtjylland, con Ankersen che venne così messo alla guida del club in cui era cresciuto. Era il 2014 e il Midtjylland, che non aveva mai vinto il titolo, al termine della stagione divenne campione di Danimarca per la prima volta. Da allora i titoli nazionali sono diventati tre e la squadra è riuscita ad accedere ai gironi di Champions League nella scorsa stagione.
Molte soluzioni e metodologie applicate al Brentford, sia a livello gestionale che tecnico, derivano dal lavoro fatto al Midtjylland. Un esempio sono le palle inattive: a seconda dei paesi e delle stagioni considerate le statistiche riportano che da queste situazioni possono derivare anche oltre il 20% dei gol. A fronte di questi dati, Ankersen e il suo staff ritenevano che le situazioni da fermo, potenzialmente così redditizie, non fossero allenate sufficientemente in proporzione al numero di gol che potevano produrre. Effettivamente fino al 2014, prima dell'insediamento di Benham e Ankersen, il Midtjylland segnava in media circa 6 gol da situazioni da fermo, in linea con le altre squadre del campionato. Nella stagione 2014/15 la squadra iniziò ad allenare le palle inattive con allenatori e analisti specifici, dedicando più tempo e sessioni a queste situazioni. A fine stagione i gol segnati in questo modo furono 25, con un incremento di quasi il 400%.
I risultati di questo tipo di approccio furono talmente positivi da decidere di assumere un coach dedicato alle rimesse laterali, Thomas Gronnemark, successivamente voluto da Jürgen Klopp nell suo staff al Liverpool, dove portò la percentuale di possessi mantenuti sotto pressione dopo le rimesse dal 45.4% al 68.4%, secondo miglior valore in Europa, ovviamente dopo il Midtjylland.
Academy e seconda squadra
La volontà di implementare un approccio data-driven a tutti i livelli nella gestione del club, senza paura di agire diversamente dagli altri, ha portato Benham e Ankersen a prendere decisioni in contrasto con le pratiche tradizionali: una di queste ha riguardato il settore giovanile.
Per prima cosa è stato considerato il costo di mantenimento dell'academy: circa due milioni di sterline l'anno, di cui 500.000 finanziate da un contributo della FA, per un totale un milione e mezzo a stagione a carico del club. L'obiettivo del settore giovanile deve essere quello di produrre giocatori in grado di raggiungere la prima squadra per integrare la rosa o per essere venduti e fornire un ritorno sull'investimento fatto nella loro formazione. Le evidenze erano però ben diverse: il Brentford non inseriva stabilmente prodotti del proprio vivaio in prima squadra da oltre dieci anni, e non riusciva nemmeno a coprire le spese rivendendo giocatori.
I piccoli club faticano a trattenere i giovani migliori, e finiscono spesso per alimentare le academy dei grandi club. I giovani calciatori non possono firmare contratti professionistici fino al compimento dei 17 anni, e società come il Brentford non hanno gli strumenti per difendere i propri investimenti. Ad esempio nel 2016 Ian Carlo Poveda, centrocampista e nazionale Under16 inglese, passò al Manchester City dopo due stagioni nelle giovanili del Brentford, e pochi mesi dopo, Josh Bohui, ala ed esordiente della nazionale Under17, si trasferì al Manchester United. In entrambi i casi il Brentford ricevette una somma modesta in compensazione, circa 30.000 sterline ciascuno.
Questa analisi semplice e razionale della situazione portò a una risposta chiara: organizzata in quel modo l'academy rappresentava un costo notevole per il club, e non produceva nulla. La contromossa di Benham e Ankersen fu piuttosto drastica: chiudere l'academy. In questo modo il Brenford rinunaciava alle 500.000 sterline di contributo della FA, ma si decise di reinvestire i fondi risparmiati nella costruzione di una seconda squadra. Una formazione B pensata per accogliere due tipi di giocatori: i "respinti" dai grandi club e gli stranieri desiderosi di entrare nel giro dei campionati minori inglesi, come primo passo verso la Premier League, con preferenza per la fascia d'età 20-23 anni.
Della prima categoria fanno parte tutti quei giocatori che escono dai settori giovanili dei grandi club, spesso dopo essere stati presi dai vivai di altre squadre, ma che poi non riescono a trovare subito spazio in prima squadra e diventano esuberi, nonostante i club di Premier League abbiano a disposizione anche il campionato riserve. Spesso questi giocatori finiscono per scendere nelle serie inferiori dove rischiano di perdersi, ma non tutti maturano alla stessa età: permettendo a questi giocatori di crescere nella seconda squadra, a stretto contatto con la rosa e lo staff della prima, dandogli più tempo, è molto più probabile riuscire a selezionare elementi che possano rivelarsi utili e di livello. In questo modo il Brentford ha smesso di essere in competizione con i club più grandi per non farsi sottrarre i giovani migliori dal proprio vivaio, ma ha iniziato a lavorare in sinergia con loro, accogliendo spesso nella seconda squadra giocatori che erano in esubero in Premier League ma che per le Bees potevano rappresentare un'occasione. Un esempio? Chris Mepham, centrale difensivo uscito dal settore giovanile del Chelsea, passato per il Brentford B, promosso in prima squadra e infine ceduto al Bournemouth per undici milioni di sterline.
Scouting
La squadra B si è rivelata molto utile, ma in definitiva la principale arma utilizzata dal Brentford per poter competere contro avversari con risorse spesso molto superiori, è quella della creazione di valore con scouting e player-trading supportati dai dati. Per farlo non è sufficente acquistare giocatori giovani e aspettare che crescano, o comunque non è un modo di operare necessariamete redditizio. Ormai da diversi anni il mercato dei giovani è iper-inflazionato: i migliori prospetti europei hanno quotazioni altissime e le cifre richieste dalle squadre per i giocatori under 20 già dopo le prime presenze tra professionisti sono spesso proibitive e rappresentano investimenti molto rischiosi. Il mercato interno inglese è ulteriormente inflazionato, e non solo nelle operazioni tra squadre di Premier. Con le dovute proporzioni, anche nelle serie minori come League One o League Two, i giocatori possono arrivare costare milioni di euro, cifre irreali per le leghe dello stesso livello di altri paesi.
Per questo lo scouting del Brentford ha spesso attinto da mercati meno battuti e con un rapporto qualità-prezzo migliore, ad esempio la Ligue 2, campionato che ha prodotto in anni recenti anche affari clamorosi come Mahrez e Kanté. In ogni caso, che si tratti di una lega inglese o estera, l'obiettivo dello scouting delle Bees è di individuare giocatori adatti alle esigenze tecniche della squadra, con potenziale inespresso e sottostimati.
Ma come si individuano questi giocatori? Tra i tanti modelli elaborati da Benham e da SmartOdds ne esiste uno che, a partire dai dati, anche quelli sulle competizioni internazionali, stima i livelli di forza tra i vari campionati e le squadre che vi partecipano. Questo strumento permette sostanzialmente di stilare una grande classifica tra tutte le squadre per cui vengono raccolte le statistiche, come se giocassero nella stessa lega. Si possono così identificare campionati e squadre con valori superiori a quelli del Brentford e con il rapporto qualità/prezzo più vantaggioso e giocatori, soprattutto da campionati meno seguiti o da divisioni di livello più basso, con un potenziale superiore alla valutazione economica. Per fare un esempio iper-semplificato, in questo modo possono essere comparati e contestualizzati due attaccanti, con un numero simile di gol segnati, che giocano in campionati diversi, come la Ligue 2 francese e la League One inglese. Anche il meccanismo utilizzato da SmartOdds per il calcolo degli expected goals permette al Brentford di avere a disposizione uno strumento molto utile per ricercare giocatori con potenziale inespresso, ad esempio individuando quelli che nonostante un'underperformance, magari estemporanea, hanno avuto livelli di performance importanti non evidenziati dalle statistiche tradizionali come gol e assist.
A seguito di questa prima fase di scrematura si svolgono attività di scouting più tradizionali, studiando i giocatori sui video o dal vivo, costruendo report tecnico-tattici approfonditi e coinvolgendo anche lo staff tecnico. Questi non sono però gli unici aspetti presi in considerazione dal menagement e dallo staff tecnico del Brentford per scegliere i giocatori da acquistare. Attraverso colloqui e raccolta di informazioni si cerca di delineare un profilo psicologico e comportamentale dei giocatori, per selezionare quelli con qualità umane più utili e in grado inserirsi nel gruppo senza destabilizzare gli equilibri dello spogliatoio. Ankersen crede fermamente che sia fondamentale selezionare giocatori motivati e determinati a migliorarsi, che si sono dimostrati più portati a praticare uno stile di vita da atleti professionisti. Più volte si è anche speculato sul fatto che la nutrita colonia di giocatori nord-europei nella rosa del Brentford (soprattutto danesi, ma anche finlandesi, svedesi e norvegesi) fosse dovuta al fatto che i giocatori scandinavi fossero considerati più attenti a questi aspetti e caratterialmente più equilibrati. In definitiva i giocatori non vengono "comprati con un algoritmo": i dati e le statistiche vengono utilizzati per scremare tra le decine di migliaia di giocatori disponibili sui mercati internazionali, a seconda delle caratteristiche e dei parametri desiderati, e fungono da strumento di supporto all'attività manageriale e di scouting.
Dopo aver individuato e acquistato i giocatori più adatti alle esigenze della squadra e averne sviluppato il potenziale inespresso, per chiudere il cerchio deve essere monetizzano il valore che è stato creato. Questo è un punto fondamentale: per come viene gestito il player trading dal Brentford, non esistono giocatori incedibili. I calciatori sono asset della società, e quando se ne acquista uno è necessario che garantisca un certo livello di rivendibilità e ritorno sull'investimento. Questo significa che raramente il Brentford acquista giocatori già al proprio prime (dai 27 anni in su), ma nemmeno giocatori molto giovani e carichi di hype, che rappresentano un investimento troppo rischioso. Anche i tifosi, inizialmente un po' scettici, visti i risultati hanno imparato ad avere fiducia nel metodo: qualsiasi cessione, anche se dolorosa, è solamente uno step per proseguire nel percorso di crescita e finanziare nuovi investimenti.
Per vedere l'impatto di questa gestione del mercato da parte del Brentford è sufficiente guardare lo storico dei trasferimenti su Transfermarkt, ma gli esempi sono davvero tantissimi. Nel 2014 il Brentford acquista Andre Grey dal Luton Town per poco più di 600.000 euro, e dopo una sola stagione lo cede al Burnley per oltre 12 milioni. Il suo posto viene preso da Scott Hogan, già in rosa e precedentemente acquistato dal Rochdale per circa 950.000 euro: nel gennaio 2017 verrà rivenduto per oltre 10 milioni. Anche in questo caso il sostituto è già in casa: Neal Maupay, acquistato nel precedente mercato estivo per meno di due milioni dal Saint Étienne. Il francese sarà ceduto nel 2019 al Brighton per circa 23 milioni, e il suo posto verrà preso da Ollie Watkins, spostato da ala a prima punta, che dopo essere stato acquistato dall'Exeter City per un paio di milioni è stato rivenduto nel 2020 all'Aston Villa per 34, con il contemporaneo inserimento in formazione di un altro nuovo acquisto, Mbeumo. Al termine di quella sessione di mercato il sostituto scelto è Ivan Toney, che arriva dal Peterborough per circa cinque milioni e trascina il Brentford in Premier League con 32 gol in 46 partite.
Sarà il prossimo ad aggiornare la statistica sulla cessione più redditizia del Brentford? Probabile, ma quanto lo è il fatto che con il valore prodotto la squadra potrà tentare di fare un ulteriore step in avanti. Sono davvero troppe operazioni per pensare che si tratti di semplice casualità e non di un circolo virtuoso sapientemente programmato. Come dice Ankersen: "Nel mercato è importante sbagliare sempre meno, non fare sempre la cosa giusta. Ogni giocatore che si acquista è un rischio, quello che puoi fare è provare e assicurarti di aver fatto il tuo lavoro diligentemente."
Non sempre la classifica dice la verità
Gli aspetti in cui il Brentford ha implementato un approccio data-driven non si limitano alla gestione al settore giovanile e allo scouting. Un altro principio cardine che governa i processi decisionali è quello della distinzione tra risultati e performance. Questo assunto si basa sul fatto che nel calcio, essendo uno sport a basso punteggio (mediamente circa 2.7 gol a partita, contro i quasi 200 punti di una di basket), la casualità ha spesso un ruolo rilevante.
Una deviazione fortuita su un tiro innocuo può portare a un gol, con conseguenze ovviamente enormi sullo svolgimento e il risultato finale di una partita. Il calcio è anche uno degli sport in cui la percentuale di successo effettivo delle squadre favorite risulta più basso. Ankersen e Benham valutano quindi il successo non in base ai soli risultati, ma a quella che viene definita "table of justice", dicitura difficile da tradurre, che potremmo considerare una sorta di "classifica corretta", un'estensione del modello degli expected goals. Al termine di ogni partita, a partire dai valori di xG accumulati dalle squadre, si possono calcolare gli expected points: per farlo si stima probabilisticamente quanti punti avrebbero dovuto raccogliere le due squadre a fronte delle occasioni create e concesse. Per fare un esempio, una squadra può vincere un partita 1-0 segnando con un unico tiro difficile (basso valore di xG) contro una che spreca molte buone occasioni (molti xG accumulati). La classifica vedrà la squadra vincente guadagnare tre punti, mentre i tre expected points per il match verranno in gran parte assegnati alla quella perdente (ad esempio 0.5 xP alla prima squadra e 2.5 alla seconda), che aveva creato più occasioni. Questi punti attesi, calcolati per ogni partita di ogni squadra della lega, vanno a comporre una classifica parallela a quella reale, in cui le squadre che producono più occasioni e ne concedono meno secondo i modelli degli xG raccolgono più punti rispetto a quelle con performance peggiori, indipendentemente dai gol segnati e subiti. Si tratta quindi di una sorta di classifica "ripulita" dalle anomalie statistiche e dalle over/under performance secondo i modelli degli xG.
La table of justice è solo uno dei KPI (Key Performance Indicators) che i dirigenti del Brentford considerano per analizzare e valutare in maniera oggettiva e razionale il rendimento di squadra e staff, piuttosto che basarsi sulla sola classifica, ritenuta troppo soggetta alla casualità. Benham e Ankersen ritengono che nel calcio si tenda a reagire in modo eccessivo agli eventi, lasciandosi guidare dall'emotività piuttosto che dalla razionalità.
Cosa avviene normalmente quando una squadra perde cinque partite di campionato di fila? Nella maggior parte dei casi l'allenatore viene esonerato. La storia del Brentford, che trovandosi in quella situazione all'inizio della gestione Thomas Frank ha deciso di tenere l'allenatore (che ha poi portato il club in Premier League) perché gli indicatori statistici erano positivi, insegna che può esistere un modo diverso di operare. Ovviamente Benham e Ankersen non sono due pazzi fanatici, e sanno bene che il loro approccio non è facile da digerire. Come raccontato dallo stesso Ankersen: "Dire alle persone che la classifica mente è come dirgli che la Terra è piatta. Tutti i loro preconcetti vengono messi alla prova, e i media non lo accetteranno perchè si basano sull'avere storie di tragedie e trionfi, quindi è una cosa difficile da dire, soprattutto quando stai facendo poco in termini di risultati".
Ma la table of justice non viene utilizzata come giustificazione, bensì come strumento di valutazione. Nel 2015 all'esperto tecnico Mark Warburton non venne rinnovato il contratto dopo un ottimo quinto posto e una semifinale playoff di Championship. La dirigenza riteneva che la squadra aveva avuto fortuna, e che le performance non fossero state così solide. Inoltre Warburton si era dimostrato poco collaborativo e insofferente rispetto ai metodi applicati nella gestione del club, ed era più volte entrato in contrasto con il management. Una differenza di vedute comprensibile, visto che Warburton era abituato al ruolo tipicamente britannico di manager, diverso da quello contemplato dal Brentford. La squadra infatti non ha un manager, ma un head coach, semplicemente un allenatore, in controtendenza con la tradizione inglese. L'organizzazione interna del Brentford è diversa: oltre all'allenatore sono previste due figure manageriali, i directors of football, uno dei quali è lo stesso Ankersen e al di sopra il proprietario, Benham.
Per sintetizzare il modello organizzativo del Brentford Ankersen utilizza l'esempo dell'orologio: l'allenatore è responsabile della lancetta dei secondi, ovvero delle situazioni giornaliere relative alla squadra, i directors of football rappresentano quella dei minuti e si occupano delle strategie di medio termine, in particolare del mercato, mentre il proprietario è la lancetta delle ore, che detta obiettivi e strategie di lungo periodo.
Con la gestione applicata dalla maggior parte dei club inglesi, si vive solo con la lancetta dei secondi: il manager deve pensare a vincere le partite, ma essendo incaricato anche di prendere decisioni di medio-lungo termine finisce per spendere soldi ragionando con l'orizzonte di una settimana, cosa che Ankersen definisce "senza senso". In alcuni casi, più estremi, il manager arriva ad occuparsi in prima persona di portare avanti trattative e di questioni economiche e gestionali, che sottraggono tempo e risorse al lavoro sul campo. Il ruolo di allenatore del Brentford richiede invece responsabilità molto più specifiche e concentrate: l'head coach deve preoccuparsi solamente di far rendere sempre al meglio la squadra e gestire le eventuali problematiche quotidiane, oltre ad abbracciare la metodologia utilizzata nella costruzione della squadra. L'allenatore non viene escluso dal processo di selezione e valutazione dei vari profili descritto prima, che devono sempre essere compatibili con il modello di gioco e i princìpi tattici della squadra, e viene coinvolto e ascoltato nella scelta di quali giocatori acquistare, ma non detiene il potere di veto solitamente riservato ai manager tradizionali.
La squadra di Thomas Frank
Ovviamente fare dell'ottimo player trading non assicura di vincere le partite. Anche i dati, come detto, possono essere sfruttati in tanti modi, come la valutazione della performance, lo studio maniacale delle palle inattiva, l'individuazione di situazioni in cui la squadra deve migliorare, fino ad arrivare alla personalizzazione del percorso di crescita e allenamento dei singoli giocatori con anche l'ausilio di psicologi. Nel weekend però bisogna scendere in campo e far fruttare tutta questa mole di lavoro.
Nel corso delle ultime stagioni il tecnico Thomas Frank ha cercato di mantenere stabili alcuni princìpi, permettendo così alla squadra di avere sempre un'identità precisa e certezze a cui appoggiarsi anche in momenti di difficoltà o di transizione dopo la sostituzione di giocatori importanti. Le principali influenze dell'allenatore danese arrivano dalla scuola nordeuropea e tedesca in particolare. Pressione alta, riaggressione, gegenpressing, intensità elevata sono tutti concetti che hanno caratterizzato il modello di gioco delle Bees nelle ultime stagioni in Championship. Anche per quanto riguarda la fase offensiva il tecnico ha cercato di utilizzare strumenti mutuati dal gioco di posizione, con una propensione a controllare il pallone mantenendo però una certa verticalità e sfruttando molto le transizioni brevi dopo le riaggressioni.
Nella prima partita contro l'Arsenal, complice forse anche l'emozione per il ritorno in Premier, oltre alla superiorità tecnica, almeno sulla carta, dei Gunners, il Brentford ha invece approcciato la gara in modo diverso. Il pressing alto è stato limitato (PPDA di oltre 16, indice di una pressione molto più cauta rispetto all'Arsenal, a 5.77), e la squadra si è posizionata con un blocco medio-basso difendendo con una notevole aggressività (23 contrasti nei primi 2/3 di campo, contro i solo 7 dell'Arsenal). Anche l'Arsenal ha però adattato il proprio piano gara alle caratteristiche del Brentford, soprattutto per limitare le possibilità di pressing alto delle Bees. Con il recupero del pallone abbassato di diversi metri, si sono di conseguenza allungati il campo da attaccare e le transizioni offensive una volta riconquistato il pallone, e anche se l'Arsenal ha avuto una maggiore supremazia territoriale in termini di possesso palla (65%), passaggi in area avversaria e tiri, il Brentford nel complesso ha saputo costruire occasioni di migliore qualità rispetto agli avversari. Sarà interessante vedere nel corso della stagione che tipo di calcio riuscirà a proporre il Brentford, soprattutto quando affronterà squadre con un livello tecnico più simile al suo e che lasceranno di più il controllo del pallone agli uomini di Frank.
E ora?
Benham, Ankersen e le loro due squadre hanno dimostrato che l'approccio scelto può funzionare molto bene; nessuna formula magica, si tratta solo di minimizzare i rischi, cosa che alla lunga paga sempre. Ora la squadra di quartiere dovrà affrontare una prova durissima, nel campionato più ricco e competitivo al mondo. Una volta arrivati in Premier League, e dopo aver esordito con una vittoria contro l'Arsenal, è difficile rimanere underdog a lungo.
Per quanto riguarda il mercato la metodologia del Brentford, che ha prodotto risultati straordinari ed è riuscita a scalare ed adattarsi al crescere del livello della squadra e dei giocatori, dovrà dimostrarsi efficace anche per la Premier League. Trovare giocatori con potenziale inespresso e un prezzo basso poteva funzionare bene in League One e in Championship, ma scovare giocatori da Premier League in seconde divisioni e campionati poco battuti è molto più difficile. D'altro canto ora il club ha molti più fondi a disposizione per operare, e infatti ha dovuto operare acquisti più costosi: Ajer, centrale del Celtic tutt'altro che sconosciuto, Onyeka, mediano ipercinetico arrivato dalla satellite Midtjylland, e Wissa, attaccante arrivato dal Lorient, tutti costati più di dieci milioni di euro.
Moneyball?
“I don’t think a lot of what we do is rocket science, but where we may be ahead still is that this is driven from the top. It’s not two interns in the basement working with data. The belief system comes from Matthew, from me and it filters down." Questa è una frase di Ankersen, una di quelle che mi hanno colpito di più, e che quindi ho scelto di non tradurre per evitare di alterarne in alcun modo il senso passando per l'Italiano. Come dice Ankersen, nella gestione del Brentford non viene fatto nulla di fantascentifico (non si tratta, per l'appunto, di scienza missilistica), ma quello che viene fatto sembra avanguardia in un settore dove spesso questo tipo di approcci sono poco compresi, anche ai livelli più alti.
Spesso viene affibbiata al Brentford l'etichetta di squadra 'Moneyball' del calcio. Si potrebbe discutere sul fatto che il riferimento sia calzante o meno, visto che nella storia di Billy Beane si parla di baseball, uno sport in cui le statistiche erano già applicate nello scouting, e che la sua grande intuizione fu quella di considerarne alcune che erano ritenute poco importanti per individuare giocatori di grande valore a basso prezzo. Lo stesso Benham ha dichiarato di odiare il paragone, perchè lo ritiene fuorviante. Secondo lui, quando le persone sentono parlare di Moneyball pensano a qualche nerd che usa qualunque statistica applicata al gioco, mentre il vero punto è capire quali metriche sono davvero rilevanti per comprendere e prevedere le cose, e poi saperle sfruttare.
E, anche in questo caso, Benham ha ragione. Sulla stampa e sui media generalisti, quando viene trattato l'argomento statistiche, è difficile non avvertire un certo senso di ostilità e volontà di derisione. La verità è che probabilmente si tratta semplicemente di avversione verso ciò che non si vuole (o forse non si è in grado di) capire. Questo fa parte della natura umana, ma come dice Ankersen, non stiamo parlando di scienza missilistica, per capire come funzionano gli expected goals sono sufficienti concetti di matematica delle medie.
Invece si finisce col leggere dei big data che hanno fatto perdere la finale degli Europei all'Inghilterra perchè i rigoristi li ha scelti un algoritmo, ma si parla molto meno di Tuchel che dopo la vittoria in Supercoppa Europea sottolinea che il cambio tra Kepa e Mendy prima dei rigori non è stata una sua intuzione geniale ma semplicemente una mossa preparata e basata sul fatto che statisticamente Kepa si era dimostrato migliore del francese in quella situazione. Probabilmente il sentimento mainstream di nostalgia "per il calcio di una volta", che era un gioco semplice (e migliore), non può tollerare dati e statistiche che lo rendono solamente più complicato e noioso, senza avere alcun impatto concreto.
La verità è all'opposto. In una recente intervista a l'Ultimo Uomo, Antonio Gagliardi, allenatore e match analyst della nazionale italiana oltre dieci anni, e la scorsa stagione inserito anche nello staff di Pirlo alla Juventus, ha raccontato il contributo che assieme al suo team e ai dati ha saputo dare concretamente nella gestione tecnica della squadra che ha poi portato lo straordinario risultato finale. Un passaggio dell'intervista è molto interessante: "A me non piace tanto la definizione di molti, quando dicono: utilizzo il dato per confermare ciò che ho già visto. Io invece uso i dati perché mi mostrino qualcosa che non ho visto. Se sono sicuro di quello che ho visto dal punto di vista tattico, che il dato mi conforti mi importa poco. Mi importa molto di più quando il dato mi segnala un aspetto particolare che in precedenza mi era sfuggito. Ci credo talmente tanto nel dato che deve darmi qualcos’altro. E spesso me lo dà.".
L'approccio del Brentford può essere applicato in tutti i club? Ovviamente no, ma queste metodologie sono sufficientemente flessibili da poter essere adattate alle singole realtà, come è stato fatto con il Midtjylland, il Leicester, il Barnsley, l'Atalanta, o nei club della galassia Red Bull, senza contare i club di alto livello che già hanno investito in team di data analyst. La realtà è che il calcio è un business, le società non fanno beneficenza, e non esiste al mondo un altro settore in cui somme di denaro così elevate vengono gestite in modo tanto irrazionale e influenzato dall'emotività. Trovandosi a gestire capitali così importanti, nessuna persona lucida si affiderebbe solo alle proprie idee e percezioni, ignorando il supporto di strumenti in grado di ridurre i rischi, che come in ogni impresa non possono essere totalmente azzerati.
In più, vista la situazione critica affrontata negli ultimi due anni da quasi tutti i club a causa della pandemia, anche a livello economico, questo sarebbe un ottimo momento storico per provare a innovarsi e implementare approcci data-driven. In particolare i club italiani, che hanno accusato duramente il colpo come dimostra anche la difficile finestra di mercato appena conclusa, e devono confrontarsi a livello europeo con una concorrenza spesso dotata di risorse superiori, avrebbero un estremo bisogno di strumenti per minimizzare i rischi nell'acquisto dei giocatori, creare valore sul mercato e razionalizzare le risorse. Chi non lo farà corre rischio di essere lasciato indietro e dover poi faticare per colmare il gap con i competitor negli anni successivi. Il calcio, visto il peso importante della casualità, lascerà sempre spazio per qualche sorpresa, ma chi non saprà evolversi, alla lunga, rischia di subire un forte ridimensionamento. Anche per quanto riguarda i media, i tempi sarebbero maturi per lasciarsi alle spalle un po' di nostalgia e provare a evolvere la comunicazione, anche attraverso un uso intelligente delle statistiche, per cercare ad alzare un po' il livello del dibattito e della narrazione sportiva.
E per non dover aspettare una nuova impresa del Brentford per leggere storie come questa.
Ti potrebbe interessare
Dallo stesso autore
Newsletter
Iscriviti e la riceverai ogni sabato mattina direttamente alla tua email.