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Europeo
, 15 Luglio 2021

Vincere l'Europeo significa solo vincere l'Europeo


Forse è il caso di dire basta a questo tipo di retorica meschina.

«Il riscatto italiano dell’Italia dalla tragedia del Covid». «L’Italia dell’Europa unita batte l’Inghilterra della Brexit»; «Lo sport italiano inverte la gerarchia delle parole: collettivo, comunità, interesse generale prevalgono su quello individuale»; «La vittoria dell’Europeo è la vittoria di un’intera nazione, tutto il mondo guarda l’Italia con ammirazione»; «La vittoria dell’Italia di Draghi»; «La dimostrazione che l’Italia vuole ripartire, il simbolo di un paese ferito e della sua voglia di ripartenza».

Eccetera, eccetera, eccetera.

A poco più di 24 ore dalla vittoria dell’Italia nell'Europeo, il carro dei vincitori è sul punto di strabordare. Così pieno che le ruote stanno scricchiolando, gli assi si stanno pericolosamente flettendo sotto il peso di responsabilità dalle quali il calcio e lo sport in genere dovrebbero essere esenti. Non ce l’ho con le centinaia di migliaia (se non milioni) di persone normalmente disinteressate a questo gioco e che, con cadenza più o meno biennale, vengono trascinate dalla corrente dell’entusiasmo collettivo.

Per chi vuole festeggiare, per chi vuole partecipare alle celebrazioni di un momento generazionale, per chi vuole dire «Io c’ero!» e conservare il ricordo di una notte che, volenti o nolenti, rimarrà impresso nella memoria dell’intero paese, sul carro dei vincitori c’è sempre posto. Per le lacrime di gioia, per i brindisi, per una maglia azzurra o una bandiera legata alla schiena, si riesce a trovare spazio anche all’ultimo.

Chi è davvero fuori luogo sono quelli – normalmente volti pubblici con precisi interessi – che decidono di caricare sul carro i propri fardelli, di decorarlo con nappe e nastrini di colori legati ai propri interessi politici. Qualcuno penserà che tutto questo è normale, che accade ogni volta, che è accaduto in ogni paese del mondo (anche in situazioni ben più gravi e pesanti di quelle italiane) e in ogni periodo della storia, per lo meno dalle Olimpiadi antiche in avanti.

Bisogna anche ricordarsi che al giorno d’oggi, l’appropriazione da parte della politica dei successi sportivi e artistici è una caratteristica dei populismi più sfacciati e delle democrazie un po’ meno democratiche.

La vittoria dell’Italia all'Europeo non è in alcun modo un riscatto dalla pandemia: nella pandemia siamo ancora immersi, se non fino al collo, quantomeno fino ai gomiti. Non lo è perché si tratta di una pandemia, ha colpito duramente tanto l’Italia quanto altri paesi, tra i quali l’Inghilterra nostra avversaria in finale. Vedere un collegamento tra i due eventi mi sembra, oltre che totalmente illogico, per nulla rispettoso nei confronti delle vittime non italiane.

La vittoria dell’Italia all'Europeo non cambierà nemmeno il nostro modo di vivere o vedere il mondo, relegando alla collettività il primato sull’individuo: il calcio è uno sport di squadra, necessariamente si basa sulla cooperazione e la coordinazione tra individui, indipendentemente dal modo di interpretare il gioco o dal risultato finale.

La vittoria dell’Italia all'Europeo 2020 non è nemmeno la vittoria di un’intera nazione: è la vittoria dei 26 migliori calciatori con cittadinanza italiana. Noi non abbiamo nulla a che fare, non abbiamo alcun merito, siamo meri spettatori che (giustamente) godono dei dolcissimi frutti di un’impresa compiuta da altri.

La vittoria dell’Italia all'Europeo è, molto semplicemente, il meritato traguardo raggiunto da un gruppo di giocatori e da uno staff tecnico che da anni lavorano a questo obiettivo.

È la vittoria di Roberto Mancini: un CT che nonostante i successi in patria e all’estero non veniva considerato tra i grandi e che invece ha saputo dimostrare tutto la sua abilità proprio nel contesto che, da calciatore, gli aveva dato meno soddisfazioni. È la vittoria di Gianluca Vialli, capo delegazione che, nonostante anni di lotta contro il cancro, si è saputo continuamente mettere in gioco e reinventare con grande coraggio.

È la vittoria di Leonardo Bonucci e Giorgio Chiellini, una delle migliori coppie di difensori centrali nella storia ma che non era mai riuscita a vincere in Europa.

Gianluigi Donnarumma, che attraverso l’eccellenza del proprio lavoro è riuscito a mettere a tacere le fastidiosissime voci che da mesi lo additavano e insultavano a causa delle scelte contrattuali.

Giovanni Di Lorenzo, che una manciata di anni fa giocava nel Matera. Leonardo Spinazzola, che ha dovuto seguire a distanza tutte le partite più importanti per la rottura del tendine d’Achille. Emerson Palmieri, che ha sostituito Spina degnamente.

Matteo Pessina e Manuel Locatelli, dei loro gol tanto inaspettati quanto decisivi. Marco Verratti, anche lui alla ricerca della vittoria in una competizione internazionale.

Nicolò Barella, Rafael Toloi, Ciro Immobile, Lorenzo Insigne, Federico Chiesa, Salvatore Sirigu, Alex Meret, Alessandro Florenzi, Francesco Acerbi, Alessandro Bastoni, Jorginho, Gaetano Castrovilli, Bryan Cristante, Domenico Berardi, Federico Bernardeschi Andrea Belotti, Giacomo Raspadori e tutti membri dello staff tecnico, ognuno con la propria storia alle spalle. Storie umane – e per questo di per sé interessanti – che non hanno bisogno in alcun modo di una narrazione epica e nazionalpopolare per accrescerne senso e importanza.

È anche una vittoria fondamentale - che potrebbe fungere da spartiacque - dal punto di vista tecnico e tattico. Finalmente, proprio perché si trattava degli azzurri, la totalità degli italiani sembra avere accettato che la costruzione dal basso può essere molto utile e poco rischiosa. L’uscita palla da Donnarumma verso Bonucci e, da lì, Barella, Verratti o Jorginho si è dimostrata efficace e piacevole agli occhi. Divertente ma non leziosa. L'Italia dell'Europeo itinerante ha saputo affermare anche altri princìpi ancora troppo poco apprezzati, che altrove sono la norma da anni: recupero palla immediato, possesso come strumento difensivo, persino il falso nueve per gran parte di una finale europea.

Il gioco costruito da Mancini nel corso degli anni, meravigliosamente implementato dai giocatori in campo, potrebbe essere, a livello di percezione mediatica e collettiva, la più importante conseguenza a lungo termine di questo Europeo. La dimostrazione più concreta che l’Italia può vincere – anche sapendo soffrire – senza ricorrere sempre al catenaccio&contropiede (scelta tattica rispettabilissima, ma che in Italia viene spesso presentata come l’unica realmente virile di affrontare una partita di calcio).

La vittoria dell'Europeo è stata straordinaria. È stato il coronamento di un percorso sportivo senza eguali nella storia del nostro paese: 34 partite consecutive senza sconfitte, stracciato un record che risaliva ad oltre 80 anni fa. Un trionfo inaspettato di una squadra che non partiva certamente tra le favorite, costretta a convivere con infortuni pesanti. La chiusura del cerchio per tanti membri della panchina che 29 anni fa a Wembley avevano pianto le lacrime più amare della loro carriera. Un punto di svolta nella carriera di molti calciatori. Soprattutto, un momento di celebrazione collettiva che ha concesso qualche ora di speciale normalità dopo un anno e mezzo di paura e restrizioni.

Abbiamo tanto da festeggiare, tanti aspetti positivi di cui fare tesoro e tantissime storie da raccontare: approfittiamone, per una volta, e cerchiamo di allontanarci dall’inutile e dannosa retorica che ci viene propinata.

(L'articolo era originariamente uscito all'interno di “Catenaccio”, la nostra newsletter. Approfondimenti sulla settimana sportiva, consigli culturali, compilation di cose brutte e tante altre cose interessanti. Se non ci sei ancora iscritto e vuoi riceverla ogni sabato mattina, questo il link dove registrarsi: Catenaccio - La newsletter di Sportellate.it | Substack)

  • Genovese e sampdoriano dal 1992, nasce in ritardo per lo scudetto ma in tempo per la sconfitta in finale di Coppa dei Campioni. Comincia a seguire il calcio nel 1998, puntuale per la retrocessione della propria squadra del cuore. Testardo, continua imperterrito a seguire il calcio e a frequentare Marassi su base settimanale. Oggi è interessato agli intrecci tra sport, cultura e società.

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