Considerazioni sparse post Argentina-Colombia (3-2 d.c.r)
La finale di Copa America sarà quella pronosticata tra Argentina e Brasile. Il percorso che ha portato le due squadre a giocarsi il trofeo però, non è stato similare: se il Brasile è approdato alla partita conclusiva con un percorso netto, l'Argentina ha viaggiato sulla linea che delimita virtù e peccato, paura e delirio, salvezza e perdizione.
- I due Martinez - ovvero Dibu e Lautaro - La Pulga e Scaloni. Questi i protagonisti che hanno permesso ad un Albiceleste bruttina di superare una Colombia combattiva ma che si è lasciata intimorire nel momento clou della partita. Il primo gol, arrivato agli albori del match, è un'invenzione di Messi che, di spalle, percepisce la presenza di Lautaro al centro dell'aria cafetera e gli regala un rigore in movimento che El Toro, non sbaglia. El grito de Messi si alza feroce nello stadio vuoto, finalmente l'Argentina vede il suo trascinatore e si riconosce in Leo. La caviglia gonfia a fine partita e quella stigmata sul calzettone lo avvicinano un po' di più a Diego;
- In Argentina, dove le emozioni vengono vissute con moderazione e garbo, parlano già di Maracanazo, chiaramente irridendo una vera tragedia brasiliana, dimenticandosi, però, che anche loro hanno vissuto un dramma similare emotivamente e sportivamente. Si deve tornare, infatti, agli anni '90. Avversario proprio la Colombia. Nel tempio dei Millonarios (El Monumental) la Seleccion verrà sconfitta 5-0. La derrota total. La Verguenza come titolerà El Clarin. Ben esprimono quella partita due dei più alti intellettuali sudamericani di tutti i tempi. Dal lato colombiano Gabriel Garcia Marquez: "Una volta mi hanno detto che in questo secolo ci sono stati tre soli grandi avvenimenti, in Colombia: lo scoppio de La Violencia nel 1948, la pubblicazione di ‘Cent’anni di solitudine’ nel 1967 e la sconfitta per 5-0 dell’Argentina per mano della nazionale colombiana nel 1993. E sapete qual è la cosa peggiore? Che è tutto vero.” Lato sinistro del Rio de La Plata Osvaldo Soriano che scrivendo nell'immediato pre partita ammonirà la sua nazionale, affermando che l’Argentina dovrà marcare “il vecchio” (Valderrama), far sì che “Freddy” (Rincón) non vada in contropiede e preoccuparsi del “ciccione” (Valenciano), concludendo così: "Se la tribuna ruggisce per novanta minuti, se Dio Nostro Signore accetterà di stare ancora una volta dalla nostra parte, se la Colombia sarà in giornata storta, allora possiamo vincere“. Entrambi avranno ragione: Dios no se fue co los argentinos, la tribuna ruggirà per 90' al grido di "Narcotraficantes, Narcotraficantes" e i Cafeteros non saranno in giornata storta ma segneranno la storia moderna del loro paese. In quella fredda giornata di Buenos Aires ne metteranno 5, ammutolendo una nazione intera;
- "Mirá que te como hermano, mirá que te la tapo; te como, te como", tutta qui la sintesi di una prestazione, come si diceva, monumentale di Dibu Martinez che ha imposto la paura ai rigoristi colombiani sfidandoli, innervosendoli, nascondendo i suoi umani timori attraverso la creazione del nemico. Però pagò e parò questo atteggiamento e, infatti, sbagliano più di quelli argentini. "Tiene una mezcla de Lord inglés y potrero": a Buenos Aires si sono convinti, finalmente, di avere un portiere all'altezza delle aspettative;
- Lato Colombiano si può dire che non ci sono rimpianti. Per larghi tratti della partita è stata decisamente superiore all'Albiceleste, come candidamente ammesso da ogni commentatore argentino. Gioco fluido, armonioso che ha costretto Messi e compagni ad andare sino all'ultimo rigore e ad affidarsi al Dibu per poter vincere. La pecca, se di tale si può parlare visto che la lotteria è sempre cinica e spietata e non regala nulla al merito sul campo, è lì: mancanza di freddezza sul dischetto. Ma, forse, questa sconfitta farà definitivamente diventare grande questa selezione;
- Se si scorrono i quotidiani sportivi argentini in ogni commento emerge la bramosia di portare a casa "un titulo" a distanza di 28 anni dall'ultimo. Il rimedio a El Maleficio, sabato, potrebbe essere Messi che così infrangerebbe il suo e quello della squadra di cui è capitano e vederebbe la sua consacrazione in un paese che non si riconosce nel suo Diez. Un paese che pur ammirandone la classe adamantina, non riesce proprio ad amarlo fino in fondo. Sabato c'è la possibilità di cambiare in parte le sorti del rapporto, ma di fronte avranno un Brasile che ha trovato dopo molti anni e grazie al lavoro raffinato di Tite, un equilibrio tra la sua natura sudamericana e funambolica ed il suo stile europeo rigido e freddo.
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