Considerazioni sparse post Polonia-Slovacchia (1-2)
A San Pietroburgo, in questo periodo dell'anno, la luce non concede mai campo all'oscurità, eppure per i biancorossi è già notte fonda.
- Nell'articolo di presentazione di questa Polonia spiegavamo come l'improbabilità caratterizzasse il modo di essere dei polacchi, ma non pensavamo che questo tratto distintivo potesse estendersi ai portoghesi. Ci ha pensato Paulo Sousa a farci ricredere. Il tecnico lusitano, per la prima volta da quando siede sulla panchina biancorossa, ha stupito tutti: ha abbandonato il consueto 3-1-4-2 che aveva utilizzato fino ad ora, ha rivoluzionato il proprio 11 titolare e ha rinunciato a schierare almeno un'altra punta al fianco di Lewandowski, eppure le cose, alla fine, non sono andate come aveva sperato. La scelta di rinfoltire il centrocampo inserendo Klich e Linetty, comprensibile a priori, non ha prodotto l'auspicato effetto di aumentare le linee di passaggio a disposizione di Krychowiak e non ha aiutato la squadra ad accelerare la manovra: il risultato è che nel primo tempo (e per buona parte del secondo) la Polonia ha portato tanti uomini nella tre-quarti avversaria, ma è rimasta lenta e sterile in fase offensiva, esattamente come nelle precedenti uscite;
- Se da una parte la palla non è mai arrivata alle punte, anzi all'unica punta schierata dai biancorossi, dall'altra ci è arrivata anche troppo spesso, e tutto ciò nonostante la Slovacchia fosse scesa in campo senza un vero e proprio attaccante, bensì con una coppia di centrocampisti offensivi, Duda ed Hamsik, che sulla carta sembravano non poter in alcun modo impensierire la retroguardia polacca: non è stato così;
- Non è stato così è anche per merito di Stefan Tarkovic. Il tecnico slovacco, infatti, al contrario del collega, non ha sbagliato alcuna mossa. Il suo 4-2-4 (talvolta 4-2-3-1 in fase di possesso) si è rivelato adattissimo a sorprendere la difesa biancorossa alle proprie spalle: Kucka ha interpretato egregiamente il duplice ruolo di centrocampista interno e trequartista (quando "Marechiaro" arretrava in mediana); le scalate e i cambi di marcatura hanno funzionato a meraviglia (e ciò ha permesso agli slovacchi di impedire ricezioni tranquille ai centrocampisti biancorossi) e l'attacco ha girato alla perfezione grazie alla saggezza e all'eccellente visione di gioco dimostrata proprio da Duda. Il biondo trequartista ossigenato ha dispensato decine di passaggi precisi e ribaltamenti di lato impeccabili e si è meritato pienamente il titolo di nostro "man of the match";
- L'unica debolezza dimostrata dai "falchi" è stata l'approccio con cui hanno affrontato la seconda frazione di gioco. La nazionale guidata da Tarkovic all'intervallo si è forse specchiata un po' troppo in se stessa e così, al rientro degli spogliatoi, sicura della propria superiorità, si è lasciata sorprendere da una celere stoccata "sporca" di Linetty. L'errore poteva costare caro, perché la Polonia aveva riacquistato fiducia e se Krychowiak non avesse rimediato il secondo giallo, forse a San Pietroburgo la notte sarebbe calata anzitempo proprio sugli uomini di Tarkovic;
- In chiusura, degno di menzione l’autogol di schiena di Szczesny (tradito dal rimbalzo del pallone sul palo a lui più vicino), perché figlio di un'azione solitaria ordita e portata a termine dal protagonista che non t'aspetti; un giocatore che tra marzo e settembre 2020 era addirittura finito senza squadra: Robert Mak. L'ala del Ferencvaros, dapprima ha dribblato Jozwiak sulla corsia laterale sinistra, poi ha superato in tunnel Bereszynski, infine, entrato in area di rigore, ha scagliato un preciso diagonale rasoterra sul quale il portiere della Juventus nulla ha potuto. Un vero peccato che un gol così bello non gli sarà attribuito.
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