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, 26 Maggio 2021

Quando il Cienciano portò la Copa Sudamericana in Perù


In un'impresa storica che ha visto cadere diverse grandi storiche del Sudamerica.

In un periodo dove si fa un gran parlare di Superlega, di riforma della Coppa Italia, di un calcio che sembra voler essere sempre più esclusivo a svantaggio proprio di quelle piccole realtà che invece di calcio vivono, abbiamo voluto ripescare dal libro una storia che racconta l'esatto opposto. Quella del Club Sportivo Cienciano, squadra della città di Cuzco, Perù, a oltre 3000 metri sul livello del mare. Una squadra non blasonata, ma che nel 2003 è riuscita a compiere l'epica impresa di vincere la Copa Sudamericana (corrispettivo dell'Europa League) superando nel suo percorso avversari molto più quotati come l’Universidad Catolica di Santiago del Cile, i colombiani dell’Atletico Nacional di Medellin, i brasiliani del Santos e gli argentini del mitico River Plate.

Un’epopea che non aveva avuto eguali nella storia del calcio peruviano e che è andata ben oltre il calcio giocato, liberando un sentimento di riscatto sociale sempre represso di un popolo, quello peruviano, che non ha mai perso l'orgoglio Inca ma che è per lo più formato da Cholos: milioni di persone arrivate dalle Ande in cerca di fortuna che abitano sterminate distese di baraccopoli dei grandi centri economici. Come Luz, il protagonista della nostra storia.

La mattina del 19 dicembre 2003 sul treno Cuzco-Puno-Arequipa ci sono anche Luz e suo fratello che, assieme ad altre migliaia di persone, ne raggiungono altrettante arrivate ad Arequipa in auto il giorno prima. Una trasferta amara, politica, che tuttavia non ha privato i Burritos del loro entusiasmo. Non si tratta di un viaggio della speranza, da emigrati, da ultimi, da discriminati, ma di un viaggio da protagonisti, da rappresentanti di quel paese che li ha sempre e dappertutto trattati da Cholos. Sempre e dappertutto, o quasi. La finalissima di Copa Sudamericana contro il River Plate, infatti, non si sarebbe potuta giocare allo stadio Garcilaso de la Vega di Cuzco, bensì al Monumental Virgen de Chapi ad Arequipa. Una decisione presa dalla CONMEBOL (Confederación Sudamericana de Fútbol) su pressione del River Plate, che protesta per la capienza minima del Garcilaso de la Vega ma anche, in particolar modo, per la sua altezza rispetto al livello del mare, che avrebbe causato agli argentini non pochi problemi di acclimatamento e respirazione durante la partita. Cosa a cui i peruviani, invece, erano ovviamente abituati.

Roberto Baggio in visita a Cuzco (Perù) posa con la maglia del Cenciano.

Quel che forse la CONMEBOL ha fatto finta di non sapere, però, è che il FCB Melgar, la squadra di Arequipa, è un’acerrima antagonista del Cenciano. Ma tifosi del Melgar non hanno nessuna intenzione di creare disordini davanti agli occhi di tutto il Sudamerica, anzi. Sono così convinti che il Cienciano rimedierà una sonora batosta dai blasonati Millonaros del River che acquistano in massa i biglietti per assieparsi insieme ai supporters argentini e tifare con loro per una disfatta epocale che sarebbe rimasta nella storia: gli Asinelli del Cienciano umiliati nella tana dei Leoni del Sud di Arequipa. E probabilmente non è un caso che i giocatori del River Plate si presentano in campo con un’insolita divisa rossonera, proprio i colori del Melgar. Tra le fila del River due cileni: l’allenatore, il celebre Manuel Pellegrini, e Marcelo Salas detto El Matador, reduce dalle esperienze italiane con Lazio e Juventus. Elementi di spicco nella rosa, inoltre, sono l’attaccante Maxi Lopez, che di lì a un anno sarà acquistato dal Barcellona, e i nazionali albiceleste Gallardo (l’attuale allenatore del River Plate), Mascherano, Lucho Gonzalez e Ricardo Rojas.

Dall’altra parte, un manipolo di giocatori su cui nessuno avrebbe scommesso un centesimo: per i bookmakers sono già dei miracolati ad aver raggiunto una finale di quel livello. Un gruppo di calciatori vecchi, che a inizio stagione non voleva nessuno, riciclati per questo da una società vicina alla bancarotta che non aveva mai avuto grandi ambizioni sportive. Il portiere e capitano è il trentasettenne argentino Ibanez, che già l’anno prima avrebbe voluto ritirarsi dall’attività agonistica. Altri giocatori degni di menzione sono il difensore paraguaiano Carlos Lugo, recuperato da una squadra retrocessa nella B peruviana la stagione precedente, esattamente come la punta colombiana Rodrigo Saraz, Cesar Cahuantico, cusqueño doc, che fino all’anno prima giocava con una squadra semi-dilettantesca di Cuzco, il difensore Giuliano Portilla e il centrocampista Carlos Maldonado, rispettivamente di 38 e 40 anni.

Una formazione che sulla carta non avrebbe avuto nessuna possibilità. L’allenatore, però, è Freddy Ternero, che non è solo un ex difensore e un ottimo allenatore (è ancora oggi il tecnico peruviano ad aver vinto più titoli a livello internazionale), ma è anche un uomo colto e politicamente impegnato, tanto da avere addirittura amministrato come Alcalde (Sindaco) il Distretto di San Martín de Porres tra il 2007 e il 2010.

Sugli Spalti
Allenatore, politico, psicologo, stregone: Freddy Ternero

Sin dagli albori della stagione, Ternero prova a trasmettere a quella che appare solo come una banda di scalcagnati del pallone i suoi ideali fondamentali, basati sul riscatto sociale, il legame con la comunità e il rapporto con la propria storia. Il suo obiettivo è, infatti, quello di far incarnare alla squadra la voglia di riscatto dei Cholos comune a tutta la popolazione cusqueña (e in gran parte peruviana). Per far ciò, egli lavora alacremente sulla psicologia dei giocatori, attingendo alle fonti e ai metodi più disparati. Cita spesso passi dalla Bibbia, riunisce tutti la sera per vedere insieme film americani dove il discriminato poi si tramuta in eroe, racconta ai giocatori di come la cultura Inca per secoli abbia dominato il Sudamerica, trasportando questo progetto sul campo col nome poco equivocabile di “riconquista Inca”.

Il suo mantra Sì, se puede – in seguito motto del Cienciano e poi perfino della nazionale peruviana (c'è chi dice addirittura ripreso da Obama...) – instilla nei calciatori e nell’intero ambiente la consapevolezza che, attraverso la determinazione, si potessero raggiungere traguardi impensabili. Alcuni giocatori racconteranno in seguito che talvolta negli spogliatoi Ternero presiede addirittura allo svolgimento di rituali Inca, come far girare un mate con la cosiddetta Maca, un integratore alimentare naturale simile al ginseng, usato per millenni dalla medicina tradizionale andina come energizzante e ricostituente. Allenatore, politico, psicologo, stregone: con questi metodi Freddy Ternero ha costruito, più che una squadra di calcio, un’autentica armata, trasformando un gruppo con poche capacità tecniche sul piano del gioco in un vero e proprio battaglione per la causa.

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Il battaglione rosso del Cenciano.

In questo contesto, non è difficile immaginare sino a che punto la finale di Copa Sudamericana col River Plate sia stata vissuta da tutto l’ambiente del Cienciano come una sorta di riconquista della propria dignità. Sin dalla partita d’andata al Monumental di Buenos Aires il campo trasuda agonismo: sei ammoniti e parecchie zuffe al limite della rissa a contornare lo scoppiettante 3-3 finale, maturato grazie al gol di Salas e alla doppietta di Maxi Lopez, per gli argentini, alla rete di Carty e alla sorprendente doppietta di Portilla, per i peruviani.

Quando i giocatori del Cienciano scendono in campo al Monumental Virgen de Chapi per la partita di ritorno contro quelle strane maglie rubronegre, sanno di dover dare battaglia senza risparmiarsi su un terreno ostile, sebbene scoprano, con grande sorpresa, che in realtà la maggior parte dell’impianto è comunque occupato dai Burritos provenienti da Cuzco.

La forza dirompente dei campioni del River Plate però non è facile da contenere e il palo alla sinistra di Ibanez trema subito sul fendente di Gallardo. I rossi sono tutti schiacciati nella propria area di rigore e anche il destro di Montenegro – subentrato dopo un quarto d’ora all’infortunato Salas – sibila di poco alto come un proiettile schivato di un niente. Poco dopo Ibanez deve letteralmente volare per sventare un gran colpo di testa di Lucho Gonzalez. Si gioca a una porta sola per tutto il primo tempo: sembra il preludio di una goleada imminente.

Immagine da Cienciano-River Plate
Il River Plate provocatoriamente in campo con una maglia rossonera, i colori del Melgar.

Nella seconda frazione il canovaccio non cambia, anzi, peggiora. Perché al 59° Juan Carlo La Rosa, sfinito e innervosito dal continuo palleggio avversario, va a spazzare a occhi chiusi una palla vagante a centrocampo con tutta la forza che ha. La sua gamba si slancia talmente in alto, talmente potente e incontrollata, che, oltre alla palla, La Rosa sferra un calcione anche a Oscar Ahumada. Per l’arbitro non ci sono dubbi: è cartellino rosso, e il Cienciano resta in dieci uomini. Lo stesso Ahumada poco dopo prende la base alta della traversa con un cross: il segnale che l’arrembaggio del River Plate può ricominciare. E in superiorità numerica, sarà più forte di prima. La resistenza del Cienciano però è veemente. I Burritos di Cuzco provano a buttare la palla avanti come possono, cercando di uscire fuori dalla propria metà campo e respirare. In una di queste sortite, Ricardo Rojas atterra malamente il vecchio Maldonado, beccandosi il giallo.

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Maxi Lopez sarà di lì a poco acquistato dal Barcelona.

La punizione è dai 25 metri circa e sul pallone ci va il paraguaiano Lugo. Il portiere del River, Costanzo, mette tutti i più alti in barriera chiedendo loro di saltare. Lugo è un difensore di 1 metro e 88, cercherà sicuramente la soluzione di potenza, avrà pensato. Invece Lugo prova il destro a rientrare, come tante volte ha visto fare al suo idolo, il portiere goleador Chilavert, che si ritirerà dalla Nazionale paraguaiana all’indomani di quella finale, proprio quando Lugo riuscirà finalmente a collezionare i suoi unici due gettoni di presenza in carriera. Insomma, Lugo prova la foglia morta, ma avrà almeno 44 o 45 di piede e gli esce un tiro che non è un capolavoro dell’arte balistica: una ciabattata che, però, per volere assurdo e divino dei numi che governano il pallone, va a infilarsi nell’unico spiraglio di luce che si apre nella folta barriera dei Millonarios, tra Montenegro e Maxi Lopez, che forse la tocca pure. Costanzo, che già si è mosso un passo avanti e uno a destra pensando appunto a un tiro di potenza sul suo palo, si tuffa inutilmente alla sua sinistra per prendere un pallone che, fosse rimasto fermo, avrebbe agguantato senza nemmeno doversi distendere.

Sugli Spalti
Costanzo si tuffa inutilmente alla sua sinistra per prendere un pallone che, fosse rimasto fermo, avrebbe agguantato senza nemmeno doversi distendere.

Forse ingannato dalla deviazione di Lopez, forse tradito dalla sua stessa presunzione di sapere dove sarebbe stato indirizzato il tiro, Costanzo raccoglie il rimbalzo dal sacco correndo imbufalito verso la sua barriera con la palla sottobraccio. Lugo ha segnato, non sa nemmeno lui come, ma ha segnato. È talmente incredulo e stordito dal boato del pubblico che si lancia in una corsa impazzita roteando al cielo la sua rossa divisa del Cienciano, come fosse un’elica capace di farlo volare tanto in alto da raggiungere la stessa altezza cui si trova il suo cuore in quel momento. Il suo e quello di migliaia di peruviani, non solo al Monumental Virgen de Chapi, ma nelle piazze della stessa Arequipa, in quelle di Lima, di Ayachuco, di Nazca e, ovviamente, di Cuzco, in cui sono stati predisposti dei maxischermi, considerati il carattere inedito e l’importanza di quell’evento sportivo per tutta la nazione. Migliaia di Cholos sparsi in tutto il paese che esultano all’unisono allo stesso momento.

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Lugo "decolla" facendo roteare la maglia del Cienciano dopo il gol.

Gli ultimi dieci minuti di partita videro ovviamente gli assalti forsennati del River Plate e la strenua difesa del Cienciano, che cinque minuti dopo il gol rimane addirittura in nove uomini contro undici per l’espulsione di Julio Garcia. Un assedio durato fino al 94°, quando il triplice fischio dell’arbitro Mendez consegna il Cienciano all’olimpo del calcio sudamericano, aprendo ai suoi tifosi le porte di un paradiso terrestre. Un’emozione struggente che infatti Luz mi ha descritto come uno dei più bei giorni della sua vita.

Chi sogna può muovere le montagne” è una delle frasi cult di Fitzcarraldo, il capolavoro cinematogra co di Herzog. Freddy Ternero e i suoi ragazzi hanno mosso le montagne. Tra le vette delle Ande hanno vinto i sogni e a Cuzco i festeggiamenti proseguono per una intera settimana, con la gente in strada munita di bandiere, magliette, sciarpe, cappellini, trombette tra cori, battiti di mani, musica delle bande tradizionali, fuochi d’artificio e rossi palloncini che s’innalzano al cielo. “Fu quasi come una festa di liberazione”, ricorda Luz. Una frase che, inizialmente, mi ha spiazzato, perché facevo ancora fatica a trovare il nesso tra la vittoria di una partita – seppur importante – di calcio e un diritto fondamentale quale è la libertà, che per secoli era stato negato al suo popolo. Ma è stato lo stesso Luz a chiarirmelo, quando con sguardo ero, proprio come quello di Garcilaso de la Vega, conclude il suo racconto: Si la libertad es la felicidad del pueblo, esa victoria fue la libertad” (“Se libertà significa felicità per il popolo, quella vittoria fu la libertà”).

Tra le vette delle Ande hanno vinto i sogni e a Cuzco i festeggiamenti proseguono per una intera settimana.

  • Luca Brindisino, leccese classe '84, da grande vuole fare il calciatore ed esultare con l'indice al cielo correndo sotto la Nord, come Pasculli. Nella vita reale è copywriter, consulente in comunicazione e papà di Tommaso. In quella parallela, Mr Green è autore e conduttore radiofonico, giornalista sportivo e disc-jockey. Biografia e curriculum integrali li trovate su www.pennaverde.it. Si definisce "portatore malato di calcio sano", è convinto che non ci sia situazione nella vita che non si possa spiegare con una metafora calcistica.

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