Tra pragmatismo e Sturm und Drang: alla scoperta della Junges Deutschland
L'ultimo grande appuntamento di Joachim Löw alla guida della Mannschaft: il centrocampo più forte d'Europa riuscirà a sopperire alle carenze difensive e alla mancanza di un centravanti di livello?
"Deutschland, Deutschland über alles, über alles in der Welt"
Esporre in poche righe ciò che ha rappresentato e rappresenta tuttora la Germania risulterebbe complicato: parliamo di un paese che si è sempre contraddistinto dal punto di vista culturale, storico ed economico, la cui identità e i cui modelli sono sempre stati tanto peculiari quanto difficilmente replicabili altrove.
Ma visto che siamo sportivi e non vogliamo addentrarci troppo in temi che poco ci competono, in questo breve paragrafo introduttivo vogliamo esaltare la poliedricità con cui l'Alemania si è affermata come paese trainante del Vecchio Continente (principalmente dal punto di vista economico): la Germania è Carlo Magno e Martin Lutero, è il Muro di Berlino e la commistione di culture, è bratwurst und bier e döner kebab, è Romanticismo e Sturm und Drang, è Johann Wolfgang von Goethe e Thomas Mann, è Marxismo e Scuola di Francoforte, è Kant, Hegel, Schopenhauer e Nieztsche, è Gutenberg e Zuse, Einstein e Planck, Heisenberg e Schrödinger; la Germania è Bach, Beethoven, Wagner, Hans Zimmer, ma è anche Robin Schulz, Paul Kalkbrenner, Sven Väth e, perchè no, anche Matze Knop; la Germania è la finanza di Francoforte, l'industria della Ruhr, la cultura di Berlino e il folklore bavarese; la Germania è Volkswagen, Allianz, Adidas e Bayer; la Germania è Michael Schumacher e Sebastian Vettel, Franz Beckenbauer e Karl-Heinz Rummenigge; la Germania è l'Oktoberfest di Monaco, il Carnevale di Colonia, la Cannstatter Volksfest di Stoccarda.
Ma se per tutti la Germania è questo (e molto altro), per noi malati di calcio la Germania è soprattutto Die Mannschaft, che con 4 Mondiali, 3 Europei e una Confederations Cup, oltre alla valanga di record individuali racimolati negli anni (tra tutti quello detenuto da Miroslav Klose, miglior marcatore di sempre dei Mondiali di calcio con 16 reti), è considerata una delle nazionali più forti, costanti e vincenti della storia di questo sport.
"22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti e alla fine la Germania vince" cit.
Se la solidità e il cinismo della Germania sono perfettamente riassunte dalla celebre frase di Gary Lineker, va sottolineato come negli ultimi anni il proverbiale pragmatismo teutone sia stato impreziosito dalla freschezza della linea verde della Junges Deutschland: il cambio generazionale verificatosi nel dopo-mondiale brasiliano ha portato alla sorprendente débâcle nei Mondiali in Russia del 2018, che si è rivelato però importante banco di prova per i giovani talenti tedeschi, i quali, sotto la sapiente guida dell'eterno Joachim Löw, hanno poi agevolmente conquistato il posto per Euro 2020, dominando il girone di qualificazione con 7 vittorie e una sola sconfitta contro l'Olanda.
La Germania, dunque, si presenta ai nastri di partenza con un ottimo mix di gioventù ed esperienza: infatti, oltre ai sempreverdi Neuer, Kroos e Gündoğan e ai redivivi Hummels e Müller (riaggregati alla nazionale dopo due anni e mezzo di assenza), il tecnico di Schönau im Schwarzwald avrà un enorme numero di giovani frecce al suo arco, potendo disporre dei talenti dei vari Gnabry, Kimmich, Havertz e compagnia bella.
Quali sono dunque i punti deboli e i punti di forza di una nazionale così completa come quella tedesca? La porta nero-rosso-oro è affidata alle "discrete" manone di Manuel Neuer, che nonostante le 35 primavere ha dimostrato per l'ennesima stagione di poter offrire quelle garanzie che lo hanno reso, negli anni, uno dei portieri più vincenti della storia, zittendo così la sterile polemica avanzata dal collega-rivale Ter Stegen, reo di aver reclamato a gran voce il posto da titolare della Mannschaft (il portiere del Barcellona non parteciperà comunque alla competizione per operarsi al tendine rotuleo). Per ciò che riguarda la linea difensiva, eccetto l'ex Roma Toni Rüdiger, protagonista di una stagione fantastica ed unico vero inamovibile della retroguardia tedesca, pare che le certezze siano ridotte all'osso: tra giocatori storicamente discontinui (vedi Süle e Hummels), esperimenti non riusciti (vedi Emre Can terzino) e nodi da sciogliere (Gosens renderà da terzino di una linea a 4?), Joachim Löw sarà costretto a trovare presto la quadratura del cerchio, magari sfruttando l'affiatamento del duo Klostermann-Halstenberg, già compagni di club nelle fila del Lipsia, o la duttilità di Ginter.
Ma se la linea difensiva resta tutta da registrare, è invece dalla cintola in su che la Germania sfodera il suo lato migliore: le geometrie di Kroos, la versatilità di Kimmich, l'estro di Gündoğan e la fisicità di Goretzka basterebbero da sole per annoverare il centrocampo tedesco tra i migliori al mondo; Löw potrà contare inoltre sui punti cardine del 'Gladbach di Marco Rose, vale a dire il 24enne Neuhaus e il 28enne Hofmann, oltre che sulla stellina classe 2003 del Bayern Monaco Jamal Musiala, che ha già fatto il suo esordio tra i grandi nelle sfide di qualificazione ai Mondiali contro Islanda e Macedonia.
Davanti la Germania è invece un enorme punto interrogativo: considerata la poca affidabilità sotto porta di Timo Werner in questa stagione (6 gol in 32 partite di Premier League sono un bottino davvero scarso per un attaccante), Löw è stato costretto a richiamare in nazionale Thomas Müller e Kevin Volland, i cui nomi mancavano nell'elenco dei convocati rispettivamente da novembre 2018 e da novembre 2016; inoltre, anche i talentuosissimi Gnabry, Sanè e Havertz, per quanto dotati di qualità indiscusse, non sono quei goleador che, in passato, la storia tedesca ha avuto la fortuna di offrire al mondo del calcio. E se è vero che in questi due anni l'assenza di un attaccante di ruolo non ha inciso sulla qualificazione agli Europei, è anche vero che in occasione di una competizione così breve e intensa questa mancanza potrebbe rivelarsi più pesante del previsto, considerato soprattutto il girone di ferro che la sorte ha rifilato alla Germania.
I dolori del giovane Joachim
La carriera dell'allenatore tedesco è legata quasi totalmente alla nazionale del suo paese: dopo aver cambiato 7 panchine di club tra il 1994 e il 2004, Löw viene chiamato da Jürgen Klinsmann per indossare le vesti di vice-allenatore della Germania. Due anni dopo, in seguito alla rovinosa notte di Dortmund del Mondiale 2006, il 46enne Löw subentra proprio a Klinsmann: ad oggi, il CT tedesco è il più longevo sulla panchina di una nazionale europea (nel mondo è secondo solo al Oscar Tabárez, allenatore della selezione uruguaiana) e detiene, con la Mannschaft, il record di partite disputate (189), di vittorie (120) e di gol segnati (448), a cui vanno aggiunti il Mondiale 2014 e la Confederations Cup del 2017.
Agli Europei Löw ha raggiunto la finale nel 2008, vinta poi dalla Spagna di Luis Aragonés, e le semifinali nel 2012 e nel 2016, perse rispettivamente contro l'Italia e la Francia: alzare il trofeo della più importante competizione continentale per nazionali potrebbe rappresentare la perfetta chiusura del cerchio per l'allenatore tedesco, il quale ha già annunciato l'addio alla panchina della Germania con un anno di anticipo rispetto alla scadenza prevista dal contratto, a conclusione di un'avventura durata ben 17 anni.
Se fino al Mondiale della quarta stella tutto sembrava essere rose e fiori dalle parti di Berlino, pare invece che la successiva rifondazione promessa da Löw non abbia ancora dato i frutti sperati dagli addetti ai lavori, nonostante l'enorme quantità di talenti a disposizione: nell'occhio del ciclone, infatti, sono finite spesso le convocazioni del commissario tecnico tedesco (su tutti l'esclusione di Sanè dal Mondiale di Russia e il taglio, considerato prematuro, dei senatori Boateng, Hummels e Müller), che hanno portato ad una rotazione eccessiva di giocatori, fattore che non ha aiutato Löw a creare un base solida su cui poter costruire la corazzata che aveva creato negli anni precedenti.
Attualmente, infatti, la Germania sta vivendo un periodo di discontinuità sconcertante: nell'edizione di Nations League del 2020, i tedeschi sono riusciti ad avere la meglio solo sulla modesta Ucraina (1-2 all'andata, 3-1 al ritorno), pareggiando per due volte con la Svizzera e per una volta con la Spagna, per poi subire la peggior sconfitta in gare ufficiali della sua storia proprio nella gara di ritorno contro gli Iberici, i quali si sono imposti addirittura per 6 a 0, in quella che è sembrata essere una partita tra squadre di diverse categorie di differenza. Il trend zoppicante della Mannschaft è proseguito nelle partite di qualificazione ai Mondiali 2022, in cui la Germania ha vinto i primi due incontri contro Islanda e Romania, per poi incappare sulla Macedonia degli "italiani" Pandev ed Elmas, entrambi in rete nella partita di Duisburg vinta dai macedoni per 1 a 2.
I risultati non proprio soddisfacenti derivano però da un altro problema, ovvero quello di natura tattica: il 4-2-3-1, marchio di fabbrica del CT che tante gioie ha regalato negli anni ai tedeschi, sembrerebbe non essere adatto alle caratteristiche dei giocatori, principalmente per l'assenza di un centravanti di spessore in grado di fare reparto da solo; nelle ultime uscite, infatti, i Nationalelf hanno alternato 4-3-3 e 3-5-2, sfruttando la duttilità di un Ginter in versione "barzagliana" (terzino bloccato nei 4 o centrale destro nei 3) e lasciando totale libertà di movimento al tridente leggero Gnabry, Sanè, Havertz. E se da un lato gli ingranaggi del centrocampo girano in maniera armonica e rodata, dall'altro la solidità difensiva dei tedeschi sembra essere solo un lontano ricordo del Mondiale vinto nel 2014. Vedere l'ultima uscita contro la Macedonia per credere.
Riuscirà Löw a mettere insieme i pezzi del puzzle e a chiudere col botto la sua avventura alla guida della Mannschaft?
Sulle spalle di İlkay Gündoğan
Se dovessimo indicare oggi la stella più lumionosa del firmamento tedesco, la scelta non potrebbe che ricadere su İlkay Gündoğan. Il centrocampista del Manchester City, a 30 anni, si è reso protagonista della sua miglior stagione in carriera e le 17 reti in tutte le competizioni con la maglia degli Sky Blues lo rendono il miglior marcatore tedesco di tutta la stagione nei top 5 campionati europei: numeri che fanno gongolare il CT Löw, alla disperata ricerca di quei gol che tanto sono mancati agli attaccanti teutonici negli ultimi anni.
Inoltre, il numero 8 del City, pare aver finalmente dato le risposte che tutti si aspettavano dopo averlo visto sfiorare la Champions League del 2013 con la maglia del Borussia Dortmund: nell'anno in cui le noie fisiche gli hanno finalmente dato tregua, Pep Guardiola lo ha trasformato nel giocatore più decisivo della squadra più forte della Premier League. “Puoi risolvere i problemi quando sei intelligente e lui lo è. Ecco perché è un giocatore di prima classe” disse di lui il tecnico catalano dopo avergli affidato le chiavi della manovra offensiva degli azzurri di Manchester, nel momento in cui De Bruyne è stato costretto ai box per un problema alla coscia tra gennaio e febbraio 2021.
Guardiola ha liberato Gündoğan da ogni costrizione tattica, reinventandolo più come finalizzatore che come rifinitore (parliamo pur sempre di un centrocampista), e rendendolo praticamente immarcabile per le squadre avversarie: tecnica, inserimenti, posizione, balistica sono tutte doti che il talento di Gelsenkirchen ha saputo mettere in mostra in questa stagione, contribuendo alla cavalcata trionfale dei Citizens, sia oltremanica che in giro per l'Europa. Vi consigliamo quindi caldamente la visione del prossimo video, contenente tutti i gol e gli assist di Gündoğan in questa stagione: le immagini parlano più di mille parole.
P.s.: in questa stagione, la media punti del City quando Gündoğan è sceso in campo in Premier League è di 2.5 punti a partita; la media punti scende a 1.8 punti a partita quando il tedesco non è stato impiegato.
Jamal Musiala: il ragazzo di ghiaccio
Tra i numerosi campioni presenti nella lista dei convocati di Joachim Löw, Jamal Musiala rappresenta sicuramente il prospetto più interessante: il tedesco classe 2003 (di origini anglo-nigeriane) ha frantumato tutti i record di precocità del Bayern Monaco, diventando non solo il più giovane esordiente in Bundesliga e in Champions League della storia dei bavaresi, ma anche il più giovane giocatore di sempre a segnare un gol sia in campionato che nella massima competizione europea in maglia biancorossa.
Nato come attaccante centrale, Musiala ha arretrato negli anni il suo raggio d'azione trasformandosi in trequartista, ma in questa stagione è stato impiegato da Hansi Flick (secondo i rumors, prossimo allenatore della nazionale tedesca) anche come esterno d'attacco e come mediano davanti alla difesa, a testimonianza di quanto in Baviera credano nelle sue enormi capacità. Partito inizialmente come una seconda scelta, il giovane Jamal ha scalato via via le gerarchie nell'attacco dei campioni di Germania, collezionando in questa stagione 39 presenze in tutte le competizioni, condite da 7 reti e un assist. Sebastian Hoeness, allenatore del Bayern II, squadra di terza divisione a cui Musiala è stato aggregato nella seconda parte della scorsa stagione, ha parlato della professionalità e della personalità del talento di Stoccarda definendolo come "il ragazzo di ghiaccio. Se gli parli prima della partita, è concentrato, calmo e riservato".
Le qualità con la palla tra i piedi e il carattere del ragazzo (binomio da sempre apprezzato dalle parti di Monaco) sono valsi al talentino cresciuto nel settore giovanile del Chelsea il primo contratto da professionista, che lo legherà al Bayern Monaco fino al 2026, firmato pochissimi giorni prima dalla prima apparizione in nazionale maggiore, in occasione della sfida di qualificazione ai Mondiali 2022 contro l'Islanda.
A proposito di nazionale, Musiala ha trascorso la giovinezza alternando presenze tra le nazionali di Inghilterra e Germania, prima di decidere in definitiva di proseguire con la nazionale della sua terra natia, riservando comunque parole al miele per la nazione in cui è cresciuto: "Ho semplicemente seguito il cuore e sento di aver fatto, al 100%, la scelta giusta. È come se avessi due cuori, uno per la Germania e uno per l'Inghilterra, ed entrambi continueranno a battere. La Germania è dove sono nato, l'Inghilterra dove sono cresciuto, ho cominciato a giocare al calcio e dove ho ancora tanti amici. Comunque non è stata una decisione facile".
Lo stesso Löw si è espresso così sulla decisione del talentino del Bayern, con parole che suonano come una vera e propria investitura: "Sono felice che Jamal Musiala abbia deciso di giocare per la Germania in futuro. Vedo un enorme potenziale in lui". Per i prossimi 10 anni, la trequarti della Mannschaft sembra essere in ottime mani.
Dove può arrivare questa Germania?
Tra le sette/otto squadre favorite per la vittoria finale del primo Europeo itinerante della storia, tre dovranno affrontarsi subito nella fase a gironi: il gruppo F, infatti, sarà composto dalla Germania, dai campioni d'Europa in carica del Portogallo, dai campioni del Mondo in carica della Francia e dallo spauracchio Ungheria. Se da un lato l'urna non è stata affatto benevola coi tedeschi, dall'altro il nuovo format a 24 squadre permetterà anche alle quattro migliori terze di superare lo scoglio della prima fase e presentarsi agli ottavi di finale.
Chi vi scrive, considerando tutte le variabili che possono subentrare in una competizione così intensa come un Europeo e soprattutto visto lo stato di forma visto delle ultime partite, sostiene che questa Germania possa difficilmente andare oltre i quarti di finale: Francia e Portogallo sembrano nettamente favorite per il passaggio come prima e seconda del girone, mentre nazionali come l'Inghilterra, il Belgio, la Spagna e l'Italia hanno sistemi di gioco più rodati ed efficaci di quello tedesco per arrivare in fondo alla kermesse continentale. Starà a Löw e ai suoi Jungen dimostrarci il contrario.
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