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, 20 Maggio 2021

L'eutanasia del basket italiano


Nell'ultimo numero della nostra newsletter "Catenaccio" abbiamo provato a rispondere alla seguente domanda: "Perché il basket italiano non riesce ad attirare un reale interesse da TV e sponsor?"

Caro Alberto,
oggi sono qui in sostituzione del nostro fidato uomo del Q&A Matteo Orlandi e lui sostituisce me nell’abituale rubrica di “Sport e numerologia”, fondamentalmente perché è capitato che tu ci abbia posto esattamente una di quelle domande che nel 2019 hanno ispirato, da grande appassionato di basket, la stesura della mia tesi nel “Master in Marketing & Comunicazione dello sport” presso l’Università IULM di Milano. Il titolo della mia prova finale, che riposa nella libreria della camera da letto con un dito di polvere sopra la testa, è “Il ruolo dell’ufficio stampa nello sport e il futuro del Media Day: riflessioni teoriche e applicazioni pratiche”, che in sostanza altro non è che la versione patinata e cotonata della più banale domanda: “Ma come diavolo è possibile che negli USA riescano a tirare fuori con apparente facilità un prodotto sportivo completo a 360°, vendibile e replicabile, mentre qui da noi si fa tremendamente fatica anche solo a scegliere il colore del pallone o il livello del volume a cui lo speaker deve annunciare le formazioni?”. 

Questa domanda non mi faceva dormire la notte, anche perché, con indole ottimistica, sono sempre stato un fermo oppositore di chi sostiene che in Italia le cose vadano male per una qualche forma di patologia congenita che ci obbliga ad affrontare tutto, sempre e comunque, con qualunquismo. Io mi rifiuto di credere che sia così. Ed è per questo motivo che nel mio lavoro di ricerca ho sudato le proverbiali sette camicie per confrontarmi con gente che sta all'esatto opposto del qualunquismo, ovvero coloro i quali ritenevo potessero essere in grado di darmi le risposte a questo enigma: Paolo Condò, Flavio Tranquillo, Roberto Gotta, con loro e tanti altri ho parlato delle vie percorribili per migliorare le condizioni di sostenibilità dello sport italiano a tutti i livelli, per generare introiti, creare affezione, elevare lo spettacolo proposto e fare un definitivo salto nel mondo della modernità.

La tua domanda ci è arrivata, immagino non casualmente, in uno dei giorni più tristi della storia della pallacanestro italiana. Non è per fare il tragico, lo penso davvero. Nel corso della prima giornata dei playoff della massima competizione nazionale, infatti, i telespettatori hanno registrato un disservizio su livelli da denuncia legale da parte dei due principali broadcaster del basket italiano: Rai e Eurosport, che si sono rivelati incapaci di trasmettere nemmeno una delle 4 partite in programma senza che vi fossero problemi di natura tecnica o organizzativa. Capire come possa accadere una cosa del genere nel 2021 senza che vi sia malafede è francamente impossibile. Per chi volesse ulteriori info consiglio il post riepilogativo de La giornata tipo

Alla luce della situazione che si è venuta a creare mi sembra chiaro che la tua domanda vada un attimino ricalibrata. La risposta alla tua domanda “Perché il basket in Italia non riesce ad attirare sponsor e a vendere a un prezzo decente le sue partite?” sarebbe infatti fin troppo semplice e reciterebbe più o meno una cosa del genere: “Perché nessuno vuole investire in un prodotto scadente e completamente privo di garanzie come l’attuale sistema italiano”. Ciò che dovremmo in realtà chiederci è il motivo per cui il sistema basket italiano da anni accetti e alimenti questa situazione ai limiti del grottesco e che non fa bene proprio a nessuno, fatta di squadre che si iscrivono al campionato e poi non giocano nemmeno una partita, con scelte strategiche si rivelano sempre più autodistruttive. E perché non faccia praticamente nulla invece a ribaltare il suo status allo scopo di proporsi come prodotto appetibile all’interno di un mercato concorrenziale. 

In questo momento in Italia è praticamente impossibile appassionarsi al basket. Nel senso che manca proprio l’opportunità di venire in contatto e registrare un’esperienza positiva con una partita di Serie A. E capirai che se tu Alberto decidi di aprire un negozio con articoli di vario genere in un paese con zero abitanti, senza nemmeno ingegnarti per fargli pubblicità, è molto difficile che possa riuscire a trarne profitto. Sul piano comunicativo, paradossalmente (ma non troppo), l’NBA riesce a interagire meglio con gli italiani di quanto sia in grado di fare il campionato nazionale, che dovrebbe poter contare quanto meno sulla territorialità.  Il livello del basket italiano non sarà quello degli anni d’oro in cui le squadre dominavano anche in Europa, ma ha un potenziale inespresso che in proporzione agli altri sport lo rende decisamente il più mal-gestito del sistema sportivo italiano. E questo succede nonostante diversi esempi (non ultimo la qualificazione dell’Olimpia Milano alle Final Four di EuroLeague) abbiano provato che l’interesse del pubblico verso eventi sportivi di valore sia vivo e reale, anche in tempi di pandemia. 

Perché allora il basket italiano continua a trattarsi male, proponendo cose come i “back to back” a meno di 24 ore di distanza durante i playoff e una gestione dei diritti TV tragicomica? La realtà è che non lo so. E questo è il più triste degli epiloghi per uno che si mette a rispondere a un Q&A, ma anche la più grande ammissione dei problemi del basket italiano. Mi piacerebbe puntare il dito contro la classe dirigente, ma nello sviluppo della mia tesi ho parlato con figure che fanno parte della LBA e ho trovato individui preparati e consci dei problemi che li circondano.

Forse la soluzione all’enigma, senza voler essere forzatamente complottisti, è che ci siano persone dentro al sistema con tutto l’interesse a mantenere la situazione invariata e a tirare avanti stancamente senza che nulla cambi veramente. Il cambiamento spaventa chi detiene il potere, soprattutto quando ridistribuisce i benefici creando una situazione più equa.  Se così fosse, non ci resta che augurarci che qualcuno scoperchi quest’eutanasia e riattacchi la spina a un paziente che a un passo da un elettrocardiogramma piatto. Se così non fosse, non ci resta che pregare le istituzioni affinché si mettano a remare dalla stessa parte, ma in fretta, perché il tempo è ormai quasi scaduto. 

  • Nato a Cremona il 23/11/1996. Conserva nell'armadio i pantaloncini del suo esordio in Serie D allo Stadio Euganeo di Padova. Non sa scegliere tra la parte sinistra e quella destra del proprio cervello e nemmeno quale sia il suo sport preferito. È fermamente convinto che il Paradiso sia un'Olimpiade che dura in eterno.

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