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, 6 Maggio 2021

Cosa resta della Superlega?


Le conseguenze di un progetto naufragato.

Per una settimana circa, il dibattito pubblico italiano ed internazionale è stato cannibalizzato dalla miserevole parabola del progetto Superlega. Nei giorni seguenti al suo inaspettato annuncio e ancor più inaspettato – e repentino – fallimento, i media italiani hanno commentato e analizzato miriadi di possibili scenari sportivi, politici, sociali ed economici del nascituro campionato d'élite. Tuttavia, dopo la rinuncia di gran parte delle società coinvolte, è crollato il silenzio. In questo articolo proviamo a sintetizzare quali potrebbero essere le principali conseguenze a cui "la sporca dozzina" potrebbe andare incontro in seguito a quella che forse è la peggior debacle politica nella storia del calcio moderno in Europa.

Sono passati oramai più di dieci giorni da quando il terremoto causato dall’annuncio ex abrupto della nascita di una SuperLega calcistica ha fatto tremare pericolosamente le fondamenta del calcio europeo e ha provocato uno tsunami mediatico senza precedenti. È passata più di una settimana da quando, meno di quarantotto ore dopo l’annuncio, le scosse di assestamento sono cessate e lo tsunami mediatico si è trasformato in una lenta risacca. Oggi si ha la sensazione che la SuperLega sia soltanto un ricordo annebbiato, uno scherzo in cui tutti sono cascati ma che al contempo sembra troppo goffo e assurdo perché qualcuno abbia potuto crederci davvero. Eppure era – ed è – tutto vero ed è vero soprattutto per le dodici società che inizialmente avevano aderito al progetto e che adesso, rimasti con il proverbiale cerino in mano, guardano con un certo timore alle conseguenze del loro azzardo.

La prima questione da affrontare è tutta interna alla Superlega, ai suoi contratti, alle decisioni prese dai dodici club fondatori e ai rapporti tra chi ha deciso di non abbandonare il vascello (Real Madrid, Barcellona e Juventus) e chi invece si è tirato indietro. Il costo della penale per il ritiro per sarà probabilmente oggetto di aspre contese legali durante i prossimi mesi. Il presidente del Real Madrid, Florentino Pérez, ha insistito sul fatto che esistono clausole precise inserite per tutelarsi da possibili diserzioni. Tuttavia, secondo i documenti visionati da The Athletic e dal Financial Times, sembra che queste clausole di sicurezza sarebbero entrate in vigore soltanto se la Superlega fosse effettivamente cominciata. Ad esempio, un club fosse uscito dalla Super League dopo due anni di partecipazione al torneo, sarebbe stato contrattualmente obbligato a restituire il 50% della sua quota. Inoltre, avrebbe dovuto pagare una penale di ben 150 milioni di euro. Ma, non essendo concretamente esistita nessuna Superlega e non avendo ancora ricevuto alcun finanziamento, è improbabile che le cinque squadre rimanenti possano rivalersi sulle altre. Per di più, fonti vicine alle sei inglesi sostengono che il contratto stabiliva che il 70% dei club fondatori avrebbe dovuto confermare la propria partecipazione entro il 10 luglio 2021, o il progetto sarebbe stato abbandonato con effetto immediato.

Il secondo aspetto è invece quello dei rapporti tra le squadre fondatrici – anche qui divise tra le tre “fedelissime” e le nove “traditrici” – e le istituzioni calcistiche nazionali ed europee. Ancora un paio di giorni fa, il presidente dell’UEFA, Aleksander Ceferin, intervistato dal Daily Mail, ha dichiarato che tutte le dodici squadre coinvolte nel progetto dovranno affrontarne le conseguenze ma che probabilmente le sei inglesi, che si sono ritirate per prime, potrebbero ricevere sanzioni più lievi: «Per me c’è una chiara differenza […] Si sono tirati fuori per primi, hanno subito ammesso l’errore. Per me ci sono tre gruppi: le sei inglesi, che sono uscite prima; poi gli altri tre [Atletico Madrid, Milan e Inter, ndr] e poi quelli che credono che la Terra sia piatta e pensano che la Superlega esista ancora [Barcellona, Real Madrid e Juventus, ndr]». Nonostante le parole di Ceferin e le paventate minacce di esclusione dalle coppe europee, è necessario guardare alla questione con un certo pragmatismo.

Se UEFA decidesse di escludere le dodici squadre da Champions ed Europa League nella prossima stagione, si troverebbe di fronte a enormi problemi legali ed economici: come potrebbero reagire i broadcaster trovandosi in mano un prodotto mutilato dei club più importanti, dei giocatori più famosi e degli allenatori più venerati? Come reagirebbero le altre squadre, private della possibilità di sfidare le grandi e quindi di perdere una sostanziosa fetta di introiti? Quale sarebbe la posizione di calciatori e allenatori esclusi dalle coppe senza aver avuto alcuna responsabilità nella creazione della Superlega? 

A quanto sappiamo, è già pronta una soluzione alternativa: probabilmente le sanzioni di UEFA ed ECA saranno dure, ma rivolte direttamente ai singoli dirigenti considerati rei di aver violato la fiducia delle istituzioni di cui sono parte. Un membro del consiglio di amministrazione dell’ECA, parlando a The Athletic, ha dichiarato che è importante «ricordarsi che sono le persone a prendere le decisioni, non i club, quindi le punizioni devono essere contro i singoli individui».

Un altro fattore da tenere in conto per quanto riguarda i rapporti tra UEFA, ECA e i “Big 12” è quello della diplomazia e della gestione politica del calcio. A prescindere dalle sanzioni, le società “secessioniste” e i loro dirigenti rischiano di perdere gran parte del proprio peso istituzionale e della fiducia che finora centinaia di squadre “minori” avevano concesso. La composizione del consiglio di amministrazione dell'ECA e dei vertici UEFA è già mutata profondamente dal momento che i rappresentati delle dodici club della Superlega hanno dovuto abbandonare le proprie posizioni dopo aver annunciato i loro piani. Ovvia conseguenza: hanno perso la loro influenza e annullato il proprio potere decisionale. Il nuovo CdA dell'ECA, per esempio, sta già spingendo affinché i posti extra garantiti nelle fasi a gironi di Champions ed Europa League vengano concessi alle vincitrici di campionati nazionali, in particolare quelli di Scozia, Turchia e Olanda. Insomma, anche se non arrivassero ripercussioni dirette in forma di multe o di esclusioni dalle coppe, il rinculo si farà sentire in maniera decisa tanto sul breve quanto sul medio periodo.

Pallone della Champions League.

In ultimo, ma non meno importante, bisogna tenere conto della catastrofe reputazionale che ha già colpito i club e la loro classe dirigente. Attraverso l’adesione alla Superlega, i cosiddetti “fondatori” hanno apertamente deciso di sposare un’idea diametralmente opposta ai valori che sono quasi unanimemente considerati i pilastri di questo sport, entrando in contrasto con la loro stessa storia e identità. Come emerso dalla ricerca pubblicata da SemRush e Zwan – due aziende che si occupano di reputazione online – in due giorni, in Italia, sono stati pubblicati oltre 6000 tweet contro la Superlega. Juventus e Real Madrid sono le due società più criticate, poiché sono quelle che si sono esposte maggiormente e sono state percepite (a ragione) come i principali fautori del progetto. La mancanza di ascolto del proprio pubblico ha chiaramente rappresentato uno degli errori più gravi: nei fatti, i massimi dirigenti delle grandi d'Europa hanno trascurato totalmente le necessità e i desideri dei propri clienti. 

A questo si è aggiunta una pessima strategia di comunicazione. La Superlega è stata annunciata con un comunicato striminzito, pubblicato intorno a mezzanotte, il cui linguaggio era totalmente incentrato sugli aspetti economici anziché sulla presentazione di un prodotto di intrattenimento o sui motivi perché questa nuova competizione dovesse essere preferibile dal punto di vista dei tifosi.

Come evidenziato da Marketing Week la settimana scorsa, il primo e unico comunicato ufficiale della Superlega era infarcito di termini quali “modello economico del calcio”, “basi economiche sostenibili”, “sostegno finanziario” o “approccio commerciale”, mentre erano praticamente assenti parole legate alla semantica del tifo e dello sport. In sostanza, a essere messi al centro della comunicazione sono stati gli interessi e i bisogni aziendali e non quelli del target di riferimento. Alla tragicommedia della comunicazione esterna si è poi aggiunta la goffaggine di quella interna, ovvero come la decisione è stata comunicata (o meno) ai veri protagonisti: calciatori e allenatori. In molti casi, questi sono venuti a sapere dell’iniziativa dal comunicato stampa o hanno ricevuto soltanto vaghe informazioni poche ore prima, ma soprattutto in moltissimi casi non hanno mostrato remore nel dichiararsi apertamente contrari al progetto.

In poche parole, guardando alla situazione attuale, la Superlega è stato un fallimento su tutti i fronti. Un all-in che rischia di avere conseguenze gravissime per i club fondatori e per un'élite che si è mostrata inetta, sleale e incapace di calcolare i rischi.


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  • Genovese e sampdoriano dal 1992, nasce in ritardo per lo scudetto ma in tempo per la sconfitta in finale di Coppa dei Campioni. Comincia a seguire il calcio nel 1998, puntuale per la retrocessione della propria squadra del cuore. Testardo, continua imperterrito a seguire il calcio e a frequentare Marassi su base settimanale. Oggi è interessato agli intrecci tra sport, cultura e società.

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