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rinvio lungo
, 5 Maggio 2021

I tipi di lancio lungo e perché usarli


Un fondamentale importante quanto divisivo.

Meglio calciare lungo le rimesse dal fondo, oppure cominciare la costruzione del gioco dal basso in maniera lenta e ragionata? "Palla lunga vs. fraseggio corto" è una delle questioni più dibattute della storia del calcio recente, ma se c'è una cosa che l'ancor rudimentale match analysis dovrebbe avere dimostrato, è che nessuno dei due approcci può essere considerato migliore dell'altro, astrattamente parlando. Sia la costruzione dal basso, che il regolare ricorso ai lanci lunghi e alle verticalizzazioni alte, infatti, possono rivelarsi tattiche ugualmente efficaci a portare a casa il risultato.

Semplicemente, richiedono differenti e determinati accorgimenti per essere correttamente implementate. Di quelli richiesti per costruire efficacemente dal basso si è già trattato in maniera approfondita in altre sedi, in quest'articolo, pertanto, ci si concentrerà nell'analisi generale dei diversi tipi di lanci lunghi esistenti, degli scopi per i quali possono essere utilizzati e delle situazioni più comuni che essi possono causare.

Nell'ultimo periodo, molto si è detto a proposito della costruzione dal basso e dei presunti vantaggi che essa comporterebbe. Si è però taciuto riguardo ai pro e contro offerti dall'approccio opposto: quello del sistematico ricorso ai rinvii lunghi ed alle verticalizzazioni alte, funzionali a saltare direttamente le linee di pressione avversarie.
Questa lacuna è piuttosto grave, perché, a giudizio di chi scrive, se si vuole intervenire con cognizione di causa nell'acceso dibattito che contrappone i sostenitori della supremazia del gioco organizzato, lento e ragionato, ai suoi detrattori, non si può prescindere da un'approfondita conoscenza degli accorgimenti che implementare la tattica del “calciare lungo” richiede, né si può evitare di tenere in considerazione la polemica che, in proposito, si sviluppò alla fine del secolo scorso in Inghilterra.

In principio fu Charles Reep

Raramente la nascita di una nuova attività - o professione in questo caso - può essere datata con la stessa precisione con cui Richard Pollard data la nascita della match analysis nel calcio.

Secondo il ricercatore della “California Polytechnic State University”, infatti, tutto sarebbe cominciato alle 15 e 50 del 18 marzo 1950, quando un comandante della R.A.F. britannica, Charles Reep, deluso dallo spettacolo offerto nella prima frazione di gioco dalle squadre in campo al “Country Ground”, lo Swindon Town ed il Bristol Rovers, decise di prendere carta e penna e utilizzarle per prendere nota del numero di attacchi che i giocatori dello Swindon avrebbero efficacemente tentato nella seconda frazione di gioco del match. Lo scopo? Quello di capire se esistessero dei margini di miglioramento all'interno della strategia offensiva del club.

Il programma ufficiale di Swindon Town - Bristol Rovers del 18 marzo 1950

Quel giorno, scrive Jonathan Wilson nel suo Inverting the Pyramid: The History Of Football Tactics, Reep conteggiò una sola azione offensiva andata a buon fine su un totale di 147 (il match finì uno a zero per i locali) e, proiettando il dato su entrambe le frazioni di gioco, comprese, tramite una semplice operazione matematica, che lo Swindon avrebbe dovuto attaccare 280 volte per segnare due gol.

Dando per scontato che questi numeri non fossero molto distanti da quelli ricorrenti in altre occasioni e che, dunque, il 99,29% degli attacchi tentati nel corso di una partita di solito non andasse a buon fine, Reep si convinse che, per rivoluzionare il gioco del calcio, sarebbe bastato approcciarsi ad esso in maniera scientifica. E tutto questo perché, come scrive Wilson, il comandante della R.A.F. notò che sarebbe bastato migliorare dello 0.71% la performance offensiva della propria squadra, per permetterle di segnare, addirittura, tre gol a partita. Così, Reep iniziò a raccogliere, rigorosamente a mano, un'ingente quantità di dati per confermare le sue ipotesi e ad inviarli ai club britannici, nella speranza di guadagnarsi un ingaggio.

Approdò in questo modo al Brentford, che, grazie ai suoi suggerimenti, raddoppiò la propria media gol e conquistò 20 dei 28 punti rimasti in palio nella seconda parte della stagione 1950-51. Poi passò al Wolverhampton, per affiancare il leggendario Stan Cullis.

Entrambe le esperienze si rivelarono talmente positive che, con la determinante contribuzione di Bernard Benjamin, il direttore della Royal Statistical Society, un paio d'anni dopo Reep cominciò ad analizzare un numero ancor più grande di match e a registrare in maniera ancor più approfondita le sequenze di passaggio che portavano alla realizzazione di un gol.

In tutto, tra il 1953 ed il 1967, Reep vivisezionò accuratamente 578 partite (tutte quelle dei campionati mondiali del 1958, del 1962 e del 1966, e molte di quelle giocate in quegli anni nel Regno Unito) e scoprì che all'interno di esse, soltanto il 5% delle azioni totali si era concluso in quattro passaggi e, addirittura, solamente l'1% dopo il sesto ed oltre. Questi dati lo convinsero che il calcio diretto, improntato sulle rapide verticalizzazioni, fosse ben più produttivo del possesso di palla sterile, lento e ragionato, e lo indussero ad esercitare pressioni sui dirigenti della federazione inglese affinché ne tenessero conto.

Per più di un decennio, sulla base dei risultati degli studi effettuati da Reep, i vertici della Football Association discussero animatamente lo stile di gioco che la nazionale avrebbe dovuto adottare, finché Charles Hughes, nel 1983, subentrò ad Allen Wade nel ruolo di direttore tecnico.

Charles Hughes

Hughes era un grande estimatore delle teorie dell'ex comandante della R.A.F. e, difatti, l'Inghilterra cominciò ben presto a praticare un calcio molto fisico e ben poco ragionato, incentrato sui rapidi lanci lunghi all'indirizzo delle ali larghe in fascia, proprio come aveva suggerito Reep. Ma a livello internazionale questo nuovo approccio non si tradusse in un netto miglioramento dei risultati dei “tre leoni”, tutt'altro.

Dopo un positivo quarto posto ad Italia 90', la nazionale inglese di Graham Taylor, infatti, non riuscì a qualificarsi ai mondiali americani del 1994, e tutto ciò si ripercosse, ovviamente, in modo negativo anche sulle teorie di Reep.
Gli studi effettuati dall'ex comandante della R.A.F. vennero riesaminati e, per la prima volta, aspramente criticati da un'ampia fetta di ricercatori e di addetti ai lavori. Molti sottolinearono che Reep fosse giunto a conclusioni sbagliate per non aver considerato che le azioni più lunghe di quattro passaggi sono più rare, sì, ma non per questo meno efficaci di quelle più corte e più comuni. Mentre altri si adoperarono per portare alla luce altre falle minori alla base dei suoi ragionamenti.

Uno dei maggiori critici di Charles Reep fu il giornalista e scrittore Jonathan Wilson. Wilson, sulle pagine di “Inverting the Pyramid: The History Of Football Tactics”, per cominciare, evidenziò che se Reep avesse confrontato il numero dei gol derivati da azioni brevi con quello delle reti segnate in seguito ad azioni lunghe, si sarebbe accorto che soltanto l'80 % dei gol viene realizzato in seguito a 3 passaggi o meno, quando però, le azioni di questo tipo ammontano per il 91,5% delle azioni totali. Un dato che dimostrerebbe che, come ha anche sottolineato il dottor Ken Bray dell'Università di Bath, il calcio diretto non è affatto più efficace del possesso palla prolungato, altrimenti, la percentuale di buona riuscita delle azioni brevi avrebbe dovuto superare la soglia del 91,5%, mentre, al contrario, l'8,5% delle azioni lunghe non avrebbe dovuto causare più dell'8,5% dei gol totali. E tutto questo senza la pignoleria di tenere in considerazione le reti segnate in seguito a calci piazzati accordati dopo il quarto passaggio e oltre.

Il secondo errore commesso da Reep, a giudizio di Wilson, sarebbe stato quello di aver ignorato il fatto che, nel corso delle fasi finali dei campionati mondiali, il possesso palla lungo e ragionato fu molto più comune del calcio veloce, frenetico ed arrembante, tipico delle serie minori inglesi: una circostanza che, a giudizio di molti, avrebbe dovuto far comprendere all'ex comandante della R.A.F. che, ad un livello di gioco più alto, dove i terreni di gioco non sono rovinati, né pesanti, e la tecnica dei calciatori coinvolti è migliore, il calcio diretto non pagherebbe.

Sulla base di queste considerazioni, si è sviluppata una vera e propria tendenza alla denigrazione postuma di Charles Reep, senonché, in sua difesa, non si possono non constatare tre cose: la prima è che la maggior efficacia del possesso palla prolungato, che secondo alcuni illustri ricercatori sarebbe emersa dalla "corretta" interpretazione dei suoi studi, potrebbe benissimo trovare eventuale spiegazione nel divario qualitativo presente tra le squadre prese ad esame, visto che le azioni lunghe sono senz'altro più semplici da costruire per le squadre che possiedono un tasso tecnico molto più elevato; la seconda è che Reep, nelle sue conclusioni non ha mai parlato di verticalizzazioni alte, ma soltanto di verticalizzazioni dirette, perciò, strumentalizzare i presunti errori insiti nei suoi studi per produrre argomentazioni contrarie ai calci di rinvio lunghi ed, allo stesso tempo, a favore della costruzione dal basso, non appare intellettualmente corretto; la terza è che, come del resto hanno ribadito gli stessi detrattori di Reep, i campionati nazionali sono molto diversi gli uni dagli altri, sia per stile che per modo di giocare, per cui non avrebbe alcun senso discutere l'astratta superiorità di una delle due strategie offensive rispetto all'altra.

A questo punto, appare piuttosto ovvio come sia più importante comprendere, invece, quando sia il caso di ricorrere al rinvio lungo ed alla verticalizzazione diretta e, soprattutto, come lo si possa fare nel modo più opportuno e più vantaggioso.

Lancio lungo, quando, perché e come eseguirlo

Verticalizzare alto dalla propria tre-quarti campo all'indirizzo del proprio miglior colpitore di testa consente di scavalcare immediatamente le linee di pressione nemiche e può servire sostanzialmente a tre scopi differenti, collegati tra loro: 1) può permettere ad una squadra dotata di difensori insicuri e privi delle qualità tecniche necessarie a costruire il gioco dal basso, di evitare sul nascere qualunque pericolo che potrebbe essere causato dal pressing offensivo nemico; 2) può accelerare lo sviluppo dell'azione e portarlo in una zona di campo più avanzata; 3) può incrementare le chance di un'immediata occasione da gol.

Qualunque tipo di lancio lungo può rivelarsi funzionale al primo scopo, ma in questa sede, a noi interessa approfondire le soluzioni che possono rivelarsi strumentali agli altri due. Ebbene, la condicio sine qua non perché una verticalizzazione alta possa direttamente consentire alle squadre che vi fanno ricorso di mantenere il controllo della sfera per poi continuare a sviluppare l'azione offensiva in una zona di campo più avanzata è che esse possano contare sulla presenza in campo di abili colpitori di testa, capaci di sfruttare al meglio i mismatch favorevoli presenti sul terreno di gioco.

Ad ogni modo, va comunque precisato che, anche quando questa condizione viene rispettata, le probabilità che il possesso della sfera venga mantenuto rimangono piuttosto basse, dato che la difesa avversaria dispone quasi sempre del tempo necessario ad organizzarsi in maniera tale da vincere il primo contrasto aereo. Oltretutto, anche quando l'attaccante non esce sconfitto dal duello individuale, non sempre riesce ad addomesticare e controllare il pallone, o a smistarlo ad un compagno con la dovuta precisione. Ragion per cui, per minimizzare i danni, chi decide di ricorrere a questa strategia deve anche disporre di giocatori lesti, reattivi, che siano abili nel portare il contrasto, che sappiano leggere in anticipo le traiettorie che percorrerà la sfera, ma soprattutto, che sappiano disporsi in campo in modo da attaccare efficacemente le “seconde palle” vaganti, ovverosia, quei palloni non ancora addomesticati da nessuno.

In proposito, riprendendo la semplice distinzione introdotta da Evert Van Zoelen su Spielvelagerung, esistono tre diversi tipi di palle lunghe (quelle da calcio piazzato, quelle “pienamente volontarie” e quelle “forzate”), ciascuna delle quali origina differenti e tipiche “seconde palle”, che a loro volta possono essere raggruppate in due distinte categorie: da un lato, ci sono quelle destinate ad un giocatore dietro la linea del pallone, mentre, dall'altro, quelle dirette ad un compagno che ha tagliato alle spalle della linea difensiva avversaria.

In genere, l'attaccante che riesce a conquistare quest'ultime può usufruire di un'immediata occasione da gol, ma perché sia in grado di aggredirle con successo, non basta che il colpitore di testa vinca il primo contrasto aereo, è fondamentale che esso indirizzi la palla nella giusta direzione e con la giusta dose di forza, altrimenti il portiere o i difensori avversari avrebbero gioco facile ad intercettarla.

La seconda categoria di “seconde palle”, invece, non è altrettanto idonea a causare un immediato pericolo alla squadra avversaria, ma permette alla formazione che vi ricorre, posizionando i propri giocatori alle spalle del colpitore di testa, di incrementare le proprie chance di mantenimento del possesso della sfera perché, anche nel caso in cui il difensore avversario dovesse vincere il primo contrasto aereo, la squadra potrebbe comunque esercitare una contro-aggressione immediata, volta alla celere riconquista del pallone.

Questo contro-pressing può essere effettuato sia a uomo, sia a zona, sia a uomo nella zona. Lo si può attivare anche ad intermittenza, subordinandolo al verificarsi di un “trigger” prestabilito, ed è particolarmente efficace sulle “seconde palle” scaturite da calci piazzati o da lanci lunghi “pienamente volontari”, perché, in entrambi questi scenari, la difesa nemica spesso non è in grado di domare il pallone vagante. Mentre quando vi riesce, essa si trova compatta e compressa nella zona di campo in cui quest'ultimo è stato indirizzato, priva della possibilità di giocare in ampiezza e, per una semplice questione di densità numerica, priva della possibilità di usufruire di linee di passaggio pulite. In questi casi, inoltre, così come per i rinvii dal fondo, è possibile strutturare le linee di pressione, chiamate poi ad esercitare la rapida ri-aggressione, in base a quanto studiato, deciso e praticato in allenamento.

Calci piazzati battuti lunghi

Nella maggior carte dei casi, oltre che per evitare sul nascere qualunque pericolo che il pressing offensivo avversario potrebbe causare, le rimesse dal fondo e i calci di punizione dalla propria tre-quarti campo vengono calciati lunghi nella speranza di accelerare lo sviluppo della manovra offensiva.

Essendo situazioni a “palla inattiva”, la squadra che ha la possibilità di usufruirle può disporsi in campo nel modo che ritiene più vantaggioso per vincere il primo duello aereo o, eventualmente, nel miglior modo possibile per portare un'efficace contro-aggressione immediata.

In proposito, normalmente i lanci lunghi diretti al centro del campo garantiscono minori possibilità che le “seconde palle” vengano conquistate e che, di conseguenza, il possesso del pallone venga mantenuto, ma se il primo contrasto aereo viene vinto o la ri-aggressione immediata va a buon fine, la squadra che vi ha fatto ricorso gode della possibilità di sviluppare la manovra sia in orizzontale che in verticale e anche con una certa facilità, visto che dal centro è possibile smistare agevolmente il pallone verso ogni altra zona di campo, specialmente verso i semispazi.

Le verticalizzazioni alte indirizzate ai calciatori che occupano le zone laterali del terreno di gioco, all'opposto, sono soluzioni migliori per guadagnare spazio e sottrarsi alla pressione avversaria, perché i terzini, le ali ed i centrocampisti laterali, per via di un posizionamento che conferisce loro una postura naturalmente più aperta, hanno maggiori possibilità di vincere il primo duello aereo di quelle che possiede un giocatore costretto a colpire il pallone di testa spalle alla porta. E inoltre, perché è sempre molto alta la probabilità che il difensore avversario spedisca il pallone in fallo laterale, dando così modo alla squadra di risalire, distendersi sul campo ed aggiustare il proprio baricentro.
Lo svantaggio offerto dal ricorso a questo tipo di soluzioni, invece, è rappresentato dal fatto che, quando si riesce a mantenere il possesso della sfera, le possibilità di costruzione dell'azione sono molto limitate, visto che lo spazio a disposizione per impostare e sviluppare l'azione offensiva risulta enormemente ridotto dalla presenza della linea laterale. Va detto, però, che questo vale anche per gli avversari e che, dunque, come rovescio della medaglia, il contro-pressing immediato è enormemente più efficace in questa zona di campo.

Più in generale, invece, un problema insito nei calci di rinvio lunghi e nelle punizioni calciate lunghe dalla propria tre-quarti campo risiede nel fatto che anche l'avversario può schierarsi in maniera predeterminata, studiata in base alle caratteristiche e alle intenzioni del suo antagonista. Dunque, diventa cruciale predisporre le proprie linee difensive in maniera tale che riescano a scongiurare i pericoli derivanti da un eventuale tentativo di contro-pressing non andato a buon fine. Per fare ciò, la maggior parte delle formazioni si schiera a 2-3 o anche a 3-2, tuttavia non esiste una disposizione perfetta e anche la struttura 2-4 è molto utilizzata.

Per assicurarsi, invece, che in caso di mantenimento o di celere riconquista del pallone, l'azione si sviluppi pericolosamente, di solito gli allenatori ordinano ad un loro giocatore di schierarsi leggermente più avanti rispetto a quello designato a ricevere il lancio, mentre intimano ad un suo compagno di posizionarsi a lato di quest'ultimo. Ad un ulteriore elemento della squadra, invece, viene chiesto di disporsi largo, sul lato opposto del campo, per garantire ampiezza alla manovra, allargare le maglie avversarie ed offrire un'eventuale ulteriore soluzione di gioco. Ai centrocampisti chiamati alla ri-aggressione, infine, viene ordinato di non rimanere in linea.

Lanci lunghi “pienamente” volontari

I lanci lunghi “pienamente” volontari sono i lanci lunghi tentati di proposito da un calciatore fiducioso di avere a disposizione il tempo e lo spazio necessari per eseguirli. Nella maggior carte dei casi, sono funzionali a creare una chiara occasione da gol o a ribaltare il gioco sull'altro lato del campo e, proprio perché “pienamente” volontari, si prestano ad essere preparati in allenamento. Così come, parimenti, può essere preparata una forma di ri-aggressione delle “seconde palle” che ne scaturiscono (che, tra l'altro, al massimo coinvolgono un paio di giocatori in tutto).

Va precisato, tuttavia, che per quanto ci si possa sforzare, queste soluzioni non potranno mai essere implementate in partita con la stessa precisione con cui possono essere provate e riprovate nel corso delle varie sedute d'esercitazione, e questo, sostanzialmente, per due motivi: perché l'accuratezza delle verticalizzazioni lunghe a “palla attiva” non dipende soltanto dalla quantità di spazio e di tempo che gli avversari concedono al giocatore che intende eseguirle, ma dipende in larga parte anche dalle sue qualità tecniche e dalla zona di campo in cui quest'ultimo si trova nella possibilità di effettuarle; in secondo luogo perché, trattandosi di giocate a “palla in movimento” ed episodiche, è difficile che le squadre che le tentino abbiano modo di disporsi sul campo nella maniera più adatta ad aggredire con successo le eventuali “seconde palle” che potrebbero scaturirne.

Questi piccoli svantaggi sono però compensati dal fatto che, in questi casi, anche gli avversari si trovano nella medesima situazione e ciò permette a tali lanci lunghi di prestarsi maggiormente a creare grattacapi alle difese nemiche. Quest'ultime, infatti, non possono posizionarsi sul campo esclusivamente per neutralizzare le verticalizzazioni alte, ma devono disporsi sul terreno di gioco in modo tale da scongiurare tutta un'ulteriore serie di pericoli, e questo comporta che gli spazi a disposizione degli attaccanti designati a ricevere il lancio siano molto più ampi di quelli che i medesimi avrebbero a disposizione nel caso in cui fossero chiamati a ricevere una rimessa dal fondo o un calcio di punizione battuto lungo dalla propria tre-quarti campo.

In modo da rendere ancor più difficile ai difensori avversari la lettura della giocata, poi, gli uomini che compongono il reparto offensivo possono ricorrere ad un'ulteriore serie di movimenti collettivi, quasi sempre codificati.
In proposito, sono tre i “pattern” che si possono ammirare più frequentemente sui campi da gioco.
Nel primo, la sfera viene lanciata tesa, veloce e a mezz'altezza, ma non troppo bassa, verso un attaccante che ha effettuato un movimento ad incontro, affinché quest'ultimo la smisti di sponda ad un compagno posizionatosi nelle sue vicinanze, in diagonale. Il risultato che si ha è che, se il lancio viene eseguito correttamente e l'attaccante riesce ad agire di sponda, il compagno può attaccare lo spazio rimasto sguarnito alle spalle del difensore che ha portato il primo contrasto aereo, essendo quest'ultimo ormai impossibilitato ad intervenire.

Nel secondo caso ricorrente, la palla viene calciata lunga alle spalle della difesa avversaria, verso l'ala che ha tagliato all'interno del campo. La situazione non è di agevole lettura per la linea difensiva nemica, perché il terzino non può tracciare ciò che avviene alle sue spalle con facilità e, pertanto, corre tre rischi alternativi: rischia di perdere la marcatura, per essersi accorto con "incolpevole" ritardo del movimento del suo avversario diretto; rischia di essere tagliato fuori dalla successiva possibilità di contrastarlo, per aver, alternativamente, applicato male la trappola del fuorigioco; rischia di incappare in un errore di comunicazione con un compagno, per aver tentato invano, di cedergli la propria marcatura.

Nel terzo ed ultimo caso frequente, il pallone viene calciato alto, sulla corsa di un calciatore scattato in profondità un attimo prima del lancio, affinché quest'ultimo possa controllarlo nello spazio di campo sguarnito di fronte a sé, senza doverlo colpire di testa. L'immenso vantaggio offerto da questo tipo di soluzione è che, se il lancio si rivela accurato, l'occasione da gol è dietro l'angolo, se invece si rivela sbagliato, la squadra che lo effettua può comunque tentare di riconquistare la sfera con i 7-8 uomini rimasti dietro la linea del pallone.

Anche se non rientra nel campo delle verticalizzazioni "pienamente volontarie", ma in quello precedentemente trattato, questo tipo di soluzione può essere tentata anche dall'estremo difensore in situazione di rimessa dal fondo e può rivelarsi perfetta per sorprendere la difesa avversaria, dato che, in simili casi, la regola del fuorigioco non trova applicazione.

Ad ogni modo, che si ricorra o meno a movimenti di smarcamento collettivi od individuali, per aumentare le probabilità di buona riuscita delle "verticalizzazioni alte pienamente volontarie" è molto importante che il lancio sia effettuato da un giocatore posizionatosi nei semispazi e ciò per due motivi: da un lato, la distanza che il pallone deve percorrere dai semispazi per giungere in fascia opposta è minore rispetto a quella che dovrebbe percorrere se si provasse il lancio dall'altra corsia laterale, circostanza che conferisce maggiore velocità e pericolosità alla giocata; dall'altro, solo il giocatore che si trova in un semispazio dispone della duplice, contemporanea possibilità di poter verticalizzare efficacemente verso un uomo posizionatosi sulle fasce, o al contrario, all'indirizzo di un compagno dispostosi all'interno del corridoio centrale del campo, circostanza che conferisce all'eventuale giocata maggior imprevedibilità. A verticalizzare alto dai semispazi può essere uno dei difensori centrali, un centrocampista difensivo centrale, un terzino o anche il portiere, ma i lanci di quest'ultimo spesso non rientrano nelle "verticalizzazioni alte pienamente volontarie", visto che nella maggior parte dei casi, l'estremo difensore lancia lungo soltanto quando viene pressato dagli attaccanti avversari, situazione che rientra, piuttosto, nelle “palle lunghe forzate”.

Spesso i lanci lunghi del portiere non rientrano tra le "verticalizzazioni alte pienamente volontarie", ma non sempre. Alcuni degli assist contenuti in questa compilation lo dimostrano.

Lanci lunghi "forzati"

Per concludere, l'ultima categoria di verticalizzazioni alte che può essere presa in esame è composta proprio dalle palle lunghe "forzate", ovverosia, dai lanci lunghi tentati da un calciatore privo del tempo e dello spazio, o della tranquillità e della fiducia necessari per consentirgli di eseguire una giocata alternativa. In genere, il destinatario del passaggio è un attaccante che si trova nel corridoio centrale del campo, oppure in uno dei due semispazi, e lo scopo della verticalizzazione alta è quello di permettere alla propria squadra di rifiatare, sottraendosi momentaneamente alla pressione avversaria.

Questi lanci non sono frutto di una libera scelta, ma sono il prodotto dell'efficace pressing nemico, e non possono essere preparati in allenamento, data l'ingente mole di variabili che li contraddistingue. Proprio per questo, in questa sede non ha molto senso approfondire le dinamiche che li riguardano, perché sono situazioni sulle quali non è possibile mantenere alcun tipo di controllo e, come tali, non appartengono al novero delle palle lunghe "strategiche", finalizzate allo sviluppo della manovra.

  • Nato a Treviso il 25/10/1992. Laureato in Giurisprudenza. Cresce nutrendosi di palla a spicchi, ma è il calcio a catturare le sue attenzioni. Nel 2013, fresco di licenza da agente FIFA, anticipa tutti, anche se stesso: si reca in Polonia, convinto di poter rivoluzionare il calciomercato italiano. La rivoluzione non si attua, ma l'intuizione si rivela comunque felice. Oggi, svestiti i panni del procuratore sportivo, indossa quelli del match analyst e scrive di tattica in qualità di iscritto all'associazione italiana degli analisti di performance calcistica. Potete trovarlo a Rimini o, di tanto in tanto, nelle peggiori pierogarnie polacche.

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