La vendetta di Rambo Okan
La storia di uno dei più famosi ultras turchi.
Chi e a quali condizioni può meritarsi il soprannome di “Rambo”? E perché, per un'ampia fetta della popolazione maschile turca, “Rambo” è un gracile e mentalmente instabile individuo di nome Okan Güler?
John Rambo, l'emarginato reduce del Vietnam che, al proprio rientro in patria, si trova coinvolto in una lotta senza esclusioni di colpi con le forze dell'ordine americane, è uno dei personaggi inventati più amati della storia del cinema. Lo è, perché è forte, è ostinato ed è dannatamente coriaceo, ma anche perché, oltre ad essere “un'invincibile macchina da guerra”, è un individuo capace di farsi giustizia da solo, di non arrendersi mai e di battersi contro tutto e tutti, senza paura alcuna e con enorme sprezzo del pericolo.
Rambo è un personaggio “cazzuto”, insomma, perché si ribella all'autorità, perché agisce esclusivamente in funzione di una giusta causa e, soprattutto, perché è un uomo leale, governato da un proprio codice morale, fatto di poche regole, ma tutte allo stesso modo ferree ed infrangibili. Eppure, pur essendo un uomo di buon cuore, animato dalle più benevoli intenzioni, Rambo è anche violenza pura. Anzi, è principalmente violenza pura, dato che, pur ripudiando la guerra e l'uso della forza, non conosce altri mezzi per far valere le proprie intenzioni al di fuori di esse. In un certo senso, si potrebbe tranquillamente affermare che Rambo è il male al servizio del bene e che non può rinunciare a combattere, perché, altrimenti, rinnegherebbe la propria identità.
Dunque, per guadagnarsi il soprannome di “Rambo” con pieno merito, bisogna soddisfare contemporaneamente tre diversi ordini di requisiti: bisogna agire in funzione di una giusta causa, o per vendicare un'onta subita; bisogna portare a termine la propria missione da soli, con coraggio e dedizione assoluta; bisogna raggiungere il proprio scopo facendo ricorso alla violenza, alle armi o all'atteggiamento intimidatorio.
Il pittoresco capo ultrà Okan Güler, la cui storia è direttamente collegata a quella del “Kitalar Arasi Derby” di Istanbul, ha portato a termine il suo piano di vendetta personale rispettando tutte e tre le condizioni sopra citate, ed è così facendo che, per una larga fetta della popolazione turca, è diventato l'unico vero e proprio “Rambo turco”.
Okan Güler: a.k.a. “Rambo” Okan
Okan Güler non assomiglia a John Rambo, né tantomeno a Sylvester Stallone, l'attore che lo interpreta. Okan Güler è un esile e mingherlino capo ultrà, dal naso molto pronunciato e dal volto profondamente asimmetrico, che non ricorda neanche lontanamente un culturista o un combattente. Okan sembra piuttosto il tipico straccione che chiede l'elemosina fuori dalla stazione, o, se vogliamo, uno sniffatore di colla. Gli mancano anche alcuni denti e forse la colla l'ha sniffata davvero, perché ha più di qualche rotella fuori posto, ma questo non gli ha impedito di guadagnarsi lo stesso il soprannome di “Rambo turco”. D'altronde, come abbiamo detto, i requisiti che bisogna soddisfare per essere paragonati degnamente a John Rambo non sono di natura estetica, bensì psicologico-caratteriale, e lui li ha soddisfatti tutti pienamente.
Okan, infatti, ha agito in funzione di una giusta causa, perché voleva vendicare il suo Fenerbahçe dell'affronto subito nel "Kitalar Arasi Derby" dall'allenatore del Galatasaray, Graeme Souness; ha portato a termine il suo piano di vendetta da solo, con straordinaria determinazione, e ci è riuscito con l'ausilio delle armi e dell'intimidazione.
Il Kitalar Arasi Derby: il derby intercontinentale di Istanbul
La stra-cittadina dei due continenti, il Kitalar Arasi Derby appunto, è una delle più sentite a livello internazionale. Si gioca tra i “canarini” del Fenerbahçe ed i giallorossi del Galatasaray e si chiama così perché i primi sono stati fondati a Kadiköy, un quartiere situato nella parte asiatica della città, mentre i secondi a Galata, un distretto localizzato nella parte europea della metropoli.
Galatasaray e Fenerbahçe si affrontano sul rettangolo di gioco da ben 112 anni, e questo fattore ha decisamente contribuito a rafforzare l'astio che oggi intercorre tra le rispettive tifoserie, ma le due società non sono sempre state acerrime rivali, al contrario. C'è stato un tempo durante il quale i due più importanti e titolati club stanbulioti avevano addirittura ventilato l'ipotesi di fondersi tra loro per dare vita ad un'unica, singola formazione, il Turkkulubu (il club turco).
Il processo di fusione era destinato a rafforzare e a migliorare la loro competitività nei confronti delle squadre cittadine fondate dalle comunità inglesi, greche, slave ed armene, ma non giunse mai a compimento. I due presidenti, Ali Sami Yen (del Galatasaray) e Galip Kulaksizoğlu (del Fenerbahçe), avevano già trovato un accordo e avevano già presentato la necessaria domanda d'autorizzazione all'International Olympic Committee – Ottoman section, ma la loro istanza non poté essere esaminata a causa dello scoppio delle guerre balcaniche del 1912- 1913, e così, il progetto venne temporaneamente abbandonato, senza mai essere più ripreso.
Successivamente, le due formazioni rimasero in buoni rapporti per un altro ventennio, fino alla metà degli anni trenta. Per la precisione, fino al 23 febbraio 1934, quando, durante un'esibizione non ufficiale allo stadio Taksim, scoppiò una gigantesca rissa. Una rissa che il direttore di gara riuscì a placare soltanto fischiando anticipatamente la fine dell'incontro, prima della chiusura dei tempi regolamentari.
“Il derby della bandiera”: la provocazione di Graeme Souness
Da quell'incidente in poi nulla fu più come prima. Il rapporto tra le due formazioni stanbuliote, nato all'insegna della solidarietà e del reciproco rispetto, si fece via via sempre più turbolento.
Le due opposte fazioni cominciarono a provocarsi e ad offendersi reciprocamente, in un continuo crescendo d'intensità, finché, verso la metà degli anni novanta, la rivalità tra i “canarini” ed i giallorossi non raggiunse il suo apice.
L'episodio che scatenò i propositi di vendetta di Okan Güler avvenne durante il derby di ritorno della coppa di Turchia del 1995-96, oggi comunemente ricordato come il “derby della bandiera”.
Si giocò il 24 aprile 1996 ed il Fenerbahçe, che aveva perso la partita d'andata per 1 a 0, riuscì a portare la sfida di ritorno ai tempi supplementari grazie ad una rete di Kocaman. Ma le speranze di successo dei “canarini” svanirono al 116' minuto, quando l'attaccante dei giallorossi Dean Sunders, scagliando un vero e proprio “missile” sotto la traversa, scongiurò l'ipotesi di dover ricorrere ai calci di rigore e consegnò la Coppa al Galatasaray.
Al triplice fischio finale, i componenti della panchina giallorossa si precipitarono in campo, in un tripudio di gioia, poi si diressero sotto la curva occupata dai propri sostenitori, dove venne consegnata loro una grande bandiera a strisce orizzontali giallo-rosse. Tutti i giocatori si alternarono a sventolarla, finché non venne il turno dell'allenatore, Graeme Souness.
Lo scozzese la prese, la agitò per qualche secondo e poi si volse nuovamente in direzione dei propri calciatori per restituirla, ma alle sue spalle non era rimasto più nessuno. Così, decise di portarla con sé verso il cerchio di centrocampo e fu in quel momento che ebbe la “geniale” idea di piantarla nel bel mezzo del rettangolo di gioco del Şükrü Sarakoğlu: «mentre guardai in direzione degli spalti, che si stavano svuotando, mi apparve il volto di quel dirigente che [qualche tempo prima] mi aveva chiamato “storpio” [dopo essermi ristabilito da un'operazione a cuore aperto]. “Ora ti faccio vedere io chi è lo storpio” pensai, e cominciai a correre verso il cerchio di centrocampo, per piantarci la bandiera. Al primo tentativo non ci riusciì, ne impiegai due o tre, poi mi girai nuovamente verso la tribuna. Uh-oh, i tifosi del Fenerbahçe si stavano arrampicando sopra la recinzione metallica e fu a quel punto che realizzai che, forse, la mia trovata non era stata particolarmente brillante. […] Comunque, che posso dire in proposito... fu una di quelle cose che, ora, non vorrei aver mai fatto, ma che sul momento mi era sembrata un'ottima idea».
Souness riuscì a scampare al linciaggio collettivo precipitandosi all'interno degli spogliatoi, ma il suo gesto fece scoppiare vari disordini e tafferugli nel post-partita, perché, ovviamente, quell'atto fu interpretato come una vera e propria dichiarazione di guerra.
Alcuni gruppi di tifosi organizzati del Fenerbahçe, logicamente, cominciarono a covare vendetta, ma soltanto un uomo, qualche anno più tardi, passò dalle parole ai fatti: "Rambo" Okan Güler.
La vendetta di “Rambo” Okan
Okan pianificò la sua vendetta per anni e calcolò tutto nei minimi dettagli, ma non è facile datare con certezza il giorno in cui passò effettivamente all'azione. Alcuni sostengono che completò la sua missione due anni dopo il “derby della bandiera”, altri che si introdusse di nascosto nello stadio del Galatasaray, alla vigilia del match inaugurale della stagione 2002-2003. Questa seconda ipotesi sembra la più credibile, ma quel che davvero importa è che non sussistono dubbi in merito a come si svolsero i fatti, dato che si possono facilmente trovare in rete vari contributi visivi che li documentano.
Andò così: Okan, passò la nottata a bordo campo, riparandosi al di sotto dei cartelloni pubblicitari che delimitano il terreno di gioco. Attese che i calciatori iniziassero il riscaldamento e, quando fu assolutamente sicuro che mancassero soltanto pochi minuti al fischio d'inizio, uscì allo scoperto, tagliando in due l'adboard dietro al quale si era rifugiato. Indossava un giubbottino giallo-blu, recava con sé l'effige della sua squadra del cuore e brandiva un lungo, affilato coltellaccio da cucina. Con fare minaccioso, Okan si diresse verso il cerchio di centrocampo puntando la lama in direzione di chiunque sembrasse intenzionato ad ostacolarlo, e quando vi giunse, vi piantò la bandiera del club gialloblù. Poi rimase lì da solo, impalato, di fronte a migliaia di spettatori, agitando il coltello in segno di sfida. Un manipolo di guardie di sicurezza, dopo alcuni istanti di incertezza, riuscì a disarmarlo, a immobilizzarlo e ad assicurarlo alla giustizia, ma poco importava ormai, perché quando ciò accadde, Okan aveva già raggiunto l'obiettivo che si era posto: attribuire simbolicamente al Fenerbahçe la paternità dell'impianto di gioco del Galatasaray e guadagnarsi, di conseguenza, la fama di “rambo” turco.
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