La (s)fortuna di chiamarsi Sonego: una questione generazionale
Pressione mediatica, ricambio generazionale e un momento di risveglio collettivo per il tennis italiano. Con Sonego che è solo un indizio di quel che sta succedendo. Vi raccontiamo perchè.
Come eravamo
Era il 2007, Volandri batteva Federer a Roma e si issava a numero 25 del mondo, il suo best ranking in carriera. L'Italia aveva il suo numero uno e sembrava già tanto: i cancelli della top 10 erano un paradiso proibito. Impensabile arrivarci. La generazione dei Bolelli, Seppi, Starace, Volandri lottava per un posto nei primi 30 al mondo a furia di scivolate sul mattone tritato, con grande professionismo ma anche pochissime ambizioni di gloria. Eclissato il sogno Quinzi, all'Italia non rimaneva che aggrapparsi alle lune storte di Fabio Fognini.
Nel corso del decennio tre incursioni parigine degne di nota, ovviamente su terra rossa. Giusto ricordarle. Nel 2011 Fognini faceva quarti al Roland Garros senza una gamba (ricordate il mitico match di ottavi con el rato Montanes?), nel 2013 Seppi lo eguagliava perdendo poi con Djokovic. E nel 2018 "Ceck" Cecchinato giustiziava lo stesso serbo e approdava addirittura in semifinale.
Ricambio generazionale
Nel 2019, la cordata guidata da capitan Fognini si apriva finalmente un varco nella top ten, con Fabio che si issava al numero 9, vincendo a Montecarlo il primo Master 1000 della storia italiana. Neanche il tempo di farsi consacrare a salvatore della patria ed ecco Berrettini che bruciava le tappe, facendo semifinale a New York a suon di roncolate e conquistando addirittura ottavo posto e invito alle ATP Finals di fine anno.
Il 2020 della pandemia ha aperto il terreno al ricambio generazionale. Nel 2021 si è aperta la nuova Era, con Djokovic ultimo dominatore e rappresentante di una generazione (quella sua, di Federer e Nadal) che ha cambiato questo gioco. L'Italia per la prima volta cavalca l'onda e fa uscire dalla fucina due giovani che bruciano le tappe e si guadagnano il merito sul campo di battaglia. Li conoscete già: Sinner e Musetti.
E mentre mezzo popolo italiano si gongola trastullandosi su pericolosi titoloni mediatici che li vedono già prossimi numeri uno al mondo, l'altra metà ha memoria del passato recente, parla a bassa voce con scaramanzia, ed è quasi quasi timorosa di rovinare la favola e svegliarsi senza niente in mano. Qualcosa di diverso, però, stavolta c'è.
Distribuire la pressione
Le spalle di Fognini si sono dimostrate solide e robuste in questi anni da numero uno d'Italia in solitaria. È stato Fognini il trascinatore, l'autodidatta della top10 (già sfiorata nel 2014) che ha mandato avanti la baracca in questi anni, facendo da ponte tra le due generazioni. Un compito non facile, considerata la volubilità di popolo e stampa italiana, che un giorno lo metteva alla gogna ("con una testa così non vincerà mai niente di importante...") e il giorno dopo saliva sul carro del vincitore, e considerato anche l'atteggiamento e le picaresche lune storte del Fogna. Un mix potenzialmente letale. Fognini s'è fatto uomo da solo, ha messo su famiglia con Flavia Pennetta ed è maturato su una piazza molto pesante da gestire.
Dopo Fognini è arrivata l'esplosione di Berrettini, che l'anno successivo (un 2020 pur condizionato dal Covid) ha dovuto prendere le misure dell'impresa che aveva compiuto nel 2019, subendo un comprensibile calo e ridimensionamento. La pressione ha cominciato a distribuirsi.
Il 2020 è stato l'anno del fenomeno Jannik Sinner, seguito dal guru Riccardo Piatti. Ma proprio quando l'attenzione mediatica si stava puntando a senso unico sull'altoatesino, ecco arrivare braccio d'oro Lorenzo Musetti, che con un tennis d'attacco di grande spettacolarità si è imposto in questi primi mesi del 2021, equilibrando ancora la pressione e le aspettative. Il brillante tennis d'attacco di Musetti e la robotica solidità di Sinner: carne fresca per la costruzione di una rivalità che tra i due italiani ancora non esiste, ma su cui qualche media si è subito avventato, in maniera davvero troppo precoce. Attacco contro difesa, Borg-McEnroe, Agassi-Sampras, Federer-Nadal. La ricetta delle grandi rivalità in fondo è quella.
La (s)fortuna di chiamarsi Sonego
E mentre i riflettori sono tutti comprensibilmente puntati su Sinner-Musetti, precocissimi talenti (classe 2001 e 2002), un altro giovane italiano, Lorenzo Sonego, sta macinando punti e risultati utili praticamente in sordina, lontano dalla pazza folla.
Braccio veloce, faccia da sbarbatello, carattere forgiato nella giungla Challenger. Sonego è un frutto tardivo, ha iniziato a giocare a tennis a undici anni (giocava a calcio nelle giovanili del Torino, sua ossessione calcistica). Ma sotto la guida dello scafato Gipo Arbino, sta costruendo con pazienza una carriera. Il carattere è da leone, la gestione dei punti importanti migliorata, ma quello che mi piacque da subito di lui (in un quarto di finale al Challenger di Manerbio che gi vidi perdere dal vivo e con match point sprecato) è la spregiudicatezza mostrata nei momenti importanti. Forse incoscienza, a volte magari un limite. Sonego picchia duro e si prende la responsabilità del suo fato, all-in sui suoi punti forti, servizio e dritto. Non è cosa da poco in un tennis ricco di noiosi attendisti. E ora sta dando i suoi frutti.
A 25 anni, età già avanzata per gli standard da baby prodigio di cui sopra, Sonego è al numero 28 ATP, una classifica che 15 anni fa avrebbe prodotto ben altra attenzione mediatica. Forse è un bene. Lo è per lui e per i suoi compagni italiani, è l'indicazione di una tendenza favorevole, che in questo momento di esplosione collettiva del tennis italiano va sfruttata a proprio vantaggio, per dividersi la pressione lavorando per puntare alla vetta. Parliamoci chiaro, Sonego non ha il potenziale di Musetti e Sinner, ma quello che sta facendo è comunque precoce per quello a cui eravamo abituati. Ha vinto domenica l'ATP 250 in Sardegna, ora gli manca solo l'exploit in un grande appuntamento. Il periodo in cui nasci incide sulla percezione della tua carriera. Specie negli sport singoli. Quella di Sonego forse non sta vendendo titoloni ma ha grande valore nell'economia di un movimento tennistico italiano che si è sollevato e non ha paura di puntare in alto.
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