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sheva
, 4 Dicembre 2020

L'umana grandezza di Andriy Shevchenko


Non se n'è mai andato da San Siro. E' ancora lì a segnare nella porta di Francesco Toldo, come nell'aprile del 2003. Andriy Shevchenko, un calciatore fondamentale.


Per lui giocare davanti a ottantamila spettatori, in una finale di Champions League, oppure nel cortile di casa con i bambini è la stessa cosa. 

I gol che segnava Andriy Shevchenko erano pesanti, lesti ad arrivare nel momento giusto, allo scoccare dell'istante che fa la storia, quella frazione di secondo che in tanti bramano, ma che è riservata a pochi. L'ucraino ha contraddistinto una carriera intera su questo genere, imprimendo il proprio nome nella storia del Milan e del calcio.

Ma, andando oltre. Chi era in campo lo Zar e, soprattutto, ad otto anni dal ritiro, cosa rimane della sua grandezza e della sua umanità calcistica?

Gol, gloria

Shevchenko

Ovviamente, non potevamo non soffermarci su questo aspetto. Shevchenko è stato un attaccante generazionale, della tipologia alla quale appartengono i campioni: tecnica altissima, spiccate capacità realizzative, dribbling che non lascia prigionieri (e che ad inizio carriera non faceva parte delle sue grandi qualità, salvo migliorare con il tempo). Infine, forza fisica straripante, leadership da vendere.

Con la sola maglia del Milan, ha messo a segno 175 gol, ma prima ancora di far ruggire San Siro, con la collaborazione decisiva di Valerij Lobanovs'kyj, ha riscaldato le gelide arene ucraine con la maglia della Dinamo Kiev, portando la squadra simbolo di una nazione fino alle semifinali di Champions League, nella stagione 1998-1999.

Nonostante abbia spadroneggiato nel massimo campionato ucraino, trofeo presente cinque volte consecutivamente nella sua bacheca, nell'estate del 1999 arriva avvolto da un certo scetticismo alla corte del Milan, allenato da Alberto Zaccheroni, fresco campione d'Italia. La Serie A è un'altra cosa, mormorano i più. I giocatori originari dell'ex blocco sovietico, nel nostro paese hanno convinto davvero poco, bisbigliano altri. Al debutto in campionato, contro il Lecce, segna il suo primo gol con i rossoneri. Alla fine della stagione, è il re dei cannonieri con 24 gol. L'ultimo straniero a riuscirci all'esordio, nel 1982-1983, fu un certo Michel Platini.

Sheva si prende il Milan, caricando il groppone delle responsabilità che elevano un grande trascinatore, il quale trova esaltazione nei momenti difficili. Uomo derby, Nightmare nei sogni di gloria nerazzurri, 14 volte a segno nella stracittadina. Come lui, nessuno mai. C'è stato un periodo, nella storia meneghina, in cui la tensione era alle stelle e forse anche la Madunina patteggiava per una delle due fazioni. Maggio 2003, spartiacque di un'epoca: tra Martins e Sheva, Kallon o Abbiati, Eupalla scelse i rossoneri. Il gol dell'ucraino, meraviglioso esempio di dribbling in un fazzoletto di terreno e rapidità di gambe e pensiero, ha origine in un'altra notte di Coppe, quando a Milano, tre anni prima, arrivò il Besiktas, anche se in quell'occasione i dribbling sono stati due, ma la trama è sempre quella.

Sempre Sheva aveva segnato un gol fondamentale al Real Madrid, in quell'edizione della Champions. Sempre lui realizzerà il rigore decisivo, in una calda notte inglese: glaciale e contemporaneamente ansioso di levarsi un peso dal cuore. Signor Merk - sembra dire con lo sguardo- posso calciare? Certo, vai pure verso la leggenda. Il Milan tornerà a vincere la Coppa, dopo nove anni di astinenza, mentre lui legherà per sempre a quei momenti la sua carriera da mattatore.

Logicamente, Sheva merita di essere elogiato anche per tanti altri gol, come quelli bellissimi alla Lazio, all'arabesco nella porta di Buffon, l'incornata scudetto alla Roma nel 2004. Invece vogliamo soffermarci sulla sua ultima ribalta internazionale: l'Europeo del 2012. Prima partita, in casa, a Kiev, contro la Svezia di un altro grande della storia rossonera, Zlatan Ibrahimovic, il quale porta in vantaggio i suoi, almeno fino a quando Sheva decide di vincere: incornata in volo per il pareggio, poi, un secondo colpo di testa, sul primo palo, ad anticipare un colpevole Zlatan.

L'ultimo atto d'amore dello Zar.

L'umana caduta

Istanbul, il tonfo di una squadra, il Milan, che perde la più rocambolesca delle finali. Il numero Sette non riesce a capacitarsi di quanto stia accadendo: Dudek ha appena realizzato un intervento che semplicemente ribalta ogni parametro sulla forza di gravità. Da non crederci.

Calci di rigore, tocca a Sheva. Un grande campione può sbagliare un tiro dal dischetto, è un comune mortale come gli altri in quei momenti. Sempre il quinto, come a Manchester, ma questa volta è diverso perchè, se dovesse sbagliare, la Coppa andrebbe clamorosamente a Gerrard e soci. In un teatro di posa simile alla controparte inglese, Sheva guarda per un momento l'arbitro, ma non emana la sacralità e la lenta determinazione del 2003: sembra quasi che questa volta intenda rompere gli indugi nel minor tempo possibile. Dudek respinge.

Buio pesto.

Paolo Maldini tiene attaccati i cocci, il Milan riparte e l'ucraino sembra essere il solito grande attaccante, ma gli avvenimenti porteranno all'addio, con un ultimo saluto, in un clima di rassegnazione e rammarico per un legame interrotto troppo presto. San Siro cade in un' atmosfera surreale, in quel maggio del 2006, mentre Sheva assiste all'ultima giornata di campionato, contro la Roma, insieme ai suoi ormai ex tifosi, con un tutore al ginocchio malconcio. Resta con noi, intona la curva rossonera. Sguardi mesti, rassegnazione verso un cambiamento inspiegabile.

Ragioni familiari, precisa il campione. Dichiarazioni confermate, negli anni, dallo stesso Adriano Galliani.

Londra, quindi, sponda Chelsea. Tra infortuni e polemiche, Sheva si avvia sul lungo viale del tramonto, con ritorno a Milano: non lo avesse mai fatto, perché sembrava il fantasma del mattatore che fu. Il re ha perso la sua corona.

Sarebbe stato bello se, insieme ad Inzaghi, nel 2007, ci fosse stato lui nel remake tanto atteso e, magari, avesse segnato un gol, uno solo, per riscrivere una storia interrotta nella maniera più rapida e dolorosa possibile.

Shevchenko

Considerazioni

Senza eccedere nel sentimentalismo, Sheva è stato uno degli attaccanti più forti della sua generazione: una vera e propria disgrazia per le difese altrui, puro godimento per gli amanti del Milan e non solo. Fino a quando il fisico ha retto, era imprendibile in quei suoi affondi verso la porta avversaria. In un periodo storico in cui vigeva un perfetto bilanciamento tra squadroni e outsider, è stato definito da molti il prototipo del calciatore ideale, con un 2003-2004 da applausi, coronato da un Pallone d'Oro meritato, frutto di quella semplicità nel tocco, specialmente nelle grandi occasioni, che ne ha costituito la grandezza.

Segnare a Buffon o al proprio bambino, senza fare troppa differenza tra l'una e l'altra situazione, con il gol come scopo unico ed essenziale.


  • Classe 1996, laureato in Lettere, semina pareri e metafore su un pallone che rotola, aspettando il grande momento.

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