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, 26 Ottobre 2020

L’altra faccia dell’Impero: una breve contro narrazione de O Rei

"Un re deve saperlo. Quella sedia è solitaria", Mano Brown.

“Il passato è il luogo dove abitano le cause, vale a dire i colpevoli. Per questo i colpevoli insistono tanto sull'inutilità del passato. Vogliono un mondo senza colpevoli ma quando la cosa risulta impossibile, quando il passato resuscita la colpa, i colpevoli tornano a uccidere, tornano a essere quello che sono sempre stati. Assassini”

(Manuel Vazquez Montalban, La bella di Buenos Aires)

Da qualche giorno si è celebrato l’80° compleanno di Edson Arantes do Nascimento, al secolo Pelè o, altrimenti detto “O Rei do Futebol”.

Starne qui a decantare le gesta sarebbe quanto di più riduttivo possibile.

Personalmente, il miglior gol di Edson è stato proprio quello che non riuscì a fare nel Mondiale del 1970 contro l’Uruguay. A distanza di 20 anni dal Maracanazo (la più grande tragedia sportiva che ha investito il Brasile, quando perse il mondiale organizzato in casa ad opera proprio della nazionale uruguagia), dopo aver rimontato un gol di svantaggio, il Brasile, che poi vincerà quel mondiale a scapito di una nazionale Italiana stremata dalla Partita del Siglo, è sopra di 3 gol.

Ultimo minuto, magnifico assist di Tostão, O Rei si ritrova solo davanti a Ladislao Mazurkiewicz, il portiere di origini polacche che chiedeva a tutti di chiamarlo Chiquito.

Pelé è in vantaggio, ma vede Chiquito in uscita disperata e, allora, decide di incrociare il pallone senza toccarlo, mandando l’uruguagio fuori tempo.

La sfera continua la sua corsa alla destra mentre Pelè passa a sinistra e poi sterza per andarla a riprendere e calciarla in torsione. La porta è parzialmente coperta da Ancheta, il che costringe Pelé ad ad angolare il diagonale che termina la sua corsa sfiorando il palo opposto.

“Invece di pensare/Continua a salmodiare”. Così cantava Giovanni Lindo Ferretti, leader del gruppo punk CCCP, nel brano “Islam Punk”, ed è così che mi pare faccia buona parte del mondo calcistico quando si affronta l’eterno dualismo Maradona – Pelè.

Fùtbolisticamente nulla quaestio: entrambi rappresentano il punto più alto che la tecnica individuale possa raggiungere in un essere umano.

Ma perché Diego viene considerato eroe del pueblo e Edson no?

Perchè all’uomo Maradona viene perdonata la sua, discutibile (eufemisticamente), vita privata sacrificandone il giudizio sull’altare della popolarità, mentre quella di Pelè viene portata come esempio proprio per sancirne l’incompatibilità con la natura popolare?

Dove ha origine questa discrasia di giudizio?

La risposta, forse, non la si vuole vedere, la si potrà considerare forzata, ma risiede, credo, nell’inconscio giudizio di razza perché essere nero è già una forma di resistenza.

Il Brasile, infatti, fu l’ultimo paese della Americhe a liberarsi dalla schiavitù nera. La Legge Aurea del 1888 liberò sì questi ma non prevedeva alcuna politica di integrazione, abitazione, educazione o impiego: di fatto quei circa due milioni di schiavi neri videro riconosciuto il diritto all’esclusione sociale. Si crearono, per legge dello stato, le Favelas.

Non bastasse ciò, il primo governo non portoghese (credo che democratico sarebbe una parola eccessiva) introdusse, solo l’anno successivo – 1889, la “Legge del Vagabondaggio” prevedendo sanzioni di natura penale (carcere) per chi si macchiasse di essere mendicante, ozioso ed ostentasse qualunque tipo di manifestazione culturale di stampo africano.

Dal lato calcistico, il primo giocatore nero ammesso in una squadra, il Bangu, di Fùtbol fu Francisco Carregal. Correva l’anno 1905, quindi 35 anni prima della nascita di Pelè.

Ma la storia di Carregal non fu l’inizio di una rivoluzione, anzi fu un modo per riempire i vuoti di formazione che le squadre brasiliane dell’epoca soffrivano. Ai giocatori “negri” non era concesso toccare nulla se non la palla. Qualunque contatto avvenisse con un giocatore bianco era da considerarsi meritevole di punizione sul campo e non.

Il dribbling brasiliano nasce così: astuzia e tecnica di sopravvivenza.

Il dribbling evita ogni contatto con i difensori bianchi.

Il giocatore che riuscirà a sgusciare tra le lattee gambe avversarie avrà l’onore di non essere pestato né in campo né dagli spettatori a fine partita.

Il dribbling salva la vita.

Nel 1923, 17 anni prima della nascita di O Rei, Il Vasco de Rio de Janeiro ebbe l’ardire di vincere il campionato Carioca dinanzi alle aristocratiche Botafogo, Amèrica, Flamengo e Fluminense, tanto che queste ultime decisero, l’anno successivo, di fondare una loro lega nella quale era assolutamente vietato essere analfabeti o lavoratori non specializzati. Dunque, se eri “negro” non eri meritevole di giocare.

Col tempo si creò in tutto il Brasile, grazie all’appoggio di anarchici e comunisti, una vera e propria coscienza di classe che riuniva tutti i dimenticati dal governo. Iniziarono scioperi, manifestazioni, lotte e auto organizzazione anche a livello calcistico: nascevano molteplici leghe, tutte popolari, tutte antirazziste.

Proprio in questo brodo culturale nasce calcisticamente Edson (il cui nome è un omaggio a Thomas Edison poiché in quell’anno – 1940 – la corrente elettrica raggiunse il villaggio di nascita), fino a che a 15 anni, 8 Agosto del 1956, non si trasferisce al Santos di cui ne diventerà leader indiscusso e ambasciatore unico.

Durante la sua carriera Pelè, al contrario di quanto si pensi, ha sempre sostenuto le rivendicazioni per il riconoscimento dei diritti dei calciatori quali lavoratori a tutti gli effetti appoggiando il primo tra i giocatori che lottò in tal senso, Afonsinho, sul quale disse: “Conosco soltanto un uomo libero nel mondo del calcio”.

Non solo: ha condotto battaglie antirazziste contrastando le discriminazioni, disse Edson “Mi chiamavano negro, criolo, macaco ma non mi importava. Preferisco fornire esempi. Per la famiglia, gli amici e i fan. Questa è la mia battaglia”.

Partecipò attivamente alle battaglie per riportare la democrazia in Brasile appoggiando la campagna “Diretas Jà”, venne messo più volte sotto indagine dal regime militare per sospetto attivismo nei gruppi di sinistra, specie dopo aver smesso di giocare. Era consapevole che il regime usasse la sua immagine e quella dei compagni di squadra della Selecao, ma preferiva non confrontarsi con il comando dittatoriale, che aveva messo radici all'interno della Federazione (nel quale aveva posto uno dei suoi più feroci avvoltoi), club e nazionale. Soleva dire che: “È difficile evitare un presidente, ad esempio, come [Ernesto] Geisel e Médici. Ho ceduto perché, nella mia posizione, devi fare delle concessioni".

Banale si dirà, ma in fondo sincero. Senza fronzoli o sovrastrutture. Forse la vera pecca del Pelè “politico”.

Da ricordare che con l’avvento della democrazia, fu nominato Ministro dello sport nel governo di Fernando Henrique Cardoso e ha contribuito ad approvare la legge Pelé, che regolava i rapporti di lavoro nel calcio.

Come spiega Silvio Almeida (filosofo ed attivista per i diritti dei neri in Brasile), Pelé ha contribuito a dare prospettive alla maggioranza della popolazione nera (ma più in generale povera) brasiliana che, fino ad allora, non aveva mai osservato nulla di simile. Prosegue Almeida: "Quando ero bambino, l'unica cosa che mi faceva credere che avrei avuto qualche possibilità in questo paese era vedere in TV l'immagine di quell'uomo nero, rosso come me, con il pugno chiuso e il numero 10 stampato sulla schiena […] Devo molto al calcio quello che sono in termini materiali, intellettuali ed emotivi. E questo ha anche a che fare con Pelé"

Come fa notare Almeida, in un paese quale quello brasiliano, profondamente segnato dalle conseguenze della schiavitù, soprattutto – ma non solo - ai tempi in cui Pelé esplose, era impensabile che il mondo dell’epoca, da un momento all'altro, acclamasse un re nero.

Il volto di Edson Arantes do Nascimento stampato sulle prime pagine dei giornali significava, per molti neri che lo vedevano giocare, la speranza di un'ascensione sociale, di vederne una simile nel post idolo della nazione.

Essere neri in Brasile, all’epoca come in quello attuale di Bolsonaro, è già un atto di resistenza.

Essere il più grande giocatore del mondo in un paese razzista e colonialista è rivoluzionario.

Forse la vera differenza tra Pelè e Maradona ai nostri occhi è in quella inconscia, inconfessabile, radicata e sistemica visione bianca del mondo che ci ha permesso di capire a fondo l’uomo Maradona e lodarne le battaglie ma che non ci ha fatto ancora capire la grandezza di Pelè.

Lunga vita a Pelé, l'unico re che non decapiteremo!

  • Impuro, bordellatore insaziabile, beffeggiatore, crapulone, lesto de lengua e di spada, facile al gozzoviglio. Fuggo la verità e inseguo il vizio. Ma anche difensore centrale.

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