Dio di Maratona
Olimpiadi di Atene 2004, ultima gara, la maratona. Stefano Baldini è alla sua ultima occasione per entrare nella storia, ma non parte tra i favoriti.
Stefano Baldini è un uomo con trentatré primavere alle spalle quando, partendo dalla Piana di Maratona e arrivando allo Stadio Panathinaiko, nella culla dell'epica sportiva, conquista una delle medaglie più importanti nella storia dello sport italiano.
In carriera, nonostante i successi, per sua stessa ammissione non è mai riuscito a compiere il definitivo salto di qualità che divide un ottimo atleta da un fenomeno, vuoi per i limiti caratteriali, ai quali fa da seguito una mentalità diversa dagli standard del cannibale agonistico, vuoi per qualche infortunio nel momento meno opportuno, come a Sidney.
29 agosto 2004, il mondo punta gli occhi sull'ultima battaglia dell'Olimpiade ateniese: la maratona. Mito e sport si mescolano, Stefano Baldini appare addirittura rilassato, quando la vigilia della gara sta vedendo scorrere i suoi titoli di coda, per buttarsi a capofitto nella leggenda.
Il keniano Paul Tergat è il favorito numero uno, ma a tentare per primo la fuga, in un caldo asfissiante, è il brasiliano Vanderlei de Lima, il quale stacca il gruppo degli inseguitori, portando il proprio vantaggio a 30''. Nessuno riesce a stargli dietro, tranne Baldini, Tergat e Meb Keflezighi.
Baldini accelera, accelera, Tergat, il grande favorito, cede di schianto inaspettatamente, solo Keflezighi tiene testa al campione emiliano. Intanto, il vantaggio di Vanderlei de Lima si sta assottigliando metro dopo metro, il volto dell'eroe sudamericano è una maschera di sofferenza, nella quale sono intrisi anni e anni di allenamenti, di sudore, di passione e sacrifici. Devo resistere, non posso mollare adesso. La medaglia d'oro sarebbe un'occasione unica per essere ricordato in eterno. Non posso rallentare.
Quando gli atleti sono giunti al trentacinquesimo chilometro di gara, la gloria ne dista poco più di sette e il duo di inseguitori sta recuperando terreno: si prospetta un finale drammatico, in uno scenario senza punti di riferimento che sembra uscito dai racconti del mondo greco antico.
Sarà molto più simile ad un romanzo di Stephen King.
Mors tua vita mea
Nel celebre romanzo "IT", l'omonima entità malvagia può assumere le sembianze delle paure nascoste nei pensieri delle persone, in un susseguirsi di avvenimenti drammatici e spaventosi che porteranno il Club dei Perdenti ad affrontare il nemico, anche a costo della vita. In quella calda estate di inizio millennio, quel che accade assume caratteri dolorosamente tragici, per chi ama lo sport e i suoi interpreti.
Vi siete mai chiesti quali siano le paure di un atleta durante una gara? Il classico infortunio, i nervi che rischiano da un momento all'altro di andare in pezzi, oppure, la venuta di un imprevisto, l'arrivo di un elemento totalmente estraneo al contesto: nel ciclismo, gli spettatori sono invitati a mantenere la giusta distanza dalla strada per evitare di influire sulla prestazione dei corridori, nella maratona vengono utilizzate le transenne.
Ce la posso fare, darò filo da torcere fino alla fine a chi vorrà sfidarmi. Sono stanco, Baldini e Keflezighi sono sempre più vicini, ma per loro non sarà facile. Le gambe reggono, per il momento. Sono troppo stanco per fare calcoli, devo andare avanti. Speriamo non ci siano imprevisti.
Chissà, forse sono stati proprio questi i pensieri intrecciati dalla mente del brasiliano, forse, però, non poteva neanche immaginare cosa sarebbe successo di lì a poco. Il destino si prende gioco delle regole, delle paure di un valoroso essere umano e gioca a mischiare realtà e finzione letteraria, proprio come il Pennywise partorito dal genio di King toglie alle giovani vittime la possibilità di vivere, il fato assume le sembianze di un fanatico religioso di origine irlandese, il cui nome è Cornelius Horan, già protagonista l'anno prima, al Gran Premio di Formula 1 a Silverstone, quando scatenò il panico entrando in pista con i piloti che sfrecciavano ad alta velocità.
Non è immaginazione, è realtà. Le telecamere internazionali sono colte alla sprovvista tanto quanto gli inviati RAI: Un pazzo, è sempre lui, urla indignato il telecronista del servizio pubblico, intervengono le forze dell'ordine, da Lima si rialza, non sa cosa pensare, se non continuare e finire la gara. Baldini e Keflezighi si avvicinano sempre più, fino a quando Stefano stacca l'americano e affianca Vanderlei, superandolo di slancio, dopo due ore di gara.
Comincia l'ultimo atto della maratona ateniese, niente e nessuno può bloccare l'azzurro: indomito, sicuro, inarrestabile nella sua andatura cadenzata. Stefano Baldini vola. Manca davvero poco. Ormai è calata la sera sulla capitale greca, il Panathinaiko è una bomboniera di luce accecante sul finire di un percorso ammantato dalle tenebre. L'ovazione del pubblico è da brividi, Stefano deve compiere l'ultimo giro, lo accompagnano applausi scroscianti che vorresti non finissero mai.
Vai Stefano, la gloria è tua. Alza le braccia al cielo, nella culla dello sport. Un urlo squarcia la notte.
Meb Keflezighi arriva secondo, Vanderlei da Lima riesce stoicamente a guadagnare la medaglia di bronzo. Tempi alla mano, Stefano Baldini avrebbe comunque raggiunto lo sfidante, impiegando più tempo, certo, ma sarebbe ingiusto parlare di vittoria immeritata. Il brasiliano stava soffrendo in maniera evidente, quando poi il mondo gli è caduto addosso. Eroe della gara, esempio di cosa sia davvero lo sport: fatica, sudore, capacità di reagire ai problemi. Non mescoliamo all'epicità del momento la parola morale, sarebbe stupido e offensivo nei confronti di ogni partecipante a quella gara.
Stefano Baldini ha dato prova di essere un grande campione, il suo oro è uno dei più luccicanti nella storia del movimento sportivo italiano. Un essere divino, il Dio di Maratona.
Post Scriptum: i dialoghi mentali di Vanderlei da Lima sono frutto dell'immaginazione dell'autore, il quale ha preso spunto dalla realtà storica per rendere accattivante la narrazione epica dei fatti, in una chiave di lettura del tutto personale.
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