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, 9 Settembre 2020

Le MMA dopo Colleferro


Un'occasione per riflettere sugli aspetti più deleteri di questo sport.

In fin dei conti, questa non è propriamente una storia di MMA, della sua violenza e del suo "potere corruttore" sulle giovani generazioni. È innanzitutto una storia di cronaca nera, resa ancora più scura e dolorosa di tante altre per la giovane età della vittima e per le dinamiche assurde che hanno portato alla sua tragica scomparsa.

Volendo, è anche una storia di come l'informazione generalista (poco importa se cartacea od online) fatica a trattare vicende di questa gravità con quanto più tatto e asciuttezza possibile per la tutela delle vittime e anche degli indagati (innocenti fino a prova contraria, si diceva una volta), lasciandosi andare invece a narrazioni e ricostruzioni romanzate che appaiono come pallide imitazioni di una puntata di "Blu Notte". Tuttavia, questa storia, cioè la morte di Willy Monteiro Duarte a Colleferro, è diventata anche una storia di Mixed Martial Arts, tirate dentro il calderone delle polemiche dagli accennati meccanismi distorti del giornalismo contemporaneo.

Prima di diventare i principali accusati per l'omicidio di un ragazzo di 21 anni, Marco e Gabriele Bianchi sono stati atleti di MMA, uno dei quali con alcuni match da professionista all'attivo. Un aspetto apparentemente secondario rispetto alla sostanza dei fatti, comunque ancora in corso di accertamento da parte delle autorità competenti.

Per diversi operatori dell'informazione e vari opinionisti, però, questo dettaglio sicuramente pittoresco e curioso per chi non conosce questo sport è diventato fondamentale nel racconto della notizia e degno di lunghe elucubrazioni. Articoli e servizi in cui si "spiega cos'è l'Mma", con descrizioni affastellate, corredate di singoli dettagli magari corretti ma esposti in maniera approssimativa. Bilanciate quando va bene dalle voci di chi questo mondo lo conosce davvero da addetto ai lavori, quando va male da strampalate descrizioni che starebbero meglio in un romanzo di Chuck Palahniuk. Fino ad arrivare alla masterclass del conservatorismo più atavico e refrattario alla realtà che possa esistere, radicato anche in figure teoricamente progressiste e aperte al confronto con il mondo esterno che lo circonda.

Un mondo esterno che ha espresso il proprio disappunto per questa associazione forzata e con posticci ricami sopra, sia tra la numericamente ridotta ma fortemente appassionata schiera dei fan delle MMA, sia tra persone genuinamente stufe delle solite risposte semplici a problemi e vicende complesse ("è colpa di videogiochi, film, musica, sport, ecc.") che insultano l'intelligenza di chi le legge.

Le Mixed Martial Arts sono uno sport con una componente violenta? Certo che lo sono. Sono probabilmente lo sport più estremo che trova stabilmente spazio in televisione, nei media digitali e di altro formato? Si può tranquillamente argomentare un’affermazione del genere. Quindi, chi le pratica sono tutti come quelli di Colleferro? Assolutamente no. A questa disciplina, tanto negli Stati Uniti dove è iniziato tutto, quanto in altri paesi tra cui l’Italia, si sono avvicinate tante persone di diversa estrazione culturale. Bravi ragazzi (e ragazze) che vi hanno trovato il modo di espressione che soddisfava meglio la ricerca dei propri limiti, persone che sono riuscite a raddrizzare le proprie traviate esistenze recuperando un proprio equilibrio dentro e fuori dalla gabbia, semplici appassionati che possono anche non essere atleti professionistici ma che nella pratica delle varie tecniche e nell'ambiente della palestra hanno scoperto qualcosa che completa le loro vite.

Gettare le MMA nel fuoco della polemica alla luce di un fatto di cronaca infame è dunque un esercizio errato, stupido per il modo pedestre e pregiudiziale in cui è stato fatto, giustamente criticato da chi ci tiene a questo sport, anche solo da spettatore sul divano.

Quando capitano tempeste del genere, volendo più mediatiche che altro, alla legittima difesa della categoria occorre che si accompagni però pure un'autoanalisi di cosa sia davvero e di come funzioni (o malfunzioni). Perché è vero, le strade italiane e quelle mondiali non sono piene di mixed martial artist/aspiranti serial killer, altrimenti avremmo sentito o sentiremmo di frequente altri dibattiti in stile Colleferro. Nè, altro topos del momento, tutte le palestre di MMA sono incubatrici di estremismi politici (spesso e volentieri in direzione destrorsa).

Tuttavia, non si può negare che, volgendo lo sguardo al di fuori dell'Italia, quest'ultimo aspetto abbia qualche fondamento di verità (particolarmente illuminante in tal senso il lavoro di Karim Zidan, giornalista del sito specializzato Bloody Elbow e del Guardian). Così come, mettendo da parte la politica in senso stretto, ci siano stati diversi casi di fighter coinvolti in vicende criminali di varia gravità, sia pure in quantità non necessariamente superiore ad altri sport estremi come boxe, kickboxing o football americano.

Oppure, per fare un esempio legato al nostro paese, non può non colpire il duplice messaggio lanciato da una figura storica per le MMA italiane come Alessio Sakara. Che su Colleferro ha detto le cose giuste corredate dall'immancabile riferimento alle "mele marce". Ma che, qualche tempo fa, in relazione all'aggressione fuori dall'ottagono di Khabib Nurmagomedov dopo l'incontro con Conor McGregor (climax di un'escalation alla quale ha contribuito lo stesso irlandese con un atto altrettanto criminale), ha ritenuto di muovere una sola critica. Cioè che ”Khabib ha sbagliato solo una cosa: doveva farlo lontano dalle telecamere, così avrebbe insegnato il rispetto a McGregor". Non proprio un pensiero coerente con i principi virtuosi che le MMA dovrebbero insegnare. Un retaggio di una mentalità inquietante e che autorizza in qualche modo il “dagli alle MMA” e il dipingere i lottatori come armi ambulanti tra l'indifesa popolazione civile, all'epoca condiviso sui social da alcuni appassionati che ora si stracciano le vesti per l'articolo della Repubblica o il servizio delle Iene di turno.

Che dire e pensare dunque delle MMA dopo i fatti di Colleferro? Nulla di diverso dal solito perchè la tragica scomparsa di Willy resta un increscioso omicidio, già terribile di per sè e probabilmente venato da altre aggravanti, tra cui sicuramente non figura il fatto che i suoi presunti colpevoli abbiano praticato questa disciplina per un certo periodo di tempo. O meglio, quasi nulla. Perché gli sforzi nel tenere lontani elementi pericolosi dalle palestre sono già notevoli ma probabilmente non sono ancora sufficienti e possono farsi sfuggire così qualche singolo caso isolato che rovina il mirabile lavoro di tanti. Perché un lavoro di modernizzazione e professionalizzazione delle MMA italiane, a estirpare i residui di una vetusta "mentalità guerriera" che può generare mostri, è più che benvenuto (e auspicato in maniera autocritica da importanti esponenti della scena).

Dopotutto le MMA non potranno mai diventare estremamente popolari per una sorta di selezione all'ingresso operata dai suoi aspetti più crudi e violenti, ma possono ritagliarsi uno spazio ai margini del mainstream come avvenuto negli Stati Uniti. A patto di conseguire un vero e proprio riconoscimento a livello istituzionale, aprirsi davvero a un pubblico più ampio a partire dall'ambito locale e "non crogiolarsi nella nicchia" dove si celano i molti aspetti positivi e i pochi, oscuri aspetti negativi, purtroppo altamente letali per la reputazione di questo sport e di chi ne fa parte.


  • Classe ’90, giornalista pubblicista e collaboratore per testate locali, scrive e vive di sport: popolari, minori, americani, di combattimento, di lotta e di governo. Ha scritto su Fox Sports fino alla sua chiusura, sviscera il mondo delle Mixed Martial Arts sul podcast di MMA Talks.

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