Il Calcio degli Dei
L’unica differenza con il divino da Villa Fiorito? Il semplice fatto che il nostro, di divino, lo conoscono solamente in Grecia. Questa è la storia di Vassilis Hatzipanagis.
Nasce in Unione Sovietica, precisamente a Tashkent (Uzbekistan), dove la popolazione greca era di circa 40.000 persone. Nasce nel 1954 perché esule, con i genitori, dalla Grecia post secondo conflitto mondiale dominata dai Colonnelli in quanto a rischio di carcerazione e tortura.
Il talento del ragazzo fu subito evidente attirando le attenzioni gli osservatori della Dinamo Tashkent, squadra satellite della Dinamo Mosca, che, vedendolo giostrare la pelota, gli propose di firmare un pre contratto.
Nonostante ciò, però, Vassilis ed i genitori optarono per il Pakhtakor, perché, come disse il padre, la Dinamo era la squadra della polizia e, di contro, il Pakhtkor era definita la “squadra del popolo”.
Saladiov, mentore calcistico di Vassilis e allenatore della prima squadra, lo fece debuttare all’età di 17 anni contro lo Shakhtar Donetsk. Nelle tre stagioni successive Hatzipanagis divenne perno fisso della prima squadra. Negli anni 74 e 75 venne nominato secondo giocatore più forte del campionato dopo Blokhin ed arrivò sino alla nazionale. Ma non quella greca, ma quella dell’URSS.
La prima apparizione con la gloriosa nazionale sovietica fu durante un torneo in Polonia, organizzato per celebrare l’anniversario della liberazione dai nazisti. L’URSS vinse il trofeo e Hatzipanagis giocò al fianco di Blokhin, fenomeno della Dinamo Kiev.
Era un centrocampista basso ma robusto e proprio tale sua corporatura divenne fondamentale in funzione del suo stile di gioco: velocissimo funambolo mancino, votato all’attacco, driblatore folle con un tocco vellutato ed un tiro che, seppur non potente, era sempre carico di effetto. Last but not least un ultimo passaggio chirurgico: era in grado di farti passare la palla tra le orecchie.
Sempre in quell’anno di grazia di Vassilis, in Grecia cade il regime dei colonnelli. Ciò comportò il rientro in patria di moltissimi esuli, tra cui anche lo stesso Hatzipanagis con la sua famiglia.
Nonostante l’apparente scelta ponderata per l’epoca, in parecchie interviste, anche recenti, Vassilis ha dichiarato che tornare nella penisola ellenica fu un errore, ma non politicamente o emotivamente ma, bensì, calcisticamente perchè il livello del campionato locale era di per certo inferiore a quello sovietico. Appare facile capire che, quindi, il suo ritorno nel paese natale non fu dei più facili. In URSS il futbolista professionista non era considerato alla stregua di un lavoratore vero e proprio. Quasi tutti i calciatori, infatti, avevano altri impieghi.
Hatzipanagis non era legato al Pakhatator da un contratto come lo intendiamo oggi. Difatti l’Olympiakos provò ad acquisire le sue prestazioni sportive ma la trattativa non andò mai in porto perchè i giocatori sovietici non erano di “proprietà” e, quindi, non potevano essere venduti.
Unico modo per poter superare questo scoglio era la rinuncia alla sua cittadinanza sovietica. Ma anche questa opzione presentava ostacoli. Si pensi che all’epoca della migrazione della famiglia di Vassilis non tutti i familiari partirono: un nonno, difatti, rimase a Salonicco. Ciò comportò come conseguenza che se Hatzipanagis voleva tornare a giocare in Grecia doveva stringere un accordo con una squadra di Salonicco. Cosa che avvenne quando lo stesso compì 20 anni. Tuttavia, nel diritto sportivo greco c’era quello che viene definito dai giuristi un horror vacui: l’Ikralis poteva rinnovare unilateralmente il contratto ogni anno per 10 anni.
L’Etoile Rouge di Parigi del ‘68 era culturalmente distante anni luce e le lotte di Socrates erano ancora embrionali. Ciò imbrigliò Vassilis in un limbo dantesco. L’Iraklis, quindi, venne portato in tribunale con la speranza di poter “uscir a rimirar le stelle”. Nel 1977, con una sentenza discutibile, il tribunale stabilì che il calciatore-lavoratore non poteva essere trattenuto per oltre cinque anni. L’Iraklis, però, vinse l’appello.
Nonostante la sconfitta personale, il caso Hatzipanagis spinse l’Associazione greca dei calciatori professionisti, fondata nel 1979, ad interessarsi concretamente al caso e riuscì, solo a metà degli anni ’80, a modificare quella legge.
Al di là delle bagarre legali, Vassilis continuò a giocare ma, nel 1977, un problema al ginocchio lo costrinse a curarsi. Durante la riabilitazione si allenò insieme a Pat Jennings, Graeme Rix, Liam Brady, Malcolm MacDonald e Alan Hudson, allora stelle dei Gunners (Arsenal).
Viste le sue origini, gli venne dato il soprannome di Aristotele. Nei ben 15 anni all’Iraklis Vassilis trascinò il Γηραιός alla vittoria della Kypello Elladas e della Coppa dei Balcani (abbandonata nel 1994).
Dopo questo periodo di successi, l’Iraklis retrocedette e Vassilis espresse la sua volontà di non voler giocare in B. Come in ogni aspetto della sua vita, dovette lottare contro la società sino a migrare in Germania dove si allenò per un anno e mezzo con lo Stoccarda, senza però mai poter esordire nella Bundesliga.
Questa sua presunta libertà aveva attirato l’attenzione di squadre molto importanti come Lazio, Arsenal, Porto ma la squadradi Salonicco non voleva privarsene, arrivando a rifiutare l’offerta effettuata dal presidente del Panathinaikos di 90 milioni di dracme.
Per via della suo essere stato una trottola tra URSS e Grecia venne il Nureyev del pallone così come il Maradona Greco. A giudicare dai molti video reperibili in rete, Vassilis sembrava divertirsi molto in campo nonostante fosse confinato vita natural durante a Salonicco in una squadra del tutto anonima che rese la sua carriera altrettanto invisibile ai radar del grande palcoscenico futbolistico mondiale.
“Mi dispiace di non aver potuto indossare la maglia nazionale greca più di una volta. E mi dispiace di non aver avuto una carriera all'estero. Mi sarebbe piaciuto giocare in un campionato migliore, godermi il calcio anche a quel livello. Se potessi riportare indietro l'orologio, farei le cose in modo diverso” (V. Hatzipanagis).
Lo stesso dispiacere credo debba averlo chiunque abbia visto negato il diritto di ammirare un talento di tale lucidità e di tale classe e ciò per la stortura di quello che era lo status dei calciatori negli anni ‘70, evolutosi solamente nel decennio successivo grazie alle lotte pubbliche della Democracia Corinthiana.
“Non è vero che fin dal principio gli dèi hanno svelato tutto ai mortali, ma gli uomini stessi, cercando, col tempo trovano ciò che è meglio” (Senofane).
Ebbene, solo col trascorrere inevitabile del tempo abbiamo potuto scoprire questa meravigliosa storia, come fu, in altro campo per Sixto Rodriguez, e finalmente narrarla e portarla alla luce del grande pubblico, meritevole delle grandi giocate di Vassilis.
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