
- di Carlo Iannaccone
Calci di rigore (pt. 1): altro che lotteria, vince chi si allena
Per tanti, troppi anni, gli addetti ai lavori di tutto il mondo hanno paragonato i calci di rigore alle lotterie ed ai giochi a premi. La convinzione che i calciatori non dovessero allenarsi per migliorare dal dischetto è stata talmente forte che, in qualche caso, per giustificare errori e sconfitte, si è preferito addirittura tirare in ballo incantesimi e sortilegi. Recentemente, però, il vento sta mutando ed una "sportellata" in più alle vecchie cattive abitudini contribuirà, forse, ad accelerare il cambiamento.
Gli "elefanti" e la maledizione degli stregoni di Akradio
Corre l'anno 1992: mai vittoriosi prima di allora in Coppa d'Africa, "les elephants", i giocatori della nazionale di calcio ivoriana, superano l'Algeria e la Repubblica Democratica del Congo nella fase a gironi dell'edizione senegalese della manifestazione, poi sconfiggono lo Zambia ed il Camerun nella fase a eliminazione diretta, aggiudicandosi, così, la possibilità di contendere il trofeo al Ghana.
Orfane di Abedì Pelé, squalificato, nel match del 26 gennaio le "black stars" ghanesi di Yeboah non riescono a sbloccare l'incontro. Tuttavia, neanche gli arancio-verdi vanno a bersaglio e, di conseguenza, la partita si conclude ai calci di rigore.
La sequenza è drammatica ed interminabile. Pensate: tutti i ventidue giocatori a referto hanno calciato almeno una volta, quando Baffoe si ripresenta sul dischetto.
Bravura, fortuna o magia?
Dopo la partita, tre stregoni di Akradio, un piccolo villaggio poco distante dalla capitale Abidjan, si infuriano per non essere stati pagati dal governo per l'importante servizio reso: prima dell'inizio della manifestazione, su richiesta di alcuni funzionari governativi, hanno pregato alcune divinità affinché guidassero Gouamené e compagni verso la vittoria. Dunque, è il loro intervento che ha propiziato e garantito il successo degli "elefanti". Perciò, pieni di rabbia e decisi a vendicarsi, lanciano una terribile maledizione, in forza della quale, ammoniscono, la Costa d'Avorio non vincerà mai più la coppa.
Dovete sapere che per gli ivoriani la magia è roba seria. Molti individui fanno fatica a tracciare un confine netto tra ciò che è reale e ciò che è soprannaturale e diffuse, tra la popolazione, sono storie incredibili. Si racconta, per esempio, che i membri di una confraternita locale, i "dozo", siano invulnerabili alle armi e alle ferite che queste normalmente arrecano e che siano capaci di trasformarsi in animali per cacciare o fuggire da situazioni pericolose, se in possesso dei giusti amuleti e di un'adeguata formazione. C'è chi giura aver visto un "dozo" trasformarsi in uccello, volare in cielo per combattere un altro uccello e, infine, reincarnarsi uomo, con tanto di ferite e lacerazioni ricordo a documentare e testimoniare l'evento.
In foto, un manipolo di guerrieri "Dozo". ©Romina Facchi.
A noi europei il misticismo può sembrare assurdo, ma per un decennio qualche scettico avrebbe potuto ricredersi. Infatti, per un certo periodo la maledizione lanciata dai tre "marabù", le uniche figure mistiche, nell'immaginario collettivo ivoriano, in possesso del potere e delle conoscenze necessarie a lanciare incantesimi negativi, sembra trovare un effettivo riscontro nei risultati raccolti dalla nazionale arancio-verde.
Nella Coppa D'Africa 1994, gli "elefanti" si fermano in semifinale, sconfitti ai calci di rigore dalla Nigeria. In Sudafrica, nel 1996, e nell'edizione nigeriano-ghanese del 2000, non superano il primo turno, mentre nel 1998 la selezione si ferma ai quarti di finale (con l'Egitto sono nuovamente fatali i tiri dal dischetto).
Per porre fine a questo periodo deludente e scrollarsi di dosso la negatività, il governo decide, allora, di rimediare al torto fatto agli stregoni. Ad Akradio si tiene una festa e dei soldi vengono donati agli abitanti del villaggio: il precedente affronto è riparato, l'incantesimo negativo viene spezzato.
Eppure, i risultati continuano ad essere deludenti.
Nel 2004, la squadra non accede nemmeno alla fase finale della manifestazione, mentre dal 2006 al 2013, nonostante parta spesso da favorita, potendo contare su campioni internazionali del calibro di Drogba, Zokora, Yaya e Kolo Touré, Kalou e Gervinho, raccoglie solo cocenti delusioni: perde due volte la finale, per di più ancora ai calci di rigore.
Insomma, la Costa d'Avorio deve aspettare il 2015 per tornare ad alzare il trofeo, nuovamente ai danni del Ghana, in una finale che ha il sapore di "deja-vu". Eppure, il maledetto incantesimo non era stato spezzato dai "marabù" ben 13 anni prima?
Finale di Coppa d'Africa 2015: il portiere del Ghana, Razak Braimah, non riesce a neutralizzare il decisivo rigore del collega Boubacar Barry, estremo difensore della Costa d'Avorio. ©AP.
Calci di rigore, altro che lotterie e giochi a premi: non ascoltate Cruyff, seguite Gyuri Vergouw
Gouamené, dal canto suo, durante quell'intera interminabile serie di calci di rigore si è sempre detto sicuro di non essere stato aiutato dagli spiriti invocati dagli stregoni: <non ci ho mai creduto. Sono un cristiano. Ho avuto fiducia in Dio, tanto che ero solito portare in campo con me la Bibbia e lasciarla dietro la rete> - dichiara a Ian Hawkey, autore del libro "Feet of the chameleon: the story of african football".
Come dargli torto... In realtà (e la storia della nazionale ivoriana lo prova), magia, incantesimi, amuleti e riti scaramantici c'entrano poco con la percentuale di conversione di un calcio di rigore.
Non è neanche (solo) questione di fortuna. Nossignore, il tiro dagli 11 metri è un gesto tecnico, la cui trasformazione dipende, essenzialmente, dal comportamento di tre diversi protagonisti: il battitore, l'allenatore che lo designa ed il portiere.
Sono questi tre che possono, curando anche il minimo dettaglio, alterare le probabilità che il calcio di rigore venga tramutato o meno in gol, relegando il caso ad un ruolo secondario, seppur non marginale.
Paragonare penalties e shoot-out con lotterie e giochi a premi è pericoloso ed azzardato perché deresponsabilizza troppo il calciatore, con buona pace dell'anima di Cruyff, la leggenda del calcio che convintamente dichiarava: <la pressione, l'eccitazione, l'emozione e la fatica fanno la differenza. Onestamente non ci si può preparare. Provare i calci di rigore in allenamento è inutile. Segnare rigori è un'abilità a sé stante rispetto al gioco del calcio>.
Una posizione, purtroppo, condivisa anche da altri illustri sportivi olandesi, tra i quali Willem Van Hanegem (<spero che la gente non ci chieda di iniziare ad allenarci per i calci di rigore. È una caz****. Semplicemente, non sono allenabili>), Guus Hiddink (<un rigore è sempre una lotteria>) e Dennis Bergkamp (<i rigori non sono mai nelle tue mani. Non può mai essere simulata precedentemente la pressione. Ci si può allenare e allenare, ma alla fine un vero shootout è sempre diverso. C'è sempre un elemento riconducibile al caso e la gente non può criticare il calciatore dicendogli che ha calciato male e che avrebbe dovuto far meglio. Con tutto il dovuto rispetto, non siete mai stati in una situazione del genere prima d'ora e, nonostante tutto, giudicate qualcuno che invece vi è stato?>).
Calciatori ed allenatori olandesi, tra l'altro, non sono gli unici a fare queste considerazioni. Molti loro colleghi inglesi fanno, o hanno fatto loro eco.
L'ex manager della nazionale Glenn Hoddle ed il centravanti Alan Shearer, per esempio. Quest'ultimo, che ironicamente a battere i calci di rigore si allenava davvero, in passato ha affermato: <la gente continua a dire "fai pratica, fai pratica, fai pratica", ma non puoi mai riprodurre la situazione in cui ti troverai. Neanche al mio peggior nemico augurerei di essere sottoposto alla pressione che comportano. La camminata verso il dischetto sembra un viaggio di 40 miglia, e a renderti nervoso non è tanto il fatto che ci siano più di 80000 persone sugli spalti o 30 milioni alla tv a guardarti, sono i 10 compagni di squadra dietro di te. La pressione di segnare per loro è maggiore di ogni altra>.
Inghilterra-Olanda, fase a gironi Euro 96: Alan Shearer, pochi istanti prima di convertire il rigore del vantaggio inglese. L'Olanda verrà poi sconfitta 4 a 1. ©Bob Thomas/Getty images.
Inglesi ed olandesi, dunque, nella storia due dei popoli più frequentemente vittime del tiro dagli 11 metri, uniti anche (e certamente non casualmente) nella convinzione che i calci di rigore non siano allenabili e che sia il destino, il fato, a deciderne l'esito.
Noi, ricordando le migliaia di spettatori radunate, nel 1976, dalla nazionale della Repubblica Ceca per ricreare in allenamento il trambusto e la pressione tipica delle partite ufficiali, sposiamo piuttosto la visione dell'opinionista Gyuri Vergouw.
Gyuri, stufo di assistere impotente alle continue uscite di scena degli "oranje" a causa degli errori ai calci di rigore, poco prima della fase finale degli Europei 2000 aveva dato alle stampe "De Strafschop" ("The penalty"), un libro concepito per i calciatori, basato su una grande quantità di dati raccolti nell'arco di una ventina d'anni e incentrato sulla convinzione che i tiri dagli 11 metri possono e devono essere allenati, affinché vengano più spesso convertiti positivamente.
Gyuri aveva previsto tutto. Ospite al talk show televisivo "Villa Barend and Van Dorp" aveva invitato i telespettatori ad indicare, all'interno del suo sito web, i giocatori della nazionale che avrebbero dovuto calciare i rigori in caso di shootout. Il popolo si era pronunciato: Frank De Boer e Patrick Kluivert erano stati investiti della responsabilità. Vergouw non era d'accordo: nel suo libro li aveva rispettivamente posti al primo ed al secondo posto nella speciale classifica dei cinque peggiori possibili rigoristi. Come è andata a finire? In quella splendida semifinale per noi sostenitori dei colori azzurri, De Boer sbagliò ben due rigori, Kluivert uno.
Italia-Olanda, Semifinali Euro 2000: Patrick Kluivert spiazza Francesco Toldo, ma calcia sul palo il rigore del possibile vantaggio olandese. ©Ben Radford/Allsport.
Il libro divenne leggendario. Vergouw, paradossalmente invece, divenne una delle persone più odiate dai tifosi d'Olanda, tanto che un calciatore degli "oranje", ospite in un programma radio, dopo essersi rifiutato di stringergli la mano gli confessò che, se avesse saputo prima che avrebbe dovuto condividere lo studio assieme a lui, non si sarebbe presentato.
Capite quanto (era ed) è forte, anche se il trend recentemente sta cambiando, l'influenza del credo di Cruyff?
Tra l'altro, il maggior interprete del "Totaalvoetbal" gode di una fama usurpata quando si tratta di calci di rigore. Da un lato, non è stato davvero l'inventore del penalty a due tocchi, dall'altro, l'essenza di Cruyff calciatore era tutta incentrata sul movimento negli spazi, sulla fantasia e sull'intuizione. Non possedeva, invece, un tiro potente, circostanza che lo aveva portato a calciare diversamente, inclinandolo alla ricerca dell'assist.
In foto, Rik Coppens, il centravanti inventore, nel 1957, del penalty a due tocchi. ©rtbf.be /Tous droits réservés.
<Johan non lo faceva - calciare i rigori ndr. - penso che forse avesse il terrore di sbagliarli>, queste sono le parole spese nei suoi confronti da Rob Rensenbrink, suo compagno di squadra in occasione del campionato mondiale 1978 e autore, in quella manifestazione, di un percorso immacolato dal dischetto (4 volte su 4 a bersaglio). Quello stesso Rob che, guarda un po', alla fine di ogni sessione di allenamento si prendeva il tempo di calciarne almeno 10, se non 20, talvolta indicando al portiere l'angolo in cui avrebbe indirizzato il pallone, talvolta cercando di farlo terminare tra il palo e dei paletti pre-posizionati a mezzo metro di distanza da esso.
<È come per i calci di punizione: più ne provi, meglio li calci. Dire che non li si può allenare è stupido. Basta farlo ogni giorno> - esatto, ed in questo viaggio alla scoperta del calcio di rigore, tra storie e aneddoti, ci poniamo un obiettivo particolarmente ambizioso: pubblicare un decalogo da seguire per essere infallibili dagli 11 metri.
(to be continued...)
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Nato a Treviso il 25/10/1992. Laureato in Giurisprudenza. Cresce nutrendosi di palla a spicchi, ma è il calcio a catturare le sue attenzioni. Nel 2013, fresco di licenza da agente FIFA, anticipa tutti, anche se stesso: si reca in Polonia, convinto di poter rivoluzionare il calciomercato italiano. La rivoluzione non si attua, ma l'intuizione si rivela comunque felice. Oggi, svestiti i panni del procuratore sportivo, indossa quelli del match analyst e scrive di tattica in qualità di iscritto all'associazione italiana degli analisti di performance calcistica. Potete trovarlo a Rimini o, di tanto in tanto, nelle peggiori pierogarnie polacche.
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