I Presocratici: storie di diritti e di Fùtbol
“En el despótico señorío de la pelota, los jugadores son los últimos monos del circo. No tienen derecho a decir ni pío. Pero no siempre ha sido así.” (Nel dispotico comando della palla, i giocatori sono le ultime scimmie del circo. Non hanno diritto a dire nemmeno “pio”. Però non è stato sempre così – T.d.a.) E. Galeano
(“Se ti devo dare un consiglio tecnico, eccolo qui: palle.
Un centravanti senza le palle è come una frittata di patate senza le uova”
Vazquez Montalbàn)
Quando si pensa alla democratizzazione del Gioco ed alla possibilità che oggi i calciatori possano essere considerati non solo “monos” ma, bensì, lavoratori dotati di pieni diritti il pensiero, come giusto, va immediatamente a quel meraviglioso esperimento sociale e politico che fu la Democrazia Corinthiana, guidata da "Magrao" Socrates.
Essa, come noto, portò non solo la coscienza di classe all’interno della categoria ma, grazie al grandissimo seguito che il Futbòl ha in Brasile, aiutò concretamente la popolazione a scardinare la dittatura militare.
La Storia, però, ci racconta di altri personaggi, non certo minori, che, pur non avendo la forza d'urto che ebbe l'ambiente corinthiano, sono riusciti a tracciare un solco nella lotta politica futbolistica permettendo a Magrao e soci di segnare il passo nella storia della conquista dei diritti dei calciatori.
L’Étoile Rouge
Prima e, forse, più importante battaglia fu quella che si svolse in Francia a partire dal 1961.
Quell'anno il camerunense Eugène N’Jo Léa (Saint-Etienne, Lione e Racing Paris) e il francese Just Fontaine (attualmente il giocatore ad aver segnato più gol nel corso di un mondiale – 13 gol in 6 partite) costituirono la Union Nationale des Footballeurs Professionnels (UNFP).
Ad essi si unì, sin da subito, il francese Raymond Kopa, uno dei primi giocatori al mondo a commercializzare il proprio nome, molto prima di quello che viene considerato il pioniere in questo senso: Johann Cruijff.
Condussero un’aspra battaglia affinché venissero introdotti i contratti a tempo determinato nel calcio poiché, all’epoca, l’unica forma era il tempo indeterminato.
Questa rivendicazione, traslata nell’attuale scenario di precarietà lavorativa dovuta, tra le tante motivazioni, alla miriade di forme contrattuali, potrebbe parere ai limiti dell'assurdo ma, se ci si cala in quel momento storico e si riconduce nell'ambito calcistico ci si rende conto che i calciatori, con quella tipologia di contratto, non avevano alcun voce in capitolo in caso di cessione del proprio cartellino.
Si pensi che Thadee Cirkowski, un c.d. “top player” dell’epoca nel Racing de París guadagnava 400 Franchi e Raoul Schollhammer, giocatore che ad oggi potremmo definire “titolare” in una ipotetica scala di valori della rosa, guadagnava 170 Franchi.
L’allora salario minimo, che la Francia fu tra le prime ad istituire in Europa, era di 340 Franchi.
Tutti questi fattori portarono, nel 1963, Kopa a scrivere sulle colonne di France Dimanche: “i calciatori sono degli schiavi […] oggi, in pieno XX secolo, il calciatore professionistico è il solo uomo che può essere venduto e comprato senza che si domandi il suo parere”.
Questa dichiarazione gli costò 6 mesi di squalifica da parte della Federazione.
Anche Franck Merelle, giocatore di spicco del Red Star FC, si unì alla lotta (squadra antifascista e popolare di Parigi https://www.panenka.org/pasaportes/el-equipo-de-paris/) e fu tra i primi firmatari di un contratto “breve”. Affermò: “Era come un regime totalitario. Praticamente, non si poteva decidere nulla. E se non s’era d’accordo con qualcosa, venivi considerato un obiettore di coscienza e automaticamente ti pagavano il salario minimo”.
Col montare del conflitto sociale anche la lotta dei calciatori si fece sempre più aspra, sino a sfociare nell’occupazione, durata 5 giorni, della sede della Federazione Calcio il 22 Maggio 1968.
Per le strade di Parigi circolavano volantini del “Comitato d’Azione dei Calciatori” nel quale era possibile leggere che scopo dell'occupazione era “restituire ai 600.000 giocatori francesi ed ai loro amici ciò che gli spetta: il Calcio”. Una battaglia nobile quanto quelle che si conducevano in tutta la Francia ed in tutta Europa.
Continuava il testo: “I gerarchi della Federazione hanno espropriato il Gioco per servirsene per il loro interesse egoistico e ne hanno intaccato la sua essenza popolare”. Lo scritto prosegue chiedendo che venisse data dignità umana ai calciatori, un'assicurazione sanitaria in caso di lesioni gravi che potessero compromettere la carriera ed un referendum aperto a tutti gli iscritti alla Federazione.
Il testo si concludeva così: “Insieme faremo in modo che il Calcio ritorni ad essere ciò che è sempre stato e che deve essere: lo sport dell’allegria, il gioco che in questi giorni tutti i lavoratori hanno iniziato a costruire. Tutti in Avenue d’Ièna n. 60”.
Durante quei cinque giorni, la Federazione si trasformò “in un’agorà democratica che accoglieva accesi dibattiti sullo sport sino all’alba e proiezioni di incontri internazionali”. Ciò racconta Mickaël Correia, autore di “Une histoire populaire du football”. Per la prima volta, prosegue Correia, “giocatori non professionisti e le squadre delle fabbriche occupate potevano sentirsi rappresentati dalla Federazione”.
O’Galo
José Reinaldo de Lima, detto Reinaldo o O’Galo (per via della sua folta capigliatura) è stato un prolifico attaccante dell’Atletico Mineiro.
475 partite 255 gol.
Ciò che, però, lo ha sempre contraddistinto è che ogni qualvolta deponeva la palla in rete alzava il pugno destro come inequivocabile segno di protesta e di opposizione all’allora regime che governava il Brasile politicamente ed anche, soprattutto, calcisticamente.
Racconta lo stesso Reinaldo: “era un gesto che iniziai a fare tra il ‘75 e il ‘76, un gesto di protesta, socialista come quello delle Pantere Nere. Lo facevo perché si diceva che i calciatori fossero alieni [rispetto alla realtà di quegli anni – n.d.a.] e che il Calcio fosse l’oppio del popolo. Io ero giocatore e come qualunque altro brasiliano ero preoccupato della situazione politica e sociale. Era un epoca di dittatura, il paese cominciava a reclamare la libertà. Eravamo un popolo oppresso, molto povero. Auspicavamo una nuova era, un mondo con più libertà, più opportunità, più uguaglianza. Migliaia di brasiliani parteciparono. Nel Calcio eravamo tanti io, Afonsinho, e poi Socrates. Tutto il Brasile doveva partecipare, era importante che la gente avesse piena libertà”.
Questa lotta, ovviamente, ebbe ripercussioni importanti sulla sua carriera, difatti avrebbe dovuto far parte della Selecao per il mondiale del ‘78 in Argentina ma, a causa di un'intervista rilasciata qualche tempo prima, nella quale auspicava il ritorno della democrazia, venne esautorato.
Nel 2012 alla rivista “Placar” O’Galo affermò: “il corpo fascista del paese cominciò a minacciarmi. Non solo moralmente, ma molestandomi in tutti i modi. Dicevano che ero “cachaceiro, maconheiro, viado”. Si inventarono che ero gay perché ero amico del giornalista radiofonico Tutti Maravilha. Un linciaggio morale. Io non avevo un partito, un sindacato, nulla. Fui massacrato e lasciato solo”.
Nonostante, però, le forti pressioni che riceveva, le minacce, le intimidazioni si batte strenuamente per creare una coscienza di classe condivisa tra i giocatori brasiliani che, a dispetto di quelli francesi, provenivano, per la maggior parte, dalle favelas e non possedevano né bagaglio culturale né una coscienza politica, entrambe negate dal Regime militare.
Era un uomo solo contro il regime visto che la Democrazia Corinthiana non era ancora nemmeno un’idea e il Maggio ‘68 francese solo un'eco lontano.
La staffetta del pugno chiuso tra O’Galo e Socrates è la più bella storia di lotta per i diritti e la democrazia che la storia Futbòl ci regala.
Afonsinho
L'uomo di cui andrò a parlare adesso è un personaggio che quasi trascende nella leggenda per via della sua vita calcistica e non: Afonso Celso Garcia Reis centrocampista barbudo di Vasco da Gama, Santos, Flamengo, America e Fluminense, ma non solo.
Fu, come anche ricordato da Reinaldo, pioniere dei diritti dei calciatori ma anche mancato guerrigliero nonché studente di medicina.
Compagno di squadra di Gerson e Jairzinho, considerato uno dei più forti centrocampisti brasiliani dell’epoca, venne allontanato, seppur temporaneamente, dal Botafogo per via del suo attivismo politico, delle sue lotte per i diritti e per il suo look che era, per il Regime, del tutto inopportuno.
Durante questo esilio forzato il Regime impose al Botafogo che allo stesso Afonsihno venisse negato l’abbigliamento ufficiale per potersi allenare.
Nel periodo di allontanamento giocò nell’Olaria, squadra dell'allora Serie B Brasiliana, che riuscì a trascinare sino al terzo posto della classifica a -4 punti dal Flamengo.
Una volta reintegrato, intenterà causa contro il Botafogo (una delle prime azioni legali nella storia del Gioco per il riconoscimento dei diritti) che vincerà ottenendo il diritto ad essere svincolato.
Non c'è bisogno di dire che fu una sentenza storica e che ebbe un fortissimo impatto.
La rivendicazione portata avanti da Afonsinho era la medesima de L’Etoile Rouge: dare finalmente dignità non solo alla classe lavoratrice dei calciatori ma, attraverso essa, ad un intero popolo.
Il suo impatto nella cultura brasiliana è stato talmente forte che Gilberto Gil gli dedicò la canzone "Meio de Campo" ed il regista Oswaldo Caldeira lo citò nel film "Passe Livre".
Eduardo Gonçalves de Andrade, detto Tostão (271 reti in 449 partite di club e 32 reti in 54 partite con la Selecao ed anch’egli medico), affermò che fu grazie a personaggi come Afonsinho che i calciatori cominciarono a prendere coscienza di essere dei veri e propri schiavi nelle mani di società senza scrupoli.
Edson Arantes do Nascimento, semplicemente conosciuto come Pelè od O’Rei, disse: “Conosco soltanto un uomo libero nel mondo del calcio”. Si riferiva ad Afonsinho.
Parafrasando quanto ebbe a dire J. Kfouri, noto giornalista brasiliano, sull'esperienza della Democrazia Corinthiana queste non sono state e non saranno mai solo storie di calcio poiché il calcio è appena un dettaglio. Ed in effetti si tratta di vite fantastiche spese a reclamare giustizia, diritti e democrazia quando nulla di tutto ciò era nemmeno immaginabile.
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