Logo sportellate
Copertina Liverani Genoa
, 14 Dicembre 2019

Liverani, giochi Preziosi


Quello del tecnico romano è stato un viaggio molto lungo.

Quella della 15° giornata tra Lecce e Genoa non è stata una partita qualunque per Fabio Liverani.
C’è stato un tempo, infatti, in cui l’attuale tecnico del Lecce era un pupillo del presidente genoano Enrico Preziosi che lo aveva portato ad allenare gli allievi regionali rossoblu fino addirittura alla prima squadra.

Alla quale oggi, prima con Andreazzoli poi con Thiago Motta, sta cercando di dare un’identità più spettacolare, innovativa, europea, forse rimpiangendo un mister con queste caratteristiche che, paradossalmente, aveva in casa.

Svizzera: un apprendistato mancato

È l’estate del 2011. Liverani ha appeso le scarpe al chiodo da qualche settimana dopo aver chiuso la carriera a Palermo. Già da un paio d’anni, però, nella testa di Fabio c’è limpida l’immagine del suo futuro. Sia alla Lazio sia al Palermo, infatti, è l’allenatore in campo di Delio Rossi che gli affida tutte le consegne tattiche chiedendogli di far girare la squadra.

Dopo il mancato rinnovo con Zamparini, Liverani resta svincolato e riceve una telefonata da Enrico Preziosi, che già lo aveva cercato nella sciagurata stagione di Serie B 2004/05 (quella della famosa valigetta di Venezia, con conseguente retrocessione in C1 del Genoa nonostante il primo posto finale) dopo le insistenze del suo mentore, Serse Cosmi. Mancava solo la firma, ma non se ne fece nulla: Mimmo Caso lo riteneva un pilastro della sua Lazio. Ma il matrimonio con il Grifone era solo rimandato.

Preziosi, nel 2011 comproprietario del Lugano, gli chiede se se la sente di dare una mano agli svizzeri a tornare in Serie A, dapprima in campo e poi dalla panchina in attesa del patentino. Per Liverani è un invito a nozze che accetta senza pensarci su: a Lugano si parla italiano, ci sono vecchie conoscenze del nostro campionato come Bega e Bonanni ed è allenato da Checco Moriero.

I muscoli di Fabio, però, non rispondono più e la maglia bianconera degli elvetici non la indosserà mai. Anzi, a novembre la squadra ha già bisogno di rinforzi, Liverani occupa inutilmente un posto da straniero e gli viene chiesto di farsi da parte. Preziosi, però, non si dimentica di lui e lo accoglie subito al Genoa per allenare gli Allievi Regionali B.

“Il nome di cui è… Fabio Liverani”

Siamo nel novembre del 2011. Il Genoa di Malesani ha iniziato bene il campionato con un grande Palacio, ma fa appena in tempo a mangiare il panettone prima di essere sostituito da Pasquale Marino. Il Grifone arranca e sprofonda in zona retrocessione, giocandosi la salvezza guarda caso con il Lecce di Serse Cosmi, che nel frattempo ha messo in opera una rimonta strepitosa subentrando a Di Francesco.

A quattro giornate dalla fine Preziosi cambia ancora: fuori Marino, dentro De Canio. È la mossa della disperazione che però porta in Liguria i sei punti indispensabili per salvarsi proprio ai danni del Lecce, che perderà tra gli applausi e le lacrime al Bentegodi contro il Chievo, senza sapere che la stagione dopo l’avrebbe giocata in Lega Pro e che la Serie A l’avrebbe rivista solo dopo otto anni di sofferenze. Ma questa, è un’altra storia.

Liverani nel frattempo fa bene e viene promosso dagli Allievi Regionali B agli Allievi Nazionali, mentre il Genoa vive l’ennesima stagione tribolata tra De Canio, Del Neri e Ballardini, ottenendo una risicata salvezza con tre 0-0 nelle ultime tre giornate. E difatti Preziosi non è contento: per il suo Genoa vuole bel calcio, vuole qualcuno che sappia lanciare e valorizzare i giovani, magari poi da rivendere a peso d’oro. E in casa ha proprio l’uomo che fa al caso suo e così, agli inizi di giugno 2013 quasi citando una scena di un film cult con Lino Banfi, lo “incorona” allenatore della prima squadra durante una diretta tv su un’emittente privata.

Sei giornate, un Derby, due moduli

Il mercato estivo concluso dal ds Delli Carri sa di rivoluzione: partono tra gli altri Destro, Acerbi, Bovo, Moretti, Granqvist, Borriello e un certo Panagiotis Tachtsidis, preso dalla Roma ma girato subito al Catania in cambio di Lodi. Con lui, arriveranno i vari Marchese, Gilardino, Gamberini, Perin, Vrasljko, Matuzalem e la meteora argentina Centurion. L’inizio non è esaltante per Liverani: eliminato in Coppa Italia dallo Spezia ai rigori, il 25 agosto del 2013 si presenta a San Siro per la sua prima gara da allenatore di Serie A contro l’Inter di Walter Mazzarri e dell’esordiente Icardi.
Liverani Genoa Preziosi

Il suo 4-3-2-1 non si affaccia mai dalle parti di Handanovic ma regge fino al 75°, pur mostrando un po’ di timidezza nel palleggio e nella gestione della palla. Il debutto al Ferraris non va meglio: 2-5 con la Fiorentina (pasticcio di Perin e doppiette dei redivivi Giuseppe Rossi e Mario Gomez). Il 15 settembre, però, è già Derby con la Sampdoria di uno dei suoi maestri, Delio Rossi. Per l’occasione, Liverani ridisegna la squadra passando a un 3-5-2 con Antonini e Vrsaljko sulle fasce e Calaiò a dar man forte a Gilardino: saranno le mosse vincenti.

Antonini la mette dentro già al 9°, mentre al 50° Calaiò sfrutta proprio un cross di Vrsaljko, prima dell’apoteosi su punizione di Lodi al 66°, dopo la quale Liverani non si trattiene più e corre ad esultare con i suoi sotto la curva. Uno sfogo liberatorio dopo un inizio in salita per quella che poteva e doveva essere la partita della svolta, sia da un punto di vista tattico che psicologico. Così non è stato.

L’irrefrenabile gioia di Liverani

Alla successiva in casa il 3-5-2 di Liverani impatta 0-0 col Livorno di Nicola, mentre sarà sconfitta 1-0 al Friuli nel turno infrasettimanale contro l’Udinese di Guidolin e Di Natale (sfortunata deviazione di testa di Calaiò che beffa Perin). Un Genoa che non convince, spesso rintanato nella propria metà campo e incapace di servire a dovere Gilardino, dopo soli tre giorni se la dovrà vedere col Napoli di Benitez. L’inizio è un incubo: Kucka, De Maio e Gamberini pasticciano consentendo a Pandev di siglare una doppietta in meno di mezzora.

Liverani non ci sta e corre ai ripari togliendo un difensore (Gamberini) per un attaccante (Stoian) passando al 4-3-3. La scelta dà i suoi frutti e il Grifone attacca costringendo il Napoli a contenere. Il risultato, però, non cambierà più e quella sarà l’ultima panchina in A per Liverani, sostituito in settimana da un vecchio amore di Preziosi, Gasperini, in rossoblu già dal 2006 al 2010. È il 29 settembre del 2013, sono passate solo 6 partite e a Liverani non resta che ringraziare per l’opportunità ricevuta e tornare a studiare da allenatore professionista, visto che sin lì aveva dovuto fargli da “tutor” il secondo Murgita, già patentatosi a Coverciano.

Il Leyton Orient

Al SuperCorso per tecnici Fabio Liverani si diplomerà un anno dopo con una tesi intitolata “Approccio e gestione psicologica di una squadra di calcio” e a distanza di pochi mesi, nel dicembre 2014, riceve un regalo di Natale anticipato. Il Catania prova timidamente a contattarlo ma è Mauro Milanese, suo compagno ai tempi del Perugia e direttore sportivo del Leyton Orient, a convincerlo a subentrare proprio a lui, cimentatosi senza successo in panchina per cercare di salvare la squadra dalla retrocessione in League Two, la quarta serie inglese.

Liverani si mette così alla prova utilizzando un classico 4-4-2 al Leyton Orient, la seconda squadra più antica del Regno Unito fondata nel 1881, che nella stagione precedente aveva perso ai rigori la finale playoff per salire in Championship.

Così, il neo presidente italiano Francesco Becchetti subentrato a settembre decide di affidarsi ai consigli del procuratore Alessandro Moggi, confermando tutti i giocatori e cercandone degli altri attraverso un reality show in stile “Campioni: Il Sogno” condotto da Simona Ventura sul suo canale albanese Agon TV. Il programma, iniziato proprio in concomitanza con l’arrivo a Londra di Liverani, è andato in onda con una striscia quotidiana che raccontava gli allenamenti e la vita privata dei giocatori, che poi si sfidavano in prima serata con gare ad eliminazioni.

Un esperimento fallimentare, che ha minato dalle fondamenta la tranquillità di una squadra già scossa dal cambio di cinque allenatori in 4 mesi e che con Liverani ha collezionato 6 vittorie, 8 pareggi e 13 sconfitte, non riuscendo ad evitare la retrocessione. Liverani torna così a casa e altrettanto farà il presidente Becchetti l’anno successivo, dopo aver rischiato di far fallire la squadra e averla fatta retrocedere di un’altra categoria.

La casa di Liverani, dunque, è Roma e in particolare il Quarticciolo dove si trova la sede della Nuova Tor Tre Teste, progetto di squadra-scuola calcio di cui Liverani è socio co-proprietario dal 2014. Qui Fabio vive sul campo a stretto contatto con i ragazzi (a proposito: attenzione a Felici, in prestito al Palermo dal Lecce), trasmettendo loro la propria esperienza in attesa di una chiamata. Che però non arriva. Passeranno tutto il 2015 e il 2016 senza che Fabio sieda su una panchina professionista.

A fine novembre 2016, in verità, il suo ex nemico-amico Zamparini provò a contattarlo per sostituire De Zerbi che a Palermo navigava in zona retrocessione, ricevendo però il netto rifiuto da parte di Liverani che, al contrario, si espresse con attestati di stima verso il collega ora al Sassuolo: “Per come è ora la situazione del Palermo io sarei la persona sbagliata e non accetterei. Non avrebbe senso, il giovane l’hanno già ed è De Zerbi”, dichiarò alla stampa.

L’impresa con la Ternana

Bisognerà arrivare a marzo 2017 per rivedere di nuovo Liverani in tuta da allenatore. A Terni, per la precisione, in Serie B. Un’altra squadra da salvare dalla retrocessione, un’altra situazione disperata per il giovane tecnico capitolino. Il presidente Longarini, infatti, aveva cambiato due allenatori già in estate (Panucci e Siviglia) prima di affidare la panchina a Benny Carbone e poi a Carmine Gautieri. Una confusione che aveva portato la Ternana ad essere ultimissima in classifica, a -9 punti dalla salvezza, praticamente quasi spacciata all’arrivo di Liverani: “I ragazzi erano veramente a terra, non avevano stimoli, non avevano speranze.

Sembravano aver chiuso il campionato. Io gli ho fatto capire che sarebbero stati due mesi e mezzo terribili pensandola così”. Neanche la stampa lo accoglie a braccia aperte, considerando anzi il suo arrivo come segno di resa della società: mancavano infatti 13 partite al termine e l’impresa sembrava impossibile. Eppure, la Ternana si mette a viaggiare con una media da promozione e, trascinata dai due uruguagi Falletti e Avenatti, conquista 26 punti (in precedenza ne aveva fatti 23 in 29 gare) e la salvezza diretta senza passare per i playout.

È qui che Liverani, facendo di necessità virtù, comincia ad affinare quello che diventerà il suo principale schema di gioco: il 4-3-1-2, con Di Noia, Petriccione o Coppola ai fianchi del regista Ledesma e Falletti dietro Avenatti, Pettinari, Monachello o Palombi. Capitano di quella Ternana era il difensore goleador Meccariello.
Liverani Ternana

Da allenatore perdente a salvatore della patria

Al termine dell’impresa la città di Terni è in delirio, chi aveva criticato Liverani si è dovuto ricredere e tutto l’ambiente in blocco chiede la conferma del mister, il quale, nelle interviste di rito, si dichiara ben lieto di rimanere alla guida delle Fere. Passano le settimane, Liverani rifiuta addirittura un’offerta dai rivali umbri del Perugia e non manca di farlo sapere ai media, anche perché la chiamata di Longarini non arriva. E non arriverà mai. La società umbra, infatti, affida la panchina a Pochesci, lasciando svincolato Liverani per la disperazione di tutta la piazza. Che ne ha ben donde: a fine stagione la Ternana retrocederà in Serie C.
Come Ventura: doppio salto in Salento

Fabio Liverani, dunque, trascorre l’estate del 2017 ancora una volta osservando il lavoro degli altri. A metà settembre, però, arriva una telefonata dal Salento. Il Lecce è ancora in Serie C, lì dove l’avevamo lasciato nel 2012, quando Liverani cominciava a muovere i primi passi da allenatore a Marassi. Il tecnico dei lupi Roberto Rizzo, idolo dei tifosi, ha deciso di farsi da parte per problemi personali alla terza giornata e la squadra è affidata a Primo Maragliulo.

Il direttore sportivo Meluso ha due nomi sul taccuino: quello di Domenico Toscano, esperto della categoria, e Fabio Liverani, emergente caduto nel dimenticatoio. Quando quest’ultimo si presenta in conferenza stampa con accanto il fido Manuel Coppola, che dopo Terni lo segue come vice allenatore, lo scetticismo regna sovrano: non ha abbastanza esperienza, si disse, e quel Lecce era reduce da sei stagioni horror in Serie C, con una serie incredibile di playoff persi e un ambiente in depressione patologica.

Una bella patata bollente

La rosa giallorossa gli consente di passare subito dal 4-3-3 al 4-3-1-2, portando Lepore a fare il terzino offensivo e consegnando le chiavi della squadra al regista Arrigoni e al trequartista Mancosu. Esordisce con un secco 1-3 a Catanzaro e da lì in poi il Lecce non perde più. O meglio, lo farà per la prima volta a febbraio e poi un’altra volta a marzo, senza destare particolari preoccupazioni di classifica. La cavalcata è servita e la promozione diretta diventa realtà con una giornata d’anticipo.

Tra i protagonisti anche Andrea Tabanelli, arrivato svincolato dal Padova dopo che Liverani lo aveva fortemente voluto nel mercato di riparazione invernale. Un acquisto avvolto dalle perplessità, visto che in pratica si trattava di un giocatore fermo da 4 anni per infortunio (solo 36 presenze dal gennaio 2014 al gennaio 2018). Perplessità che nemmeno gli 11 gettoni in giallorosso avevano contribuito a dissipare. Ma sarà l’unico, insieme a Mancosu e Bleve, ad essere poi riconfermato anche in Serie A.

Serie B: la sorpresa dopo la contestazione

Estate 2018. Il ds Meluso è al lavoro per costruire una squadra che possa mantenere la categoria che per 7 anni è stata inseguita disperatamente. A Lecce sono in molti a pensare che, come ai tempi della doppia promozione con Gianpiero Ventura, la squadra debba mantenere la propria spina dorsale con pochi innesti mirati.

Molti, ma non Liverani, che invece chiede a Meluso una mini rivoluzione, a partire da alcuni nomi chiave da lui espressamente richiesti: Calderoni, Meccariello, Petriccione, Palombi e Pettinari, ai quali Meluso aggiunge Lucioni (squalificato e poi assolto grazie al lavoro dell’avvocato e presidente del Lecce, Sticchi Damiani), Falco, Vigorito, Fiamozzi, Venuti, Scavone, La Mantia e Chiricò, quest’ultimo non particolarmente amato dai tifosi del Lecce, che non lo vorrebbero vedere vestire la maglia giallorossa.

Al debutto il Lecce conduce clamorosamente 0-3 sul campo del Benevento, appena sceso dalla A, ma si fa riprendere e pareggiare nello stesso momento in cui Liverani cambia modulo passando a un 3-5-2 più difensivo. Stesso copione in casa con la Salernitana: due volte in vantaggio, due volte ripreso chiudendo con la difesa a 3. Ma quella contro i granata verrà ricordata come la partita della svolta. Liverani, infatti, al 78° fa entrare Chiricò tra lo stupore del Via Del Mare, che dopo qualche minuto di choc comincia a contestare pesantemente sia lui sia Meluso, ritirando tutti i vessilli dalla Curva.

Sono giorni di tensione: il Lecce non è nuovo alla “rottura dei giocattoli”, la città è in subbuglio e si chiede perché inserire un elemento sgradito in un ingranaggio che parrebbe così ben oliato. E forse se l’è chiesto anche Liverani: che lo abbia mandato in campo appositamente alla prima in casa per portare all’attenzione e risolvere subito un problema che sarebbe potuto diventare annoso? Non lo sapremo mai.

Fatto sta che sin dalla partita successiva ad Ascoli, la società comunica che per la serenità di tutto l’ambiente Chiricò è da considerarsi fuori rosa. Il Lecce ad Ascoli perde, ma è un incidente di percorso: da lì in poi la squadra comincia a carburare e vengono fuori anche i limiti di una rosa costruita per la salvezza e che a gennaio usufruirà degli innesti di Majer e Tachtsidis, ovvero quantità e qualità in mezzo al campo. Alla fine sarà promozione, inaspettata quanto meritata, strappata alle grinfie di squadre meglio attrezzate ai nastri di partenza e che ha ridato gioia e vigore a una piazza umiliata dalla doppia retrocessione d’ufficio del 2012.

Nel frattempo, però, anche la Serie A si accorge di Liverani, specialmente le sue ex squadre. A Roma, Simone Inzaghi ha firmato l’ennesima stagione sorprendente con la Lazio, tanto da essere accostato alla Juventus per il dopo Allegri. A Firenze, invece, Pioli sa già di essere in dirittura d’arrivo ma, con sorpresa di tanti, ad aprile si dimette. Lecce trema, perché le voci dalla Toscana vorrebbero un traghettatore fino al termine del campionato per poi affidare la panchina viola a Fabio Liverani. La Fiorentina, però, rischia seriamente la retrocessione e al suo capezzale viene chiamato Montella, che si salverà con uno 0-0 “biscottato” all’ultima giornata e verrà riconfermato in riva all’Arno, con sommo sollievo di tutto il Salento.

Il bello (e il brutto) dei debuttanti

Ma è in Serie A che Liverani sta mettendo in mostra in mondovisione tutte le sue abilità. In controtendenza con quanto accaduto negli ultimi anni, il suo Lecce è una neopromossa che vuole giocare a calcio senza piazzare pullman davanti alla porta. Il tutto con una sfrontatezza tipica dei debuttanti, perché se è vero che il Lecce non è ormai nuovo ai palcoscenici della A (pur mancandoci da quasi un decennio), Liverani con i suoi meri 6 gettoni da allenatore in massima categoria guidava tutta una schiera di esordienti, da Lucioni a Calderoni, da Falco a Mancosu, fino a Meccariello e Petriccione, che la Serie A in carriera l’avevano solo sfiorata, pur non essendo più giovanissimi.

È questo forse il principale punto di forza e al tempo stesso limite del Lecce 2019/20: grande entusiasmo, abnegazione e fiducia totale nei concetti del mister, ma anche poca esperienza e con essa capacità di saper leggere i vari momenti delle partite, potendo contare su doti tecniche inferiori rispetto alla gran parte delle compagini concorrenti. Liverani se ne accorge subito vivendo un deja-vu alla prima giornata a San Siro, sempre contro l’Inter (stavolta allenata dal leccese “rinnegato” Conte), replicando la serata negativa che già ebbe col Genoa sei anni prima.

Come gioca il Lecce di Liverani?

Il 4-3-1-2 si conferma il modulo principe scelto da Liverani, che rispetto alle prime débacle con Inter e Verona ha aggiunto più spesso la possibilità di ripartire dal rilancio sfruttando la seconda palla. Solitamente, però, l’azione del Lecce riparte da dietro, con i due difensori centrali schierati ai vertici dell’area piccola pronti a innescare o i terzini o il regista arretrato Tachtsidis.

Il greco è croce e delizia per i giallorossi, perché il suo piede chirurgico e la sua prestanza fisica garantiscono qualità e sostanza, ma al contempo pecca in velocità di lettura ed esecuzione del gesto tecnico, dote che nei centrocampi di Serie A è sempre più indispensabile. Da questa immaginaria linea di tre giocatori davanti ai centrali difensivi parte l’appoggio verso una delle due mezzali che si propongono per cercare poi lo scarico o di nuovo in fascia, o verso il trequartista o direttamente alle punte.

In fase di possesso palla, dunque, il Lecce si delinea con una specie di 2-3-2-3, cercando sempre la soluzione di passaggio più vicina e dunque richiedendo un enorme movimento a tutti i giocatori senza palla. Una manovra ragionata e palla a terra a tratti rischiosa (vedi gol presi contro l’Atalanta) ma sicuramente redditizia, considerando che Tachtsidis e Petriccione sono due giocatori molto tecnici (in pratica due registi) capaci di dare qualità al palleggio della squadra sia quando la palla si muove in orizzontale alla ricerca del versante più libero, sia in verticale quando si tratta di premiare il movimento delle punte. Da buon ex regista, Liverani pretende un uomo d’ordine in mezzo al campo: Lodi, Ledesma, Arrigoni, Tachtsidis

Altro fulcro del gioco è Mancosu: trequartista atipico, non ha tanto nella fantasia o nel dribbling il suo punto di forza, bensì nella capacità di inserirsi tra le linee, tirare da fuori o creare spazi per i compagni, ad esempio le sovrapposizioni sulle fasce. Oltre, ovviamente, alle grandi doti di corsa e pressing che Liverani chiede sin dalla linea degli attaccanti per cercare di mettere in difficoltà la manovra avversaria a partire dai primi passaggi.

Quest’anno, poi, sta emergendo cristallino il talento di Filippo Falco, che oltre alle sue giocate di sinistro che spaccano le partite (punizioni, assist, tiri da fuori), si rivela molto importante anche come opzione di passaggio quando va a prendersi la palla quasi a ridosso del centrocampo, oppure allargandosi per favorire l’inserimento dei mediani.

Come si difende il Lecce di Liverani?

È nella fase di non possesso che Liverani ha dovuto fin qui apportare i maggiori correttivi alla sua squadra. Il 4-3-1-2 classico, infatti, regalava troppo spazio agli esterni avversari per la discesa palla al piede, lasciando spesso i propri terzini in inferiorità numerica nell’uno contro uno.

Ecco perché sin dalla trasferta di Torino, Liverani ha adottato in fase di non possesso un 4-3-3 puro, chiedendo alle punte di allargarsi per mettere pressione ai terzini e lasciando Mancosu come riferimento per il pressing centrale. Rallentando in questo modo l’azione, tutta la squadra ha il tempo di posizionarsi per cercare di coprire ogni linea di passaggio, inducendo l’avversario all’errore tecnico senza per forza dover cercare spasmodicamente la palla, esponendosi così al rischio di subire l’uno contro uno.
Liverani Lecce Genoa Preziosi

L’azione difensiva del Lecce, però, è comunque sempre volta al recupero del pallone e anch’essa esige molto fiato e concentrazione tattica dai giocatori. Se ne deduce, dunque, che il gioco di Liverani richieda un enorme dispendio di energie fisiche e psichiche, tanto che in Serie B il Lecce soffriva molto i 20-30 minuti finali delle partite, mentre invece in Serie A, dopo un mesetto iniziale di appannamento dovuto probabilmente ad una preparazione atletica ad hoc, i giallorossi riescono con corsa e carattere a tenere aperte le partite fino all’ultimo minuto di recupero: altro fattore di crescita da registrare fra i progressi dell’allenatore romano.

Cosa aspettarci ancora dal Lecce di Liverani?

Uno dei principali problemi di un calcio propositivo è che, esaurito il fattore sorpresa (solitamente al termine del girone d’andata), gli avversari ti conoscono e applicano delle contromisure. Durante il ritiro estivo Liverani ha provato come modulo alternativo il 4-2-3-1, che prevede l’utilizzo di uno solo tra Petriccione e Tachtsidis accanto a un mediano puro come Majer o Imbula, per sfruttare in maniera più offensiva esterni d’attacco come Falco, Farias, il giovane colombiano Vera o lo stesso Shakhov, utilizzando Mancosu o Tabanelli come “trequartisti di rottura” dietro l’unica punta Lapadula, Babacar o La Mantia.

Una soluzione molto più rischiosa rispetto all’attuale 4-3-1-2 (e lo si è visto in Coppa Italia contro la Spal, seppur con le seconde linee) che necessiterebbe di innesti ad hoc, relegando spesso giocatori importanti in panchina. Ma che, soprattutto, non risolverebbe alcuni dei problemi cronici del Lecce, come la difficoltà dei due centrali nei duelli tecnici contro rivali più quotati, il gran numero di palloni persi a centrocampo a causa della mancata risolutezza nella giocata e l’incompleto sfruttamento di Falco, costretto a venire incontro a Rispoli quasi a ridosso del centrocampo per ottenere un pallone pulito che, qualche metro più avanti, il terzino leccese non sarebbe in grado di dargli e talvolta neppure di arrivarci.

Questo fa si che Falco inneschi la sua azione troppo spesso lontano dalla porta, sfruttando la sua fantastica capacità di dribbling in un’area del campo da cui poi non può concludere a rete e percorrendo un gran numero di chilometri inutili che finiscono per sfiancarlo e depotenziarlo in zona gol, suo principale difetto statisticamente parlando. Visto il rendimento finora insufficiente di Rispoli, il flop quasi accertato di Benzar e l’incognita fisica di Fiamozzi, probabilmente un terzino destro in grado di spingere con più qualità su quella fascia (si parla di Giulio Donati, svincolato) sarebbe una manna dal cielo per Falco, che così potrebbe dialogare parlando una lingua calcistica più simile alla sua e più vicino alla porta avversaria.

Suggestione 3-5-2

Ultimamente, inoltre, si sta facendo strada la suggestione 3-5-2. Un incubo per molti supporters leccesi, che lo associano a tante partite pareggiate o perse dopo essere passati alla difesa a tre e che solitamente è il modulo utilizzato dalle squadre cosiddette piccole che badano al sodo in cerca della salvezza. Cosa c’entra, dunque, il 3-5-2 col credo di Liverani?

Potrebbe essere anzitutto un’idea per valorizzare maggiormente le caratteristiche dei terzini in rosa: Calderoni e Vera da una parte, Rispoli, Benzar e Fiamozzi dall’altra. Ovvero grande corsa ma non tantissima qualità per arrivare a fondo campo: chiedere loro di sacrificarsi a tutta fascia per partire un po’ più avanzati, sapendo di avere comunque alle spalle tre difensori, potrebbe giovare all’approvvigionamento di palloni per le prime punte, oltre che a una maggiore densità in mezzo al campo. A questo, poi, si aggiunga il fascino del doppio regista che da sempre stuzzica Liverani.

Tachtsidis: regista davanti o in mezzo alla difesa?

Detto dei limiti di Tachtsidis, che perde la maggior parte dei palloni quando è attaccato alle spalle, lasciargli la possibilità di guardare frontalmente tutto il campo col solo portiere dietro potrebbe evitargli una serie di guai, avendo l’opportunità di scaricare sia sugli altri due centrali, sia sull’altro regista (Petriccione), sia sugli esterni e addirittura provare il lancio lungo di precisione se la squadra avversaria è posizionata male.

Con il suo fisico possente, il suo carattere fiero da leader, le doti di impostazione e la sua intelligenza tattica, unita ai molti meno chilometri da percorrere, il greco da centrale difensivo potrebbe allungare la propria carriera (come già fecero in tanti prima di lui, da Matthaus a Popescu, quest’ultimo proprio nel Lecce), se non addirittura riconquistare il posto in Nazionale accanto a Manolas. Una suggestione, dunque, che qualora il campionato del Lecce dovesse permetterlo, Liverani potrebbe mettere in campo aggiungendo un’ulteriore soluzione tattica a quelle sin qui proposte. Soluzione, questa del doppio regista arretrato, praticamente ancora inedita nel campionato italiano.

Liverani si sta confermando anche nella massima serie uno dei giovani allenatori italiani con maggiore respiro europeo, costruendo a Lecce un giocattolo quasi perfetto, nei limiti delle possibilità tecniche offertegli dalla rosa. Un giocattolo che contro il Genoa si è ammirato solo nel secondo tempo, ma con cui Enrico Preziosi avrebbe potuto divertirsi volentieri, se solo avesse avuto la pazienza di aspettarlo o la sagacia di inserirlo coi tempi giusti.

  • Luca Brindisino, leccese classe '84, da grande vuole fare il calciatore ed esultare con l'indice al cielo correndo sotto la Nord, come Pasculli. Nella vita reale è copywriter, consulente in comunicazione e papà di Tommaso. In quella parallela, Mr Green è autore e conduttore radiofonico, giornalista sportivo e disc-jockey. Biografia e curriculum integrali li trovate su www.pennaverde.it. Si definisce "portatore malato di calcio sano", è convinto che non ci sia situazione nella vita che non si possa spiegare con una metafora calcistica.

Ti potrebbe interessare

Tutto il talento della Georgia

Cinque giocatori da seguire nella Serie A 2024/25

Esiste ancora il calcio d'agosto?

Il Lecce è un esempio per tutti

Dallo stesso autore

Fantacalcio: e se l’asta fosse a marzo?

Fantacalcio e tifo: 5 livelli di compatibilità

Quando il Cienciano portò la Copa Sudamericana in Perù

Antonio Conte contro il Lecce

Newsletter

pencilcrossmenu