Il Peccatore che ci redimerà
Stiamo scoprendo il talento di Jannik Sinner.
Ora è sulla bocca di tutti, ma un anno fa veleggiava intorno al numero 750 della classifica ATP e in pochi sapevano che faccia avesse. In pochi mesi tutto è cambiato. La scelta di Sinner e del suo staff è stata di mettersi presto alla prova con i grandi, cimentandosi prevalentemente in tornei challenger. Mentre Musetti si aggiudicava l’Open d’Australia juniores dopo la semifinale con Zeppieri, il giovane Jannik rimediava più sconfitte che vittorie negli ITF tunisini, racimolando un punto ATP qua e là e poche centinaia di dollari di premi.
Ma la prima svolta era dietro l’angolo: a Bergamo, nell’ultima settimana di febbraio. La sorprendente vittoria nel Challenger a cui era stato invitato con una wild card ha subito fatto drizzare le orecchie agli appassionati. Personalmente ho sposato la causa perché mi piacevano il nome e la storia di questo ragazzo di San Candido, madrelingua tedesca, che fino a quattordici anni era indeciso tra lo sci e il tennis. Ammetto che all’inizio non c’erano molti elementi concreti per giustificare questa passione, era solo questione di fede nel Peccatore.
Certo, mi sono visto le sintesi su youtube, ma cosa si può capire da quelle pallate inquadrate fisse da dietro contro Quinzi, Marcora e Lamasine? Poi sono arrivati gli ITF di Trento e di Santa Margherita di Pula, completando una striscia di sedici successi consecutivi che deve avergli dato una bella botta di autostima. Il prosieguo della stagione è segnato di momenti chiave, tra vittorie brillanti e schiaffi formativi: a Budapest il primo main draw in un 250, il turno passato a Roma, due sconfitte di misura nelle qualificazioni sull’erba, poi Umago e la lunga estate americana, con la vittoria del challenger di Lexington contro lo stesso Alex Bolt che l’aveva estromesso con dolore (12-10 al terzo set) dall’assalto al tabellone principale di Wimbledon. Poi la sofferta qualificazione allo slam newyorkese: lì la strada termina al primo turno sotto i colpi di Stan Wawrinka, che però gli deve cedere un set. È ancora lo svizzero a infrangere il sogno di Anversa, nella prima semifinale di un Atp 250, raggiunta battendo Tiafoe e Monfils.
Nel frattempo arriva la wild card per Milano e la buona opportunità per molti curiosi di vederlo dal vivo, di percepirne le vibrazioni, di toccare con mano il polso della situazione. Milano è senza dubbio un torneo sui generis, non dà punti Atp e segue regole sperimentali come il deciding point sul 40 pari, i set brevi da quattro game e l’occhio di falco permanente, ma in fondo il tennis, pur passando per uno degli sport più tradizionalisti, non solo è per sua natura declinato in maniere alquanto differenti, basti pensare alla diversità delle superfici o alla coesistenza delle due formule in tre e cinque set, ma è anche capace di introdurre svolte storiche pur rimanendo fedele a sé stesso, perciò non è impossibile che varianti simili vengano adottate anche in altri contesti.
In ogni caso a Milano c’è un’atmosfera speciale per un tennista under21, il palazzetto gremito e partecipe, la musica, i riflettori, la tensione: in pratica le luci della ribalta – oltre a premi in denaro tutt’altro che trascurabili.
Questa cosa dei set brevi - che non mi conquista - combinata con il deciding point – idem - aumenta il peso specifico di ogni punto e diminuisce il margine di errore, perché se prendi un break è più dura rientrare e al tempo stesso se concedi una palla break è come concederne due e via dicendo. Il buon Sinner, che durante l’anno ha conosciuto parecchi alti e bassi all’interno dei singoli match, è riuscito in questi giorni a tenere alto il livello di concentrazione, limitando gli errori senza per questo diminuire la spinta. Gli avversari non erano facili perché tutti, a parte Ymer, avevano più esperienza di lui nel circuito, quindi abitudine alla tensione e un peso di palla maggiore, eppure Jannik non ha mai tremato e ha tenuto fede alla linea seguita in la stagione. Il suo tennis è rimasto aggressivo, colpi profondi e spesso dotati di angoli al limite – a volte trovati anche da posizione centrale, qualità preziosa – il che l’ha portato qualche volta ad andare fuori giri, soprattutto con il dritto, ma ha creato un’impressione di generale superiorità che ha messo costantemente a disagio l’avversario di turno, impedendogli di ragionare. Ha fatto impressione l’esordio contro Tiafoe, giocatore potente e con una buona storia alle spalle, domato per la seconda volta consecutiva. Poi il cinismo con cui l’azzurro ha annusato la difficoltà di Ymer schiacciandolo senza pietà e la resilienza con cui ha ribaltato la semifinale con Kecmanovic che stava prendendo una brutta piega, dopo la sconfitta ininfluente con Humbert.
Poteva bastare questo. Sì, perché ad aspettarlo in finale c’era il numero 18 del mondo, uno che quest’anno ha vinto tre titoli 250 e perso una finale 500, già secondo a Milano l’anno scorso, sconfitto da Stefanos Titsipas. Insomma rispetto a lui un veterano, per di più in palla e forse anche il tipo di avversario capace, con la sua rapidità di spostamento e con le sue grandi doti difensive, di mettere a dura prova il gioco di Sinner, inducendolo all’errore. Le difficoltà in effetti non sono mancate, condensate nei game iniziali dei primi due set, in cui Jannik ha concesso rispettivamente due e tre palle break consecutive, ma dopo essersi salvato con l’aiuto del servizio ha portato a casa match e trofeo con una facilità quasi inquietante.
Emozioni a non finire, ovviamente. Il ragazzo è di poche parole ma ci scherza sopra e ne riesce simpatico, complice un pubblico che stravede per lui. L’empatia con gli spettatori non è solo una questione di campanilismo - forse mi illudo ma credo che nel tennis la bandiera nazionale conti meno di altri valori e sensazioni -, c’è qualcosa di più profondo nel rispetto che si sta guadagnando questo giovanotto serio e sornione, ma anche l’idea di avere un tale portento in casa nostra fa la sua parte.
E quindi? Cosa ci portiamo dietro? Cos’è lecito aspettarsi dal domani?
Intanto un bel bagaglio tecnico, un servizio già notevole e potenzialmente devastante, un rovescio bellissimo e di grande efficacia, un dritto solido ma non sempre affidabile e un gioco a rete ancora da costruire, più come tocco che come timing. Al momento può scendere per finire il punto dopo averlo costruito da fondo, ma in situazioni più complicate sbaglia parecchio.
Ma ecco che prende la parola l’avvocato del diavolo. Dice che è giovane, è un fuscello, è un fuoco di paglia, dice ti ricordi di Chung? Sì quel Chung che ha vinto a Milano nel 2017 e che ha pure raggiunto la semifinale agli Open d’Australia e la top 20 prima di cadere in miseria tra problemi fisici e fantasmi di ogni tipo. È ancora giovane, per carità, ma potrebbe tranquillamente rimanere una meteora, un Chang dei poveri (ma almeno il vecchio Michael ha vinto uno slam che ha inciso per sempre il suo nome nell’immaginario collettivo), d’altra parte li separa una sola vocale.
Sì, qualche interrogativo c’è. C’è una questione legata alla pazienza e alle aspettative, per dire, se adesso Sinner facesse una stagione alla Auger Aliassime - che ha un anno esatto in più -, cioè alcuni exploit, qualche titolo sfiorato e un’ottima classifica? Probabilmente alcuni scambierebbero questo buon risultato per un fallimento. C’è che sarà difficile crescere per gradi come l’altro fiore all’occhiello del momento tennistico italiano, Matteo Berrettini, che si è fatto grande sottotraccia, con un percorso lento e lineare fino all’esplosione di quest’anno, perché Sinner è un astro troppo lucente, tutti lo guardano e non si può più nascondere. Ci saranno la pressione, il denaro, la vita marziana e raminga di un bambino costretto a girare il mondo senza una casa e senza un punto di riferimento… sì, tutto vero, avvocato, però Sinner non è un progetto di buon giocatore né di giocatore decente, è un progetto di campionissimo, è l’idea di una carriera in top 10, perciò va bene la prudenza, benvenga la pazienza condita dell’indispensabile dedizione al lavoro ma parliamoci chiaro: la forza mentale per sostenere tutto ciò è un requisito fondamentale, se mancasse quella, allora tanto varrebbe dedicarsi ad altro.
Ma davvero stiamo parlando della testa? Va bene, allora si vede al primo sguardo che questo ragazzo è fuori dal comune: un mix letale di saggezza da capitano di lungo corso e di coraggio spensierato e incosciente, una consapevolezza quasi autorevole francamente disarmante. Insomma può sempre sbracare, ma la sensazione è che sia più facile una deflagrazione di altro tipo. Non dobbiamo aspettarci la luna - almeno non subito - ma che continui a seguire senza paura la strada intrapresa, confrontandosi su livelli sempre più alti senza perdere la sua spiccata personalità. L’approccio è quello dominante-umile: dare spazio all'ambizione senza che questa si trasformi in arroganza o superficialità.
L’altro aspetto da tenere d’occhio è quello fisico: al netto degli imprevisti, bisogna fare il possibile per evitare problemi. Bisogna spingere e giocare per crescere e per essere in forma, ma senza usurarsi, insomma dosare il lavoro a puntino per evitare di infortunarsi o di guastarsi nel tentativo di irrobustirsi troppo. L’esperienza del suo coach e la cura che sta mettendo nella programmazione sono la miglior garanzia possibile: dopotutto ha già allenato campioni del calibro di Djokovic, Ljubicic, Gasquet, Raonic, Borna Coric, insomma gente che non ha bisogno di presentazioni. Non è un caso che Piatti nel corso dei mesi abbia spesso gettato acqua sul fuoco, sottolineando la lunghezza del processo e evitando di bruciare le tappe. La scelta di saltare la coppa Davis per dedicarsi al riposo e alla preparazione per la prossima stagione è indicativa in questo senso.
A mio avviso la crescita di quest’anno rappresenta già un punto di non ritorno. Sinner ha mostrato una capacità di apprendimento pazzesca, a volte anche nella stessa partita. Per esempio quando ha affrontato Steve Johnson al master 1000 di Roma ha dato l’impressione iniziale di non essere pronto e di non reggere il peso di palla e la malizia di un top 100, ha perso 6-1 il primo set e sembrava oggettivamente il caso di accontentarsi dell’esperienza formativa. Invece nel secondo parziale Jannik ha preso le misure e ha restituito la pariglia, vincendo poi 7-5 al terzo.
Simili considerazioni si possono fare su periodi medio-brevi: per esempio la sconfitta contro Kukushkin a San Pietroburgo sembrava testimoniare un livello ancora acerbo per giocarsela contro un volpone di livello non eccelso ma centrato e convinto, invece dopo circa un mese sono arrivate la semifinale di Anversa e poi la vittoria contro Kohlschreiber al primo turno di Vienna.
Insomma con questo tipo di attitudine è lecito aspettarsi che le sfide dell’anno prossimo si trasformino in occasioni d’oro per alzare ancora di più l’asticella. Sarebbe sbagliato aspettarsi tutto e subito, questo sì (certo, i due precedenti campioni next gen hanno centrato la semifinale a Melbourne, ma meglio non pensarci). Di sicuro sarà un anno significativo.
Capiremo presto se la vistosa etichetta di predestinato si rivelerà una zavorra, uno stimolo o una semplice constatazione della realtà. Il talento, l’età, lo stile di gioco e l’approccio giustificano ambizioni illimitate, quasi una – dolce – condanna a raggiungere vette finora sconosciute agli italiani. Sarà difficilissimo, la concorrenza è famelica tra i soliti tre che non ne vogliono sapere di abdicare e le generazioni successive sempre più vogliose di alzare qualche trofeo che conta, ma il Peccatore vuole sedersi allo stesso tavolo e le carte che ha in mano non sono affatto male.
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