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Manu Ginobili durante una partita dei San Antonio Spurs.
, 23 Giugno 2018

Manu ciao


Il possibile ritiro di Ginobili ci mette davanti alla sua grandezza.

Nei suoi Discorsi, Machiavelli sottolinea spesso quanto la religione dei romani, che li spingeva ad operare per il benessere e la gloria di Roma e non per sé stessi, sia stata fondamentale per la grandezza della stessa: Ginobili è il buon esempio, come lo sono gli Spurs in generale, perché in un'epoca (e in un paese) in cui l'avidità, la celebrazione di sé stessi attraverso mezzi discutibili e la concorrenza più o meno sleale sono così ingombranti da arrivare a tagliare i fondi per l'assistenza medica e per il cambiamento climatico, si è accontentato di vincere in una lega in cui le primedonne ostentano ricchezza prima di rovinarsi nei modi più fantasiosi.

Ginobili è un vincente ed il suo palmares parla chiaro: quattro volte campione NBA, campione di Eurolega, oro olimpico. Il fatto che sia stato “solo” due volte un all star e un all NBA e abbia vinto "solo" un trofeo come sesto uomo dell'anno tradisce e rivela tutto ciò che il 20 degli Spurs è stato. In quindici anni di NBA, sarebbe potuto benissimo andare in una squadra del cazzo e fare i miliardi buttando su numeroni, invece ha addirittura accettato il ruolo di sesto uomo, dando retta al suo allenatore: come risultato, ha ottenuto il numero migliore che lo rappresenti, quel +10,3 di Net Rating (Offensive Rating + Defensive Rating) che è il migliore in assoluto dal '97, anno in cui si è iniziato ad appuntare la statistica.

Certamente si tratta di un milionario e non di uno che abbia mendicato, ma gioca nella stessa lega nella quale Chris Paul si è fatto cucire una clausola ad personam per poter firmare un contratto da duecento milioni questa estate. Non è tanto un attacco alla norma e all'ignoranza finanziaria della maggior parte dei giocatori ed ex-giocatori, quanto un'esaltazione per un modello alternativo decisamente minoritario: considerata la situazione economica mondiale e lo stato dei ghiacciai, mi azzardo a scrivere pure che sarebbe quello migliore. Non credo sia un caso che cinque dei giocatori nel grafico sopra siano Spurs, Popovich e l'organizzazione hanno fatto un manifesto di questa filosofia, lo stesso Popovich che ha più volte ripetuto, intervistato, che i giocatori siano professionisti, che fare canestro sia il loro mestiere e che siano pure pagati bene per farlo (nel bene e nel male). Per ogni cento Arenas, con tutti i suoi se e ma e però, c'è un Ginobili e cento elogi come questo per cui Manu non prende un soldo, ma per cui di sicuro non si dispiace.

Per qualunque uomo o ragazzo bianco, Ginobili è un manifesto anche per il modo in cui ha affrontato, negli anni, l'evidente e impietosa caduta dei capelli: a Ginobili non frega né è mai fregato nulla. Ha esibito con orgoglio una capigliatura fluente, si è rasato a zero e ha lasciato che il buco di capelli dietro si ergesse, comunicando a chiunque faccia fatica a pensare di dover abbandonare la propria chioma che si può essere speciali anche con quella pelata, senza rimorsi, e dimostrandolo predicando pallacanestro a tamarroni con tinte e trapianti incapaci di accettare l'ineluttabilità del tempo e della genetica.

Uno dei momenti più assurdi della sua carriera.

A Ginobili, competitore vero e profeta della furbata, spesso in difficoltà contro armadi semovibili, si deve anche l'introduzione massiccia del flopping sul palcoscenico americano, una delle quattro componenti del quadrivio di abilità dell'argentino secondo Buffa. Adesso è mainstream e lo fanno anche giocatori che potrebbero essere spostati solo da un bulldozer, ma lo ha inventato lui e lui è sempre stato credibile, a differenza di altri.

L'uomo da marcare

Per giocare a trentanove anni in NBA bisogna avere carriole di talento offensivo. Ginobili, uno dei giocatori più intelligenti di sempre, ha accumulato pure borsoni di trucchetti meravigliosi che potremmo definire “adeguamenti da campetto”, senza tempo e sempre magici. Quando la sua stella (pescata ovviamente tra i bidoni e i fenomeni parastatali del secondo turno del Draft '99) iniziava a sorgere dai meandri delle rotazioni degli speroni alle preoccupazioni degli allenatori avversari, il suo “euro-step” sollevò non pochi polveroni: gli americani, che gridavano all'infrazione di passi, mentre ora Harden ha una posizione a notte nella top 10 quando lo fa (quell''Harden che si è comparato a Ginobili per questa mossa e per l'uso della mancina, ma che, quando si tratta di cuore e voglia di vincere, non potrebbe neanche portare i pettini al Manu venticinquenne).

Nell'impostato sistema degli Spurs, in cui in caso di errore viene panchinato sia Duncan che Austin Daye, Ginobili è sempre stato quello con il diritto all'improvvisazione, di cui si è sempre sobbarcato le responsabilità (ragion per cui il rapporto con Popivich è sempre stato teneramente burrascoso): il 20 ci ha estasiati con tunnel e finte da manuale, ma ha pure fatto cazzate antologiche. Il bello di Manu è che queste passano sempre in secondo piano. Prendiamo gara uno del secondo turno dei Playoff 2013: siamo al supplementare, gli Spurs hanno la palla in mano a cinque secondi dalla fine, Ginobili prende la palla e fa questo. Si va al secondo supplementare, Curry è immarcabile e San Antonio finisce sotto di uno con tre secondi sul cronometro, Popovich è ancora fucsia per il nervoso, e succede questo:

Questa stagione si è giustamente celebrata la fibra muscolare di Vince Carter, l'unico giocatore più vecchio di Manu in NBA quest'anno, magari Carter è “half man, half amazing” davvero, ma allora Ginobili è o amazing intero o mezzo alieno e mezzo amazing (magari a cinquanta Carter riuscirà anche a farsi esplodere una scarpa). Se una spiegazione scientifica c'è, stiamo bene senza.

Volevo arrivare qui. Quest'anno l'assist della stagione sarà probabilmente questo di Westbrook, viziato da un passi evidente di Oladipo e generato dalla caccia ai numeroni dello 0 dei Thunder. Gli Spurs ci hanno stregato con il loro movimento di palla nelle Finals del 2014, ma Ginobili va visto e apprezzato.

Non ho scritto che l'atletismo di Manu fosse inspiegabile perché quella parola se la meritano questi passaggi, del tutto sconsiderati, estratti a forza dall'Iperuranio della pallacanestro e donatici con semplicità da uno che ha sempre giocato amando lo sport con una passione monumentale. Ci saranno tiratori migliori di Curry in futuro e potremmo rivedere pure un'evoluzione di LeBron, ma questi passaggi? Me lo auguro, ma ne dubito.

Sono almeno otto anni che gli Spurs sono vecchi, ma, ora che vecchi lo sono davvero e iniziano a ritirarsi, la frase inizia ad avere un'accezione triste. Vedere Duncan, l'anno scorso, per la prima volta è stata una sofferenza: questo non è quello che vogliamo ricordare e non vorremmo neanche averlo visto. Ginobili ha la possibilità di ritirarsi dopo una post-season iniziata con un sonante 0-15 dal campo, proseguita meglio ed esplosa contro i Rockets in quella che per alcuni è stata una sorpresa e che è solo ciò che fanno i campioni; stessa cosa contro i Warriors, senza Leonard. Se questa è l'ultima immagine di Manu, quanto è bella?

In conclusione, perché Ginobili? Perché un saggio amico mi ha detto, anni fa, che “Ginobili è il basket” e che ha iniziato a guardare l'NBA per lui: innamorato com'ero di tamarrate, tiri con la mano in faccia e schiacciate, ci ho messo un po' per capire che intendesse che Manu è la parte migliore del basket, incarnata; se sono riuscito a dare, almeno in parte, un'idea del perché la pensiamo così, avrò avuto successo. Grazie Manu.


  • Luca Zaghini, nato a Cattolica il 17 gennaio 1993. Laureando in Italianistica, appassionato di linguaggio e pallacanestro: le mie giornate (ed il mio cuore) sono come un pendolo che oscilla incessantemente fra i maggiori pensatori di tutti i tempi e i più grandi ignoranti pieni di sé che abbiano mai messo piede su un parquet. Fermo oppositore dei compromessi, mi concentro solo sugli estremi della gerarchia cestistica, NBA e campionato universitario bolognese. Già redattore della pagina Deportivo la Piadéina.

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