Gareth Bale con il Real Madrid.
, 15 Maggio 2018
8 minuti

Cosa è successo a Gareth Bale?


Una stagione tormentata anche in mezzo ai successi del Real.

In un futuro post-apocalittico in cui androidi dotati di intelligenze artificiali domineranno il mondo, questi avranno probabilmente le sembianze di Gareth Bale. Non può che essere così, d'altronde Bale non è un essere umano, non gioca come un essere umano e non ha la forma di un essere umano, specie quando messo sullo stesso campo di essi. Non è come Cristiano Ronaldo, superiore agli altri in quanto archetipo del perfezionista, e non è nemmeno come Messi, puro e semplice ragazzo prodigio. Bale è un fenomeno semplicemente perchè è Bale. Il dono che ha, quello di far sembrare gli avversari dei semplici bambini che tirano due calci in un parco, è, allo stesso tempo, talmente naturale e talmente sovrumano da sembrare impossibile da replicare, anche tramite l’allenamento.

I difensori dell'Islanda semplicemente non sanno come fermarlo.

Che fosse un giocatore diverso dal normale lo ricorda anche Sam Warburton, capitano della nazionale gallese di rugby e compagno di scuola di Bale: "Giocavo come difensore centrale e lui come esterno sinistro. Non ero male ma ero giusto un decimo del giocatore che era lui". Il suo punto forte però era l'atletica: a 14 anni, racconta in un'intervista al Telegraph nel 2011, ha corso i 100 metri in 11.4 secondi. La sua evoluzione come giocatore tradisce pienamente la sua origine. Nella stessa intervista, sostiene di essere addirittura migliorato soprattutto sulla media e lunga distanza. Viene difficile dargli torto, soprattutto rivedendo il Bale poco più che ventunenne divorarsi la fascia destra dell'Inter.

Il suo atletismo del resto è stato anche il vero fil rouge dell’evoluzione del Bale calciatore. Dai difficili inizi da terzino al Southampton, tempi in cui sembrava avere un fisico troppo leggero, poco adatto alla ruvidità del calcio made in Uk, fino al trasferimento al Tottenham, prima della rottura dei legamenti del ginocchio nel dicembre del 2007, sono gli anni della maturazione, non solo calcistica, ma soprattutto fisica, del ragazzo di Cardiff.

Le sue qualità sono indubbie, ma i primi due allenatori con cui lavora al Tottenham, Juande Ramos e Martin Jol, vedono poco oltre il Bale versione terzino. E questa versione non è sicuramente delle migliori. Il piede sinistro è già di livello assoluto (dei primi 5 gol al Southampton, nella stagione dell’esordio a 17 anni ne segna 4 su punizione), ma le letture difensive mancano. Prima degli infortuni a ginocchio e caviglia che lo tormenteranno nel biennio 2008-2009 gioca con costanza, vista anche la scarsità di soluzioni per gli Spurs sull’out di sinistra, ma al rientro definitivo, a inizio 2009, il nuovo manager Harry Redknapp essenzialmente non lo vede: il titolare sulla sinistra è Benoit Assou-Akotto, meno appariscente (forse), ma più attento quando si tratta di difendere in linea.

“Se la smetti di sistemarti il ciuffo magari diventi un giocatore quasi decente”, gli dice addirittura Redknapp, da sempre definito da Bale come l’uomo che lo ho spinto per primo a diventare il calciatore che vediamo oggi. Anche nelle difficoltà di un approdo difficoltoso con il calcio “dei grandi”, dopo gli inizi di Southampton, quello che sorprende di Bale rimane però il suo essere un ragazzo perfettamente normale (“Sono ancora giovane, sto imparando tutte le componenti del gioco”, dirà ad esempio riferendosi alla sua fase difensiva). Un ragazzo normale che non può però esimersi dal rivestire il ruolo del predestinato.

La vera svolta nella carriera di Bale arriva però a cavallo di una notte e di un cambio di allenatore. La notte è il 20 ottobre 2010, quando, schierato da ala nel 4-3-3 di Redknapp, scherza con Maicon e con l’intera difesa dell’Inter post-triplete segnando una tripletta a San Siro. Sotto 4-0, in 10 contro undici, ridà senso ad una partita sostanzialmente finita ridicolizzando nell’ordine, Maicon, Javier Zanetti e Julio Cesar. Bale ala, con più campo da attaccare rispetto al Bale terzino sinistro diventa imprendibile: non solo riesce a segnare di più, ma una volta avvicinato alla porta, riescono ad emergere anche le sue qualità decisionali sull’ultimo passaggio. Nell’ultimo Tottenham di Redknapp diventa insostituibile e viene usato letteralmente come giocatore di rottura: nei suoi uno contro uno non ci sono dribbling superflui, ma la sua fisicità lo rende quasi impossibile da marcare.

Il cambio di allenatore che invece ne completa il percorso di crescita è l’arrivo di Andrè-Villas Boas (o la cessione di Modric al Real, se non siete dei fan di AVB). Il portoghese lo conferma inizialmente ala, dopo gli esperimenti di Redknapp, ma gli costruisce intorno una centralità che prima doveva spartire con l’ingombrante presenza del regista croato e, conseguentemente, decide di spostarlo al centro. In un campionato come la Premier League dove regnano sovrani ritmi di gioco vertiginosi, la decisione di Villas-Boas potrebbe sembrare priva di qualsivoglia logica. Che senso ha spostarlo dal suo giardino privato (la fascia sinistra), per portarlo al centro, dove il traffico è maggiore e dove si può raddoppiare con facilità? La risposta è tutta nelle 26 reti della stagione 2012-2013, la migliore in assoluto in maglia Spurs.

Bale, l’uomo

Il calciatore che approda a Madrid nel 2013 è senza alcun dubbio l’attaccante più completo che si veda in Spagna da dieci anni a questa parte. Eppure per molti la cifra sborsata da Florentino Perez è ritenuta eccessiva, per un giocatore spesso considerato solo come un centometrista prestato al calcio. Lo strapotere fisico nei confronti degli avversari finisce addirittura per oscurare le qualità che gli consentono letteralmente di segnare in tutti i modi e in pochi vedono i suoi progressi in un ruolo, quello di trequartista, che richiede un giocatore più responsabilizzato, perfettamente in grado di mandare a rete chiunque, non solo se stesso (11 assist in totale e una media di 2.3 passaggi chiave a partita nel 2012-2013). Le capacità non solo di farsi trovare tra le linee per provare il tiro (di destro o di sinistro indifferentemente), ma anche i tempi di inserimento in aerea (alle spalle ad esempio di un centravanti di riferimento come Adebayor negli Spurs) sono semplicemente di un livello superiore e rendono difficile rinunciare a un giocatore del genere in campo. Il primo problema che si pone sin dal primo allenamento con i blancos è infatti sul come inserirlo nei meccanismi di squadra. Il Real è una squadra già rodata, che ha cambiato poco nel mercato estivo e per Ancelotti Bale è un esterno. Il centro del campo è la personale riserva di caccia di Cristiano Ronaldo e il gallese viene confinato all’ala destra, schierato a piede invertito. Una novità per lui, che riesce comunque a segnare 22 gol nella sua prima stagione al Bernabeu.

Ciò che finirà poi per nascondere e portarci a mettere nel dimenticatoio il suo ottimo primo anno a Madrid sono gli infortuni. Le sue costanti visite in infermeria sono la prima e forse unica prova della natura umana di Bale. In tre anni arriverà a saltare qualcosa come 58 partite (senza considerare poi le numerose sostituzioni a partita in corso), finendo per recitare solo un ruolo da comparsa in uno dei migliori Real Madrid della storia. Quello che ad oggi sembra palese, dopo tra anni di guai fisici, è l’inadeguatezza di Bale nel calcio fluido di Zidane: in un Real Madrid che molto spesso arriva a vincere partite contando quasi esclusivamente sulle capacità dei propri campioni di adattarsi perfettamente a qualsiasi avversario e a qualsiasi momento del match, un risolutore come Bale sembra fuori posto. Se nel Tottenham, o negli anni di Ancelotti al Real, sembrava in grado di tirare fuori dal cilindro un tiro a giro o un accelerazione in grado di svoltare un match (vedi il gol in cui umilia Marc Bartra), ora Zidane, che preferisce modellare la squadra sugli avversari, piuttosto che il contrario, vede in questo “nuovo” Bale un giocatore poco duttile. Nella necessità che ha l’ex tecnico del Castilla di avere equilibrio a centrocampo, (con gli imprescindibili Modric e Casemiro) e di avere un moltiplicatore di linee di passaggio in grado di svariare in ogni zona del campo (Isco), l’agnello sacrificale ormai è sempre puntualmente Bale. Contro la Juve a Cardiff gioca infatti il trequartista andaluso dietro Benzema e Ronaldo e contro il Bayern quest’anno all’andata gli viene preferito sempre Isco, questa volta come esterno. Al ritorno invece Zizou preferisce affidarsi addirittura al fidato scudiero di Ronaldo, Lucas Vazquez, e al ragazzo prodigio Marco Asensio. L’ultima partita di Bale in Champions quest'anno è addirittura un orrendo primo tempo, giocato da esterno di destra in un 4-4-2, nel ritorno in casa contro la Juve, con sostituzione e bocciatura al 45’. Troppo poco per Mister 100 milioni.

Nel frattempo Bale, come del resto ha fatto in tutta la sua carriera, non ha detto una parola fuori posto. Come quando al Tottenham diceva di dover migliorare la fase difensiva o quando a 15 anni al Southampton faticava ad entrare in rosa, il suo unico obiettivo è solo quello di rientrare in squadra il prima possibile. Le manie di protagonismo sono per altri campioni. Quando dopo una stagione del genere e un tale crollo nelle gerarchie del proprio tecnico altri giocatori solleverebbero polveroni pur di cambiare aria, le uniche voci di trasferimento di Bale sono, oltre che solo voci appunto, opera di tabloid inglesi e spagnoli. Per il ragazzo di Cardiff ciò che conta è il campo, e soprattutto il ritornarci al top della forma. Quello che c’è fuori è, al momento, solo una distrazione.

Tra presente e futuro

La carriera di Bale è a un bivio. E senza dubbio è il bivio più importante in tutto il suo percorso da calciatore. Non è che poi la sua finestra di opportunità a Madrid si sia definitivamente chiusa. In fondo gli unici a non essere mai stati fischiati al Bernabeu sono stati (forse) Di Stefano e Butragueno e le possibilità per ricucire i rapporti con la tifoseria e con Zidane ci sono tutti. Del resto Bale ha già dimostrato di essere in grado di gestire le pressioni di un palcoscenico come quello del Real Madrid, nelle due stagioni sotto Ancelotti.

Anche andarsene dalla Spagna potrebbe essere una strada percorribile. Senza dubbio bisogna evidenziare come il gallese abbia sofferto il cambio di contesto con il trasferimento ai blancos.  A livello di competizione con il passaggio ad un campionato più moderno tatticamente come la Liga, dove molte squadre anche di media classifica giocano un calcio molto proattivo (fatto di pressing alto e possesso palla), anche a costo di perdere con punteggi tennistici. In Premier, dove si gioca a ritmi vertiginosi, dove l’attenzione tattica ad un livello medio-basso è minore e dove i secondi tempi finiscono per sembrare partite di rugby (senza nulla togliere allo spettacolo), Bale faceva la differenza anche solo per il suo essere ingiocabile sul piano fisico. E la stessa cosa vale per la Nazionale, dove riesce ancora a mettersi in mostra come il giocatore completo che è.

Non finirò mai di sottolineare però l’importanza dei problemi fisici nelle valutazioni drammatiche delle sue ultime due stagioni. E allo stesso tempo capire realmente la gravità di tali problemi, a meno che non riusciamo a farci assumere dallo staff medico del Real, sembra impossibile. I continui guai alla caviglia lo stanno portando a giocare costantemente con il freno a mano tirato. Basterà quindi andare via da Madrid per cancellare i ricordi delle ultime brutte prestazioni? Una risposta definitiva non esiste, ma tantissimo, forse troppo, dipenderà dalla tenuta dei tendini della caviglia e del muscolo del polpaccio sinistro. Una cosa veramente triste per quello che è un giocatore così d’avanguardia. In un calcio, e nello sport in generale, che si sta evolvendo sempre più verso qualcosa “non a misura di essere umano”, in cui la differenza la fa molto di più lo strapotere fisico e muscolare, piuttosto che quello tecnico, e in cui la velocità di gioco raggiunge punte da vertigine, Bale ne è l’ambasciatore più convinto. Sarebbe davvero deprimente finire per ricordarlo solo per accelerazioni da centometrista e infortuni in succesione, piuttosto che per l’innovatore che è (o che è stato). L’unica cosa che possiamo sperare è che questo primo modello di super-calciatore riesca a superare i propri problemi fisici e perchè no, anche psicologici, per prenderci per mano e portarci definitivamente verso il calcio del futuro.


Autore

  • Studente di economia, classe '93, nato e cresciuto a Rimini. Si avvicina al calcio sin da piccolo, grazie ad un certo Roberto Baggio e ai Mondiali del 2002. Tifoso rossoblù per adozione, dopo aver vissuto per qualche anno a Bologna. Si limita a giocare a calcetto la domenica, data la poca qualità con il pallone tra i piedi, e a seguire qualsiasi campionato visibile in TV. Altre passioni: MLB, sci alpino e la settima arte.

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