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- di Francesco Andreose

Quella volta che la Dinamo Tbilisi salì sul tetto d’Europa.


Il 13 maggio 1981 è un data particolare per il calcio georgiano, quel giorno la Dinamo Tbilisi, allora espressione dell’Unione Sovietica, alzò al cielo la Coppa delle Coppe.


La Dinamo Tbilisi con la Coppa delle Coppe.

C’era una volta l’Unione Sovietica, potenza politica, militare, sportiva. In quell’impero d’acciaio, anche il calcio, divenuto popolare dopo un iniziale scherno, non era da meno. L’Unione Sovietica calcistica nel corso della sua storia ha saputo sfornare generazioni di grandissimi calciatori e squadre molto competitive, basta ricordare leggende come Lev Yashin, Oleh Blochin od Oleksij Mychajlyčenko, o club come la Dinamo Kiev e la Dinamo Mosca. Ma, per le bizze della storia, la bacheca sovietica è povera di trofei: un Campionato Europeo nel 1960, al debutto, e un quarto posto al mondiale del 1966 sono gli squilli più acuti per la nazionale in maglia rossa. Tre Coppe delle Coppe sono invece il bottino per le squadre di club: due conquistate dalla Dinamo Kiev, tra le più forti squadre sovietiche degli anni ’70-’80, e una dalla Dinamo Tbilisi.

E proprio su quest’ultima vale la pena soffermarsi perché troppo poco si è parlato di una squadra che annoverava tra le sue fila giocatori come David Kipiani, Ramaz Shengelia e Vladimir Gutsaev. Troppo poco si è parlato della magica cavalcata europea del 1980-81, di quella Dinamo che, partita a fari spenti, seppe alzare al cielo l’allora secondo trofeo europeo per importanza. Un’edizione che passerà alla storia per aver visto una finale tutta socialista; a contendere la Coppa alla Dinamo fu infatti l’altra sorpresa del torneo il Carl Zeiss Jena, squadra della Repubblica Democratica Tedesca.

Il Carl Zeiss Jena prima del match con la Dinamo.

Ma procediamo con ordine, dall’inizio della storia sportiva del club dell’allora Repubblica Socialista Sovietica Georgiana. La Dinamo Tbilisi nacque nell’autunno del 1925 ma dovette attendere quasi undici anni, e tante partite non ufficiali, prima di poter prendere parte a un campionato vero e proprio. L’esordio avvenne nel 1936, nella prima divisione sovietica, la nostra serie B per intenderci; una categoria da subito stretta per la squadra georgiana che già l’anno successivo passò in Vysšaja Liga, il massimo campionato sovietico. Da allora i ragazzi in maglietta blu non conobbero retrocessioni, stabilendosi al vertice del calcio sovietico e ottenendo risultati prestigiosi. La vittoria del campionato nel 1964 e nel 1978 e il lancia di diversi calciatori come Slava Met'reveli, Mikheil Meskhi, soprannominato il Garrincha georgiano, David Kipiani o Revaz Chelebadze, autentici monumenti da quelle parti e pedine importanti anche per la Nazionale.

La Dinamo Tbilisi vincitrice del campionato sovietico del 1978.

Ma l’annata d’oro della Dinamo è stata quella del 1980-81, quella del trionfo in Coppe delle Coppe e della ribalta per i ragazzi di Tbilisi capaci di scuotere, almeno per un po’, anche l’indifferenza snob degli spettatori occidentali. La Dinamo Tbilisi si presentava ai nastri di partenza come una delle tante: una buona squadra ma di certo non una su cui puntare. A quell’edizione della Coppa, infatti, prendevano parte squadre sulla carta più attrezzate e temibili come il Valencia, la Roma, il West Ham, il Benfica o il Feyenoord.

La Dinamo parte piano: al primo turno supera i modesti greci del Kastoria con un due a zero in casa dopo lo zero a zero nella partita di andata in Grecia. Ordinaria amministrazione, come il confronto al turno successivo con gli irlandesi del Waterford, liquidati con un uno a zero in Irlanda e un largo quattro a zero a Tbilisi. La Dinamo approda ai quarti e qualcuno in Occidente si accorge che questi ragazzi, guidati in panchina da Nodar Akhalkatsi, fanno sul serio.

L’avversario è il West Ham di Frank Lampard padre: l’andata si gioca al mitico Boylen Ground ad Upton Park, autentico fortino dei Martelli londinesi. Ma l’atmosfera non impaurisce i georgiani che schiantano gli inglesi con un perentorio quattro a uno, figlio delle reti di Chivadze, Gutsaev e della doppietta di Shengelia. Il ritorno al Lenin Dinamo Stadium è solo una formalità e non basta il gol Pearson per negare ai novantamila presenti la gioia della semifinale con il Feyenoord.

Un confronto che si preannuncia equilibrato. Ma anche con gli olandesi la squadra di Akhalkatsi ribadisce la sua propensione offensiva: la gara d’andata, a Tbilisi, termina con un esaltante tre a zero in favore dei padroni di casa, risultato che si rivelerà fondamentale per il passaggio del turno. Nel ritorno a Rotterdam, infatti, la Dinamo non gira e conosce una brutta battuta d’arresto: perde due a zero rischiando così di compromettere tutto e di farsi sfuggire la finalissima. Ma il 1981 è l’anno della Dinamo e della finale tutta socialista da giocare in una partita secca, oltre cortina: a Düsseldorf, Repubblica Federale Tedesca. Una beffa della storia.

La sfida per i sovietici, tuttavia, si prefigura la più difficile del torneo, il Carl Zeiss Jena arriva all’appuntamento dopo aver fatto fuori, lungo il suo cammino, la Roma di Falcao e il Benfica che si sarebbe laureato campione di Portogallo pochi mesi più tardi.

Davanti a meno di cinquemila spettatori le due compagini, espressione del calcio socialista, danno vita a un incontro combattuto: il Carl Zeiss Jena, leggermente favorito, si porta in vantaggio al ’63 con Gerhard Hoppe, semisconosciuto centrocampista dalla maglia numero 3. La gioia tedesca è effimera: quattro minuti più tardi la formazione georgiana trova il pareggio con una delle sue stelle. Kipiani scatta palla al piede nella zona centrale della trequarti, avanza velocissimo verso la porta e appena al limite dell’area serve sulla destra il compagno Gutsaev che, con un preciso diagonale, trafigge il portiere del Carl Zeiss. È uno a uno. La Dinamo sente che quella è la serata giusta per un appuntamento con la storia: attacca a testa bassa, vuol far sua la posta in palio. Il gol della vittoria arriva solo a quattro minuti dalla fine dei tempi regolamentari ma è un capolavoro. Kipiani, come uno che aspetta i supplementari, giochicchia con la sfera a centrocampo prima di cederla svogliatamente a un arrembante Daraselia, evidentemente di diverso avviso. Il centrocampista si invola rapido verso la porta avversaria, salta un uomo ed è in area; poi rientra sulla sinistra per farne fuori un altro e portarsi a tu per tu con il portiere prima di fulminarlo con un sinistro preciso e potente. È gol. I blu hanno completato la rimonta: sono in vantaggio. Le lancette del cronometro girano pigre fino al triplice fischio: la Dinamo Tbilisi è campione.

I giocatori si abbracciano e i loro volti, provati dalla fatica, si sciolgono in un sorriso incontenibile mentre alzano in aria il trofeo. Una coppa bellissima con due orecchie solo un po’ più piccole di quelle della sorella maggiore. Una gioia grande che inorgoglisce una nazione, fa felice una città.

E chissà se quella sera sotto il cielo di Düsseldorf qualcuno immaginava che quello sarebbe stato l’ultimo successo di prestigio della Dinamo, chissà se, sempre quel qualcuno, avrebbe mai pensato che il calcio, ingrato, e sempre più con il baricentro in Occidente, si sarebbe dimenticato di quelle gesta e della gloriosa storia della squadra di Tbilisi.


 

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Francesco Andreose, classe 1984, veronese di nascita, milanese d’adozione. Oggi si occupa di comunicazione e social media, ma la sua vera passione è il pallone, soprattutto quello che rotola in provincia. Più bravo con la penna che con i piedi, simpatizza con i perdenti e quando può non si esime dall’essere bastian contrario. All’aridità di numeri e statistiche preferisce la descrizione di un’emozione, la narrazione di un gesto che infiamma una curva. Il tifo per l’Hellas Verona gli ha insegnato a soffrire fin da piccolo.

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