Gasquet, il diritto di essere settimi
A 32 anni può dire di aver vinto la sua battaglia personale.
Fosse nato in Italia Richard Gasquet sarebbe considerato se non il tennista azzurro più forte di tutti i tempi, qualcosa di molto vicino. Il suo palmares d'altronde non ha bisogno di particolari presentazioni: a 32 anni Richard può vantare tre semifinali Slam tra Wimbledon e Us Open, 14 trofei ATP in bacheca, 4 annate concluse tra i primi dieci giocatori al mondo, 2 partecipazioni al Master di fine anno e best ranking fissato alla posizione numero 7. In Italia forse avrebbe già un campo a sé dedicato al Foro: in Francia invece è solo uno dei 4 alfieri della generazione francese delle occasioni perdute, insieme ai suoi coetanei Tsonga, Simon e Monfils, la generazione che era designata a riportare un titolo dello Slam oltre le Alpi e che invece per riuscire a vincere una “misera” Coppa Davis ha dovuto aspettare l’arrivo di Lucas Pouille. Gasquet in particolare viene visto come l’emblema di una generazione di tennisti transalpini che è arrivata meno in alto di quanto era legittimo aspettarsi: doveva essere un dono dal cielo e invece è diventato soltanto un normale fortissimo giocatore.
Ammirevole la scelta editoriale di non inserire il cognome per evitare di caricare troppo il ragazzo.
Ogni sportivo di alto livello sa riconoscere il momento in cui si accendono i riflettori sulla sua faccia. Per Gasquet questo momento è arrivato all’età di 9 anni, quando venne sbattuto sulla copertina di Tennis Magazine, la più importante rivista specializzata di Francia. Il destino del piccolo Richard sembra essere già incontrovertibilmente lanciato verso la gloria, immortalato in prima pagina mentre è intento a colpire la palla con il suo già inconfondibilmente meraviglioso rovescio. Il titolo d’altronde non è uno di quelli che girano troppo intorno alla faccenda e nell’articolo i toni si fanno addirittura più trionfalistici. Gasquet è il dono dal cielo, l’eroe transalpino destinato a riportare il tricolore francese sulle vette più alte del tennis mondiale e a ricalcare le gesta dell’iconico Noah. “A 9 anni non avevo idea di quello che mi stava succedendo. A distanza di tempo ora ripenso a quella copertina e penso che non consiglierei mai ad un bambino di fare una cosa del genere”.
Gasquet ha debuttato nel circuito ATP a 15 anni, passando vittorioso per le qualificazioni di Montecarlo mentre ai suoi coetanei ancora non spuntavano i brufoli: è stato il più giovane tennista in top 200 nel 2003 e il più giovane in top 100 nel 2004, portando a casa nel solo anno solare la bellezza di 4 Challenger. Nel 2005 la sua stella esplode sempre sulla terra ardente di Montecarlo, dove sconfigge in tre set nei quarti di finale il re Roger Federer, numero 1 del mondo allora come ora ma allucinato e sorpreso dal tennis arabesco dell’avversario in quel caldo pomeriggio di aprile sulla Costa Azzurra. I primi anni di carriera di Gasquet sembrano poter confermare appieno le pesanti premesse sul suo conto: nel 2007, a 21 anni, entra trionfalmente in top 10, assaggia la prima semifinale Slam nei giardini di Wimbledon (dove non vide palla contro lo stesso Federer) e può vantare in bacheca già 5 titoli ATP. Il tempo sembra maturo per il salto definitivo.
Poche volte in carriera il dritto di Gasquet ha funzionato bene come in questo match.
È difficile trovare una spiegazione alla mancata consacrazione di Gasquet che non sia riconducibile ad una semplice assenza delle doti necessarie per permanere tante stagioni ad alti livelli: mentre il tennis andava sempre più velocemente verso la sublimazione dell’atleta sopra il tennista, del muscolo sopra il colpo, Gasquet si scopriva semplicemente incapace di tenere quel ritmo forsennato per tutta la carriera. “La differenza tra me e Nadal è che io penso sempre solo al tennis, mentre lui pensa anche al fisico. Io non frequento palestre. Posso giocare e allenarmi anche 4 ore ma sempre solo sul campo”. Come una macchina ben strutturata ma con meno cavalli nel motore per competere a certi livelli, Gasquet ha tenuto la scia dei più forti finchè ha potuto, prima di lasciarsi staccare in rettilineo e di procedere con più calma, ai suoi ritmi.
Certo, sarebbe ingeneroso non sottolineare il peso che ha avuto sulla sua carriera e più in generale sulla sua vita, la brutta vicenda sulla sospensione che lo ha coinvolto nel 2009 (dove comunque arrivava da un 2008 già su livelli inferiori rispetto alle annate precedenti): trovato positivo alla cocaina in un controllo antidoping effettuato durante il Master 1000 di Miami, Gasquet venne inizialmente sospeso a tempo indeterminato dall’ATP. Risultato positivo anche alle controanalisi, Gasquet riuscì a cavarsela con una sospensione di appena due mesi, convincendo i giudici sportivi dell’involontarietà dell’assunzione (che era pari ad un quantitativo irrisorio, meno di un decimo della quantità media di una striscia di cocaina), dovuta a quanto pare ad un bacio in discoteca con una ragazza che aveva effettivamente consumato in quella nefasta serata per il povero ventiduenne Richard. La vicenda ha segnato profondamente Gasquet, già all’epoca dipinto come un ragazzo particolarmente paranoico e poco portato alla spensieratezza, retaggio di un’adolescenza mozzata che lo vedeva come il “Mozart del tennis” e la speranza del futuro tennistico di una delle nazioni con maggiore tradizione al mondo. Per un po' Richard si era convinto di essere vittima di un complotto: “Per tutta la stagione, facevo controllare ogni cibo che ingerivo prima di mangiarlo. Pretendevo che le bottiglie mi venissero date ben sigillate e se andavo a cena fuori facevo ordinare il mio piatto a qualcun altro. Ci è voluto un anno per smetterla”.
Dopo un paio di nuove apparizioni nell’elitè del tennis nel 2013 e nel 2015, a 32 anni Gasquet oltre a non trovare rimedi per porre freno alla sua galoppante calvizie, è soprattutto prossimo a portare in porto la sua bella carriera, chissà magari con qualche sporadico guizzo qua e là: il doppio cambio di coach a fine 2017 (si è affidato ad un vecchio santone come Fabrice Santoro) sembra gli abbia ridato slancio, e le sue prospettive per questo 2018 sono ottimistiche, soprattutto in un’annata come questa che non può vedere un vero unico dominatore assoluto per questioni anagrafiche, ospedaliere o attitudinali. Santoro parla della necessità di migliorare il servizio, colpo storicamente più debilitato del francese: anche per questo Richard ha sempre indicato la terra rossa come sua superficie privilegiata, soprattutto per la possibilità di elaborare con maggiore pazienza lo scambio da fondo prima di sfoderare il suo lussuoso rovescio, universalmente considerato uno dei più colpi esteticamente più appaganti del circuito. Il rovescio di Gasquet (divenuto ormai nel frattempo un' espressione quasi proverbiale: capita spesso in telecronaca di ascoltare il telecronista parlare di “rovescio alla Gasquet” per evidenziarne uno particolarmente ben riuscito) è il retaggio rimasto più plateale di quel bambino che a 9 anni aveva fatto impazzire tutta Francia, di quel talento purissimo che non può essere scalfito da nessuna ora di allenamento in palestra in meno dell'avversario: Richard curva il suo gomito in preparazione con un angolo quasi innaturale, per poi colpire la palla senza compiere sforzo e senza quasi muovere alcuna altra parte del corpo che non sia il suo braccio proteso armonicamente, in un equilibrio perfetto e sinuoso (nel caso cerchiate un'analisi prettamente tecnica del rovescio di Richard, vi rimando a questo perfetto articolo di Max Sartori). Un colpo dalla perfezione estetica tale che rende impossibile non portare a chiedersi come sia possibile che un uomo che sappia colpire la palla con una tale inumana sensibilità non sia sulla vetta assoluta delle classifiche mondiali.
“A 15 anni mi chiamavano Il Piccolo Mozart e quindi, se poi non vinci il Roland Garros, la tua carriera viene considerata un fallimento. Mi hanno sempre dipinto come il prossimo numero uno del mondo, quindi pare che io non abbia il diritto di essere stato il numero 7. Nella testa della gente, pare un risultato normale.” Poche cose devono essere considerate più deprimenti per uno sportivo che dover giustificare a sconosciuti i propri risultati, soprattutto laddove ci sia la pienamente legittima consapevolezza di aver ottenuto risultati di livello altissimo così come nel caso di Gasquet. Dopo anni di montagne russe mediatiche, fatti di un progressivo e costante sgonfiamento sulle sue aspettative, Richard ha imparato a vivere con maggiore leggerezza il suo talento, ad affrontare il tema della sua presunta omosessualità fermamente smentita e anche ad aprirsi in generale di più alla stampa, anche se non troppo comunque. L’intervista da cui provengono la maggior parte dei virgolettati di questo articolo venne rilasciata a Society nel 2015, ed è ad oggi una delle poche volte in cui si ha la sensazione che Gasquet si sia riuscito a sbottonare nei confronti dei giornalisti, mettendo per una volta da parte il suo atteggiamento solitamente ostile, quasi come ancora non riuscisse a perdonare alla categoria quella copertina del 1996 che l’ha inevitabilmente in un certo senso, tradito.
Quando Gasquet parla del diritto di essere settimi, rivendica un po' tutta la sua esperienza di vita e il suo diritto ad essere un normale fortissimo tennista: il suo ruolino contro i fatidici Fab 4 parla di 6 vittorie (due delle quali contro un Murray giovanissimo e meno maturo di lui, ancora fuori dalla Top 10) e 53 sconfitte, a testimonianza di una normalità che emerge in maniera ancor più marcata quando si tratta di incrociare i guantoni con gente che possiede semplicemente e senza girarci troppo intorno, almeno un paio di cilindrate in più. In particolare contro Nadal il dato è impietoso. Zero vittorie e 15 sconfitte. Rafa Nadal, il dominatore della terra, il re di Parigi. Rafa Nadal, lo stesso che, quando incontrava nei tornei juniores Gasquet, perdeva praticamente sempre, quando i corpi erano ancora tutti democraticamente gracili e il dono di braccio contava più del sudore.
Si giocasse a tennis in ciabatte, mirando solo il gesto tecnico e il colpo da giocoliere, Richard Gasquet sarebbe forse davvero diventato quel Richard Gasquet di cui parlava Tennis Magazine: eppure ci si può accontentare anche così. D’altronde come dice la famosa massima di Alberto Arbasino, la vita dei personaggi pubblici è sintetizzabile in tre passaggi: si nasce come giovane promessa, si passa a solito stronzo e infine si diventa un venerabile maestro. Si rallegri pure Gasquet, ormai è prossimo ad entrare nell’ultima fase.
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