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- di Raffaele Cirillo

Dybala, Allegri e la riconfigurazione del campione


"Cosa significa giocar ben o giocar male? È molto semplice. Se hai Dybala, le giocate vengono e giochi bene. Altrimenti non ci sarebbero giocatori da 250 milioni e giocatori da un milione, ma sarebbero tutti uguali, se nel calcio si vincesse solo con gli schemi".


Diceva così, Massimiliano Allegri, ed era l’inizio di settembre. Sono passati tre mesi e l’impianto teoretico su cui il tecnico livornese fonda la propria filosofia calcistica sembrerebbe essersi capovolto. La Juve ha cambiato sistema di gioco e colui che ne ha fatto le spese è proprio la Joya.

Allegri ha compreso che la presenza nel suo schieramento di un centrocampista in più, specie se costui possiede le doti dinamiche, l’energia e la polivalenza tattica di Blaise Matuidi, produce un vantaggio irrinunciabile per gli equilibri tattici della squadra, tale da fargli ritenere questa opzione la più funzionale tra quelle possibili. A costo di sacrificare il proprio calciatore di maggior talento. Per uno schema. Proprio lui che, per definizione, incarna un modello (diventato inevitabilmente cliché nella semplificazione mediatica) che quella frase di tre mesi fa vale ad esprimere con indubbia efficacia. Sembrerebbe una clamorosa abiura. Se non fosse che, come spesso accade, per capire effettivamente le cose non basta limitarsi a considerarle semplicemente per ciò che sembrano.

Partiamo mettendo un paio di punto fermi, in modo che la nostra analisi possa poggiarsi su qualcosa di solido.

Il primo punto rappresenta un’opinione di chi scrive, non può essere considerato dunque un dato oggettivo, ma vale inevitabilmente come base di partenza di un’analisi che, non a caso, è appunto mia. Ebbene, questo primo punto consiste nella personale considerazione che Dybala rappresenti il calciatore di maggior talento che è possibile ammirare sui campi della odierna serie A.

Non a caso nella classifica appena stilata dal Guardian dei migliori giocatori del 2017, Dybala 14°, è il primo giocatore della Serie A.

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Il secondo punto discende dal primo ed è da ritenere un dato oggettivo. Non esiste altra squadra in Italia che, avendo a disposizione un calciatore come Dybala, possa pensare di tenerlo, anche solo per una partita, in panchina. D’accordo il turn over, di certo un po’ di riposo toccherebbe pure concederglielo, ma nel nostro campionato non puoi proprio pensare, essendo sano di mente, di rinunciare alla Joya, a meno che tu non abbia in rosa pure Higuain, Mandzukic, Douglas Costa, Cuadrado etc. Giusto la Juve, dunque.

Fissati questi due punti, andiamo nell’intrinseco, direbbe qualcuno. Facciamolo partendo dal fatto che l’opinione personale di Allegri, circa le qualità tecniche del giovanotto argentino, ritengo non si discosti affatto dalla mia. Lo disse in quell’occasione ad inizio settembre, lo ha detto in occasioni successive e secondo me era sempre sincero. Pure per lui Dybala è il calciatore con più talento che ci sia oggi nel campionato italiano. Dunque, per Allegri, è legittimo sacrificare il proprio calciatore più creativo e talentuoso sull’altare dell’equilibrio tattico? Non è chiaramente un controsenso rispetto al suo modo d'intendere il calcio?

A questo punto della stagione la risposta sembrerebbe facile, ma piuttosto che barrare risposte facili, proviamo ad allargare gli orizzonti. Quando parliamo di filosofia di Allegri, dobbiamo tenere bene in mente almeno altri due capisaldi. Uno è diventato addirittura un suo mantra ed è pure superfluo ribadirlo, limitandomi piuttosto a lasciare i tifosi juventini semplicemente in attesa di questo benedetto “marzo”. Il secondo attiene proprio alla sua identità di allenatore, al modo in cui personalmente interpreta e direi incarna il ruolo e il mestiere. Per ogni singola partita, contro ogni singolo avversario, per lui esistono un piano tecnico e tattico specifici da elaborare, ed esistono gli interpreti adatti a implementarlo e idonei a metterlo in pratica. Specie quando si tratta di affrontare avversari veri e partite importanti.

Ora, appare chiaro e l’ha ammesso lui stesso a fine partita, che per affrontare una squadra come la Roma, che basa sul funzionamento delle cosiddette catene laterali la parte più importante del suo gioco, c’era bisogno di uomini in grado di garantire un determinato lavoro e una certa consistenza sulle fasce. Provando, poi, a sfondare prevalentemente dal lato di Florenzi, con Alex Sandro e Mandzukic. Ragion per cui, in un 4-3-3, risultava molto più consigliabile affidarsi come esterni alti a Cuadrado da una parte e il croato dall’altra, piuttosto che richiedere a Dybala compiti che egli non sarebbe stato in grado di svolgere con la medesima efficacia. Discorso analogo, anzi addirittura più stringente vista l’attitudine di Candreva e Perisic, valeva per la gara con l’Inter. Le due esclusioni che hanno fatto più rumore, dunque, potrebbero essere spiegate così, aggiungendovi le giustificazioni addotte dallo stesso Allegri, riguardanti un presunto stato di forma dell’argentino, meno brillante rispetto ad inizio stagione. Lasciando poi perdere tutto il resto del vociare, perché il gossip non rappresenta materia di nostro interesse.

E pensare che dopo questo gol, tutto tranne che banale, risultava veramente difficile vederlo ancora in panchina.


Queste spiegazioni bastano e davvero la questione è tutta qui? Si può essere certi, sin da ora, che nel resto delle partite decisive della stagione Dybala sarà sempre in campo per i bianconeri? Ovviamente no. Altrimenti, poi, la questione non avrebbe presentato la complessità a cui vi avevo preventivamente preparati. Il problema esiste. Al di là del momento specifico, al di là dell’avversario, la scelta di affidarsi al 4-3-3 pare poter essere strutturale. Gli effettivi benefici che ne hanno tratto gli equilibri tattici, il prezioso contributo che è in grado di fornire Matuidi, la luminosa apparizione di Pjanic come erede di Pirlo, se coadiuvato da due interni al suo fianco, inducono a ritenere davvero questo il modulo che Allegri deciderà di utilizzare prevalentemente per la sua Juve, da qui a fine stagione.

Per Dybala è obiettivamente un problema, perché altrettanto obiettivamente bisogna convenire sul fatto che egli non è un esterno. Può adattarsi, interpretando il ruolo in una certa maniera, magari preferibilmente a destra piuttosto che a sinistra, per poter puntare verso l’interno, tagliare con il suo inimitabile mancino palloni in mezzo per gli inserimenti dei compagni, o per liberarsi lo spazio per le sue micidiali conclusioni, ma non è certo quello il ruolo che più gli si addice e soprattutto non sarebbe in grado di interpretarlo secondo determinati canoni ed esigenze tattiche. Tanto più che Allegri ha già dimostrato di prediligere accoppiare Cuadrado a Mandzukic, proprio per sfruttare le caratteristiche dei due. Nello specifico, la capacità del colombiano di andare sul fondo e tagliare i suoi insidiosi cross e la predisposizione del croato ad irrompere in area, sul secondo palo, e colpire. Non è un caso che anche Douglas Costa, con Mandzukic in campo, tende ad accomodarsi in panchina, o magari questi due interpreti funzionano meglio a fasce invertite, come la decisiva azione in Champions con lo Sporting sta lì a dimostrare. Messa così, sembra nera per la Joya.

Qui però, a scompaginare le carte, tornano, manco a farlo apposta, proprio quelle parole di settembre e proprio il fatto che ad allenare la Juve ci sia uno come Allegri. In questi giorni il livornese ha ricordato che l’argentino arrivò qualche anno fa che era solo un giovanotto di gran belle speranze, nonché l'ex centravanti del Palermo. Ci volle qualche mese per riconfigurarlo in una zona un po’ più arretrata del campo, zona peraltro verso cui risultava disposto naturalmente. Inoltre, proprio la riconfigurazione di Pjanic cui abbiamo accennato prima, che era arrivato da mezzala/trequartista ed ora è diventato un calciatore in grado di organizzare il gioco con quella sapienza distribuita a piene mani contro la Roma, rappresenta contemporaneamente un indizio e un esempio da seguire per il talentuoso giovanotto mancino. Gli conviene affidarsi ad Allegri e provare a riconfigurarsi in un 4-3-3. Purché si tratti di assecondare le proprie caratteristiche e il proprio talento, non certo pensando di poterle snaturare.

Ci vuole "halma".

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A chi, però, questo concetto può essere più chiaro se non al suo allenatore, che non fa altro (ieri sera compreso) che parlare di caratteristiche dei calciatori e della necessità di poterle dispiegare al meglio? I moduli e gli schemi si adattano alle caratteristiche dei calciatori, non il contrario. Allegri continuerà sempre a pensarla così, statene certi. Per dare un primo spunto e provare a far ricadere sull’atto pratico tali considerazioni, già non sarebbe peregrino immaginare un Dybala che in fase di attacco tenderà ad accentrarsi per venire a dialogare nello stretto con Higuain e un Khedira che, in fase di possesso, allargherà il raggio dei suoi proverbiali inserimenti, venendo ad occupare zone più laterali dell’attacco. Giusto per provare a configurare una prima ipotesi pratica.

Se mostrerà disposizione d'animo e spirito idonei a riadattarsi al nuovo spartito, Dybala troverà comunque spazio. Magari non sempre, ma io credo spesso. Con Allegri che riconfigurerà il suo eventuale 4-3-3 proprio in base alle caratteristiche di coloro che, di volta in volta, lo interpreteranno.


 

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Raffaele Cirillo, classe 1981, di Paestum. Fantasista di piede mancino, ma solo fino a 17 anni, rigorosamente un passo prima del professionismo. Iniziato al calcio dal pirotecnico Ezio Capuano nel settore giovanile dell’Heraion, che poi gli ispirerà anche un libro, un romanzo sul calcio intitolato "Il mondo di Eziolino". Con la stessa disposizione d’animo e la medesima aspirazione creativa con cui si disimpegnava in campo, ora il calcio lo guarda, lo interpreta e ne scrive.

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