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tavecchio
20 Novembre 2017
3 minuti

L'anno zero del calcio italiano non è Tavecchio


Ricorderemo Tavecchio per due cose: Optì Poba e l'unica mancata qualificazione al Mondiale dal 1958. Un ricordo non ingeneroso ma probabilmente fuori contesto, che non rende l'idea dello stato del calcio italiano, e dei responsabili delle condizioni in cui versa.


È in questo momento che è diventato chiaro a tutti che il problema del calcio italiano non può essere, e non può essere stato, Carlo Tavecchio.

Carlo Tavecchio è troppo sprovveduto per essere un problema. È troppo naïf per essere un ostacolo, troppo evidente se è vero che il dilemma del calcio italiano è avvolto nel mistero.

Carlo Tavecchio non è l'uomo sbagliato al posto sbagliato: è il palo. Alle sue spalle, e invisibili dalla strada, ci sono dei banditi che hanno saccheggiato il sistema calcio in Italia e ne hanno fatto terra di scorribande e di conquista. Carlo, questo, forse nemmeno lo sa.

Agosto 2014. Più di 3 anni fa e la battaglia di Malagò nei confronti di Tavecchio era già cominciata.

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Carlo forse nemmeno sa che il potere l'ha raggiunto soltanto quando ha dovuto commissariare la Lega Calcio, ormai implosa su se stessa. Lega che è il vero centro del potere calcistico italiano, ed evidentemente il suo vero problema: di progetto, di competenza, di visione, di leadership. Una leadership che nessuno in Serie A vuole, affinché ognuno sia libero di amministrare senza troppi problemi il proprio orticello. È la politica che ha portato Beretta dal 2009 ad aprile 2017 alla presidenza della Lega: nessuna decisione, nessun progetto, per non danneggiare nessuno.

Requisiti per essere a capo della Lega Calcio: essere in buoni rapporti con Claudio Lotito

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È un'eresia sostenere che il punto più basso del calcio italiano sia stato registrato in questa fase? Nel momento in cui servivano scelte coraggiose, decisioni dure, prese di posizione, si è optato invece per l'istinto naturale alla sopravvivenza, al "tiriamo avanti", al "va bene così".

Nel 2013 l'alternativa era Demetrio Albertini. Qualche mese fa era Andrea Abodi. Al calcio italiano invece, e per due volte, "va bene così" è stato interpretato alla lettera, anche da chi come Renzo Ulivieri si opponeva all'elezione di Tavecchio. Certo, poi ne è diventato l'alfiere, lo sappiamo.

Quasi si potrebbe dire che il 2017 non è l'anno zero del calcio italiano. L'anno zero c'è già stato, solo che non ce ne siamo accorti. Forse eravamo troppo concentrati su Optì Poba per vedere che il Milan non va in Champions League dal Medioevo; ci focalizzavamo troppo sull'influenza di Lotito per osservare il divario in ricavi da merchandising e diritti TV tra le top italiane, Juventus inclusa, e il resto del grande calcio europeo.

Malagò, prima di arrivare alla leadership del CONI, è stato amministratore o socio di Samocar Spa, Acea, Iren, Terna, Eni, A2A, Azimut, Banca Generali, Banca Finnat, AS Roma, Airone, Banca di Roma-Unicredit, La Grande Cucina spa, Tecnimont, HSBC, Circolo Canottieri Aniene, Virtus Roma, organizzatore del cinquantenario Ferrari, dell'Europeo di pallavolo 2005, delle final four Eurolega 2006, dei mondiali di nuoto 2009, dei mondiali di pallavolo 2010. In tutto questo, quale traguardo professionale lo distingue da Carlo Tavecchio?

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Non è bello che la query più popolare in Italia legata a Carlo Tavecchio sia la parola "stipendio": per la presidenza della Federcalcio Tavecchio prendeva poco, più o meno quanto contava del mondo del pallone. Eppure ora che l'Italia non si è qualificata per Russia 2018, milioni di italiani sono presi dalla curiosità di sapere "quanto prende" il capo della Federazione. Beh, nel 2014 ha preso Conte e non ci siamo lamentati.

Forse, a valere poco era proprio il calcio italiano, che ora scopriamo essere fuori dal mondo, fuori dalle coppe, fuori da tutto. Lo scopriamo troppo tardi, lo scopriamo a discapito delle nostre estati e delle nostre serate. Quasi si fa fatica a credere che dall'anno prossimo ci saranno 4 italiane in Champions: è in contrasto con tutta questa depressione diffusa, quasi stona con questo clima malinconico e disperato.

Perché sì, vorremmo dire che è colpa di Tavecchio se non siamo al Mondiale, se il lavoro non va, se la ragazza ci ha lasciato per un altro. Eppure i segnali del declino del calcio italiano anticipano Tavecchio, invece che esserne conseguenti. Mentre guardavamo per la 70esima volta il gol di Grosso contro la Germania su YouTube, il nostro movimento perdeva di senso e di valore. E i primi a essere distratti eravamo noi.


 

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