
- di Luca Zaghini
Se questo è un re
Nel delirio di questa estate, non passa settimana senza sorprese scioccanti: l'ultima, in ordine di tempo, è lo sgretolamento accelerato di quello che pensavamo essere il regno di Re LeBron che si sta rivelando invece essere solo una tappa nell'itinerario di un capitano di ventura, fedele solo a sé stesso. I risvolti sono molteplici.
Secondo Machiavelli, un buon sovrano deve essere in grado di arginare l'impetuoso corso del destino: quello che i Cavaliers, dopo la fortunosa vittoria del 2016, hanno deciso di fare è piuttosto la costruzione di una casa in riva al fiume. Già oltre il monte salari, hanno deciso di rinnovare il contratto di Smith, offrendogli 57 milioni in quattro anni, l'anno dopo aver rinnovato anche Love e Shumpert. Siccome LeBron ha poi pianto in mezzo alla stagione per un playmaker in più, la dirigenza ha dovuto firmare anche ciò che rimaneva di Deron Williams, e poi di Bogut. I risultati parevano dare ragione al 23, finché non si è trattato di affrontare l'unica squadra che avrebbero davvero dovuto battere e per cui erano difensivamente più impreparati di Snoop Dogg per un test tossicologico.
Appena finita la stagione, hanno deciso di rinnovare Korver (36 anni) per tre anni a 22 milioni, firmare Calderon (36 anni) e Jeff Green che, per chi non seguisse troppo l'NBA, è un giocatore buono a fare due schiacciate memorabili all'anno e a deludere spogliatoio e tifosi nel resto delle occasioni; non proprio difensori arcigni. James, che si è complimentato anche per il contratto di Curry firmato ad inizio mese, ha sempre avuto velleità da Robin Hood per quanto riguarda il togliere ai proprietari per dare ai giocatori, anche se questa ottica si è rivelata spesso controproducente e non è chiaro quale potrà essere un compromesso fattibile se e quando diventerà proprietario anche lui come vorrebbe: possiamo consolarci sapendo che, almeno, ha imparato a non tradire più in diretta nazionale, in questi ultimi anni. Questo dopo che Griffin, il gm dei Cavs, era stato licenziato qualche giorno prima del Draft, a quanto pare per volontà del proprietario della squadra, con cui James non avrebbe un gran rapporto dai tempi della lettera infausta scritta dallo stesso Gilbert dopo l'addio del 23 nel 2010. È curioso che il licenziamento sia avvenuto in un momento così cruciale e anche che Billups, uno dei papabili per sostituire Griffin e amico stretto del pseudo-coach Lue, abbia gentilmente rifiutato l'offerta per un lavoro che, sulla carte, dovrebbe sembrare appetibile come pochi altri. L'ex-gm in questione era nel mezzo di una trattativa per portare Butler nell'Ohio, mentre l'ipotesi George si era arenata poco prima. Tutto questo succedeva qualche giorno dopo l'inizio dei rumors secondo i quali, nel 2018, James lascerà Cleveland, probabilmente per migrare ad ovest, rumors resi ogni giorno più verosimili dal silenzio del 23 (e dalla presenza dello stesso ad una partita di Summer League a Las Vegas dei Lakers).
Gli altri lati della Storia
Quando James, nel 2014, decise di commuovere il web tornando a casa, Irving aveva appena firmato un contratto quinquennale che lasciava a lui le chiavi della franchigia; nel giro di qualche settimana, il ritorno del figliol prodigo e le grottesche pubblicità che seguirono misero il prodotto di Duke in terzo piano, ancora prima che Wiggins venisse scambiato per Love. L'NBA resta una lega di primedonne, dove è paranormale vedere un extrapass: l'idea che Kyrie voglia essere una stella solista non sorprende nessuno, a maggior ragione considerato il suo stile di gioco. Da quel lontano 2014, Irving si è rivelato essere un giocatore offensivamente fenomenale (difensivamente resta un latitante), abbastanza da fargli credere di meritare la possibilità di dimostrare il proprio valore senza il “re”. Già dopo la vittoria dell'anno scorso il numero 2 avrebbe comunicato ai Cavaliers la sua volontà di essere ceduto, ma la dirigenza avrebbe mitigato la questione convincendolo a rimanere, ma quest'anno la situazione è diversa: con i rumors dell'addio di LeBron (che ha una clausola contrattuale grazie alla quale non può essere ceduto), che lo stesso non intende affrontare, la baracca sta franando sempre più velocemente. Qualche settimana fa Irving ha chiesto esplicitamente di essere ceduto, preferibilmente a Knicks (!!!), Heat, Spurs o Timberwolves. In questo contesto le ipotesi di trade non sono ancora troppe, ma Phoenix potrebbe giocare un ruolo importante per ringiovanire dei Cavaliers che sembrano incredibilmente ancora interessati a scambiare per avere Carmelo Anthony in squadra. Lo scenario più romantico però include Miami: Pat Riley non si è dimenticato di come fu trattato nell'estate del 2014 e questa pare un'occasione d'oro per vendicarsi e insegnare un'altra lezione gestionale al quattro volte MVP. La notizia è probabilmente uscita perché la dirigenza non sarebbe intenzionata a dargli retta; ora che tutto il mondo lo sa, il suo valore di mercato, comunque altissimo visto che Irving ha solo venticinque anni e ancora margine di miglioramento, è leggermente sceso.
In tutto questo, a parte la dichiarazione di shock, non si capisce se James avrebbe dato il via libera o meno al procedere con le operazioni, né quale sia il suo ruolo in tutto quello che stanno facendo a Cleveland: il suo dichiararsi fuori da ogni incontro con free-agent è, se non sospetto, troppo altezzoso per chi non era favorito neanche dopo la sconfitta nelle Finals. Dopo la disastrosa diretta nazionale della Decisione, James ha calcolato davvero bene ogni passo pubblico in maniera paracula come poche altre e tutto quello che sta succedendo pare essere parte di uno schema per speronare ancora i Cavaliers e lasciare la colpa a Gilbert; che Irving non voglia fare la fine di Westbrook ad OKC è comprensibile, così come che non voglia avere la squadra come una specie di concessione di LeBron che, andandosene, potrebbe rigirare anche così la frittata. Il fatto che ipotesi simili, per quanto strane ed arzigogolate, non si possano escludere del tutto la dice lunga su chi si è rivelato essere LeBron James.
Scenari incerti
Da qui a un anno, i tifosi dei Cavaliers sembrano essere destinati a soffrire parecchio, specie se la squadra inizia già ora a tirare i remi in barca per ciò che riguarda la stagione a venire (ché Calderon e Green sono un tirare i remi in barca come pochi altri). Se Irving deve essere scambiato, questo è il momento migliore per farlo, anche se difficilmente il ritorno sarà abbastanza per non perderci; dove cada Love in questo schema è ancora insicuro, ma ha le valige pronte da quando è arrivato. Certo, James resta uno dei due giocatori più forti al mondo, ma a questo punto inizia ad emergere una domanda che, prima, non si osava neanche fare: i giocatori vorranno giocare con lui? Tra tweet criptici per attaccare i compagni, già due divorzi rocamboleschi con franchigie, licenziamenti inferti e, in generale, l'atteggiamento da signore in quella che, a conti fatti, è casa d'altri, non è più così scontato rispondere affermativamente: a quasi trentatré anni, nonostante non sia ancora calato, è solo questione di tempo e le altre squadre, così come i giocatori, lo sanno. Potrà certo scappare ancora verso un'altra squadra dopo aver prosciugato le risorse anche a quella per cui gioca attualmente, ma, a quel punto, sarebbe pure giusto chiedersi chi gli abbia dato il soprannome di “Re” e se se lo merita: così come Voltaire sottolineò che il Sacro romano impero non fosse né sacro, né romano, né un impero, iniziare a sollevare dubbi sulla supposta sovranità di James sarebbe doveroso.
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Luca Zaghini, nato a Cattolica il 17 gennaio 1993. Laureando in Italianistica, appassionato di linguaggio e pallacanestro: le mie giornate (ed il mio cuore) sono come un pendolo che oscilla incessantemente fra i maggiori pensatori di tutti i tempi e i più grandi ignoranti pieni di sé che abbiano mai messo piede su un parquet. Fermo oppositore dei compromessi, mi concentro solo sugli estremi della gerarchia cestistica, NBA e campionato universitario bolognese. Già redattore della pagina Deportivo la Piadéina.
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