
- di Alessandro Autieri
Tour 2017: pensieri dalla Francia
Domenica si è concluso il Tour de France 2017 con la quarta vittoria nelle ultime cinque edizioni di Chris Froome. Non il più brutto Tour mai visto (resta inarrivabile l'edizione 2016), ma nemmeno una corsa indimenticabile, bloccata da uno squadra nettamente più forte di tutte le altre, vissuta da corridori guidati con le radioline da direttori sportivi ingessati da strategie sparagnine e frenata da un percorso senza senso per una contesa che ha fatto la storia di questo sport.
Contro il tempo
Il ciclismo è la metafora per eccellenza dell'esistenza, è una battaglia contro il tempo. Diventa una guerra solitaria nell'esercizio delle cronometro, contre la montre.
Froome questo Tour 2017 lo vince così, nel Tic Tac. Il primo giorno di gara nella cronometro di Dusseldorf mette da parte quello che gli basta per amministrare nelle (poche) tappe difficili il margine sui suoi avversari più vicini e a Marsiglia, tre settimane dopo, completa l'opera.
Valverde invece lungo le bagnate strade tedesche lascia su una transenna un ginocchio e la stagione, mettendo a rischio la carriera e togliendo ad una gara irrigidita da uomini e percorso, una delle variabili più concrete. Completano il podio, Rigoberto Uran dopo una condotta di gara attenta in montagna che gli permette di vincere una tappa e correndo una cronometro finale di alto livello e Romain Bardet che va in crisi a Marsiglia, salvandosi ugualmente per un misero, ma fondamentale secondo, su Landa.
Della Sky, del dominio e di Kwiatkowski
Se Froome è stato inattaccabile, il merito è della Sky, dominante come o più del solito con un Landa capace di insediarsi ai piedi del podio e con un Kwiatkowski così brillante da apparire a tratti imbarazzante. Se davanti restano in dieci e spesso tre o quattro di questi vestono Sky, per gli avversari è notte fonda. Il britannico è parso meno forte che nel passato, lontano dalle sue celebri frullate, ma tanto (o meglio, poco) è bastato.
Gli altri direttori sportivi curano l' orticello del proprio piazzamento e ne viene fuori per il secondo anno consecutivo una corsa con pochi attacchi e un livellamento verso l'alto che non fa bene a questo sport.
La gialla illusione dell'Aru tricolore
Fabio Aru ispirato da una terra in cerca di riscatto come quella dalla quale proviene, ha provato a sovvertire i pronostici e non possiamo che ringraziarlo. Vero, la retorica Rai forse ha reso il 27enne sardo un po' antipatico agli occhi di molti appassionati, ma non è di certo colpa del ragazzo.
Una vittoria di tappa (unica azione che fa la differenza tra gli uomini di alta classifica) a La Planche des Belles Filles, due giorni in giallo (unico leader non sky di questa edizione), la stregua resistenza sulle Alpi quando poteva imbarcare diversi minuti, ma dove invece riesce a rimanere a galla e a difendere il quinto posto finale. Un Tour di livello il suo dopo il ritorno alle corse a seguito di una primavera disastrosa sotto ogni aspetto e con la speranza di vederlo in un finale di 2017 alla carica e con la possibilità che possa lottare per la Maglia Rosa nel 2018. Probabilmente con un'altra casacca, visto che con l'Astana sembra ormai separato in casa. Lo sosteniamo senza retorica, a patto che corra di più durante l'anno.
Vive la France!
Da tanto i galletti non cantavano così.
Bardet il più atteso, vince l'arrivo di Peyregudes e fa di tutto per scrollarsi di ruota Uran e soprattutto Froome (e la dimostrazione è il fatto di essere arrivato alla cronometro di Marsiglia in crisi totale e senza energie). Non ce la fa, ma coglie ugualmente un podio che per lui e per la Francia è il secondo consecutivo. Ai francesi, ancora a secco di vittoria finale dal 1985 non riuscivano due podi consecutivi dal biennio 96/97 con Virenque.
Barguil è forse il personaggio che resta di più nel cuore di questo Tour. Dopo il drammatico incidente dello scorso anno e dopo aver rotto il bacino ad aprile al Giro di Romandia, usa i suoi attributi per regalare spettacolo, con quei tratti da angelo con la faccia sporca e quella maglia a pois che sembra cucita apposta per lui. Vince a Foix e sull'Izoard e i francesi se ne sono innamorati.
Demare e Calmejane nella prima settimana mettono in mostra quello smalto che i transalpini attendevano da anni vincendo una tappa a testa. Chapeau ai cugini e a questa generazione degli anni '90 che tanto ricorda quella d'oro italiana dei ragazzi nati dal 1970 o giù di lì (Pantani, Casagrande, Bartoli, Guerini, Belli, Rebellin, Simoni). Da leccarsi i baffi il futuro tricolore, contando anche che mancava Alaphilippe e sullo sfondo crescono talenti enormi come Gaudu e Martin.
Percorso inguardabile
Un buco nell'acqua completo. Tante, troppe tappe per velocisti, poche tappe miste adatte alle imboscate e senza trabochetti per gli uomini di classifica, pochissime tappe di salita, nonostante la bella idea di inserire nella stessa edizione Giura e Vosgi.
I Pirenei sono stati appena sfiorati, le Alpi ben omaggiate con l'inedito arrivo sull'Izoard, ma sono apparse lo stesso spogliate dalla loro essenza di tappe mitiche e leggendarie. Incomprensibile la settimana finale con due sole frazioni a smuovere la classifica e con l'ultimo venerdì di corsa sprecato con una tappaccia da fuga a lunga gittata. E alla fine a causa di un percorso tutt'altro che duro e capace di tarpare la già poca fantasia del gruppo, risultano essere decisivi i pochi chilometri a cronometro. Bellissimo invece lo scenario della cronometro finale di Marsiglia.
Giuria rivedibile (Sagan non andava squalificato)
Per anni se ne parlerà: resta una macchia indelebile aver tolto dalla corsa Sagan per un gesto tutt'altro che chiaro (una presunta gomitata, che in realtà sembra non esserci e più rivedo il video e più ho forti dubbi sulla scelta della giuria) e che toglie un corridore, forse Il Corridore, che avrebbe regalato più spettacolo in gara. Nella stessa volata Demare (che vincerà quel giorno), scambia i 150 metri finale per una corsa alla cassa del supermercato tagliando la strada a chiunque, per lui nemmeno una sanzione. Per non parlare di Bouhanni che prende a pugni mezzo gruppo ad ogni volata e se la cava con qualche multa. L'assegnazione del premio finale al più combattivo del Tour, poi, lascia perplessi: De Gendt, in fuga per oltre un migliaio di chilometri e una decina di tappe, si vede battuto da un uomo di casa, Barguil.
Bling, il gioiello e gli altri tesori
L'australiano Micheal Matthews, detto Bling, illumina questa edizione depredata da subito di uno dei suoi oggetti più preziosi, Peter Sagan. Lui riesce a raccoglierne l'eredità vincendo la Maglia Verde, interpretando ogni giorno la gara proprio come lo slovacco, andando in fuga, vincendo tappe e piazzandosi anche negli sprint più convulsi. Come l'aussie meritano una menzione Boasson Hagen vincitore a Salon-de-Provence con un'azione da fuoriclasse e Marcel Kittel mattatore delle volate con 5 vittorie, prima di doversi arrendere ad una caduta.
L'Italia si accontenta
Oltre ad Aru, in grande evidenza Ulissi, che generosissimo sfiora la vittoria a Le puy en Velay e si dimostra in crescita per un finale di stagione che lo vedrà protagonista, Colbrelli, che con qualche piazzamento interessante conquista il 5° posto finale nella classifica della Maglia Verde, Damiano Caruso, ottimo 11° in Classifica Generale dopo aver corso la prima parte di gara come spalla di Porte (poi caduto e ritirato) e Bettiol, il più giovane della pattuglia nostrana (classe '93) che cresciuto di gara in gara non si pone limiti su cosa potrà fare ''da grande''.
Archiviata la Grand Boucle per il ciclismo l'appuntamento è tra un mese con la Vuelta (Froome vs Nibali è la sfida attesa sulle strade spagnole) e con il calendario delle semi-classiche italiane, il mondiale in Norvegia a settembre che vedrà Sagan alla ricerca di un clamoroso e storico tris, con a chiudere il giro di Lombardia che chiama già Nibali e Aru ad una sfida indimenticabile.
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Classe '82 come Contador, Kakà e Gilardino, ma non ho mai vinto né Tour de France, né Champions League, né Mondiale. Ho praticato diversi sport, ma gli unici che mi si addicono davvero bene sono quelli da vedere sul divano. Juve, fumetti, cinema horror, ciclismo e cibi unti, le mie più grandi passioni.
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