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27 Maggio 2017
10 minuti

Salvate il soldato Spalletti


Domenica 7 Maggio 2017 la Roma vince 4-1 a San Siro contro il Milan di Montella, tornando ad imporsi in tutti e 4 i confronti di campionato con le milanesi dopo 56 anni. E’ un successo di importanza vitale per i giallorossi, poiché arriva dopo il pesante KO nel derby e consente di tenere il Napoli a un punto di distanza. Eppure quella domenica sera la fondamentale vittoria della Roma sembra non interessare a nessuno: si parla solamente della panchina di Totti e della mancata passerella per la sua ultima a San Siro. Una sequela infinita di personaggi dello sport, dello spettacolo e persino della politica si scaglia contro Luciano Spalletti per il suo “affronto”.


Poco importa se il risultato fosse ancora in bilico al 38 della ripresa- chi pensa il contrario non conosce la storia giallorossa fatta di beffe e rimonte subite- quando l’allenatore giallorosso ha esaurito i cambi inserendo Bruno Peres per Dzeko, il fuoco delle critiche si abbatte senza pietà su Spalletti. Si giunge così ad una situazione paradossale nel senso più kafkiano del termine, per la quale un allenatore viene subissato di critiche per aver svolto bene il suo lavoro e messo gli interessi della squadra e della società al primo posto.
E’ da oltre un anno che avrei voluto scrivere in merito a quante difficoltà, alcune delle quali evitabilissime, abbia dovuto incontrare Spalletti nella sua esperienza romana. L’episodio della partita a San Siro e tutta la coda polemica che ne è seguita e si trascina fino ad oggi è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Una goccia che ha portato il sottoscritto, Romanista e Spallettiano convinto, a convincersi a malincuore che l’allenatore di Certaldo faccia bene ad approdare in altri lidi. Ho cercato di analizzare il perché e cosa non abbia funzionato in questo anno e mezzo di rapporto tra allenatore e società.

Il continuo bombardamento mediatico sul caso Totti

Della storia del rapporto tra Totti e Spalletti avevo già fatto un lungo approfondimento su questo sito, (https://www.sportellate.it/2016/02/22/spalletti-totti-ceravamo-tanto-amati/). Era il Febbraio del 2016, Totti si era appena sfogato ai microfoni di RaiSport, in una situazione chiudevo augurandomi che fosse la società a prendere in mano la situazione, evitando di lasciare la “patata bollente” all’allenatore abbandonandolo nel ruolo del villain. E’ evidente che questo non sia accaduto e che la situazione si sia ulteriormente deteriorata ad oltre un anno di distanza.

totti spalletti

Se solitamente le critiche ad un allenatore pervengono dai tifosi o dalla stampa sportiva (ed è legittimo, dato che questo costituisce il loro lavoro), Spalletti si è trovato nell’anomala situazione di venire attaccato in contesti ben poco attinenti con il mondo calcistico ma dal grandissimo eco, basti pensare al Grande Fratello o a “L’intervista” di Maurizio Costanzo. Nel secondo caso, non limitandosi a intervistare il capitano della Roma, Costanzo si è lasciato andare a considerazioni (con annessi stupri dei congiuntivi) di questo tenore: “Ritengo che (Spalletti, ndr) si deve prendere una vacanza, siccome ha fatto molte scelte sbagliate nei confronti di Totti. Io penso che fare entrare Totti gli ultimi cinque minuti è una stronzata” (minuto 30 qui http://www.video.mediaset.it/video/l_intervista/full/giovedi-23-marzo-%E2%80%93-francesco-totti_703578.html).

Gli stralci del celebre conduttore televisivo nei confronti di Spalletti non si sono fermati a quella seconda serata su Canale 5, ma si sono susseguiti negli ultimi mesi: dopo la vittoria contro la Juventus, Costanzo ha affermato che Spalletti si “deve vergognare” per aver fatto entrare Totti solo nel recupero, ripetendo che il capitano non merita “il contentino”. L’ultima affermazione sarebbe anche condivisibile, dato che il modo peggiore per rispettare la storia calcistica di Totti è proprio quello di concedergli qualche minuto per pura riconoscenza o per pietas. Il più grande giocatore della storia giallorossa (e addirittura mondiale, a sentire Maradona) non può elemosinare qualche minuto per chiudere la sua meravigliosa carriera. La linea adottata da Spalletti sembrava andare proprio in questo senso: Totti gioca se serve alla squadra, poichè è il modo migliore per onorare la sua carriera senza svilirla a un passo dal traguardo. Ma dopo il mancato impiego a San Siro, evidentemente, l’allenatore Toscano avrà provato a modificare l’approccio nel match contro la Juventus, ottenendo il medesimo risultato: critiche a cascata. Riassumendo, secondo questi Soloni del calcio Spalletti sbaglia se non fa giocare Totti, sbaglia se lo fa giocare pochi minuti e sbaglierebbe anche se lo impiegasse dall’inzio perché a quel punto probabilmente verrebbe accusato di mettere un singolo davanti alla squadra.

Al coro di Costanzo si sono ovviamente uniti tantissimi altri critici, dall’immancabile Zeman ad un variegato melange personaggi pubblici. Per questo il bombardamento mediatico contro Spalletti non è riferito tanto alla stampa sportiva, che pure ci ha messo del suo, ma va esteso soprattutto ad una ben più vasta gamma di addetti ai lavori e non solo.

Per dare un’idea di come la questione sia andata ben oltre l’ambito calcistico, il mancato impiego di Totti a San Siro è stato addirittura oggetto di un botta e risposta tra Matteo Salvini e l’ex Presidente del Consiglio Renzi. Il caso Totti-Spalletti è diventato un caso politico, benché molto probabilmente nessuna delle due parti in causa desiderasse una tale eco. Di certo non Spalletti, dal momento che stava facendo ciò per cui viene pagato, ovvero l’allenatore; ma anche lo stesso Totti è sembrato in più di un’occasione a disagio: si vede chiaramente nell’intervista con Maurizio Costanzo come provi inizialmente a stemperare i toni, per poi a sottolineare che “basta che non si pensi che le ho detto io di dire certe cose”.
Salvini ha chiuso la contesa bollando Spalletti come “un perdente” ed “un piddino rancoroso”. L’ultima volta che un leader politico aveva dedicato le sue “attenzioni” ad un allenatore correva il lontano 2000 e si poteva pagare ancora in lire. L’allenatore in questione era Dino Zoff, commissario tecnico della Nazionale, aspramente criticato da Berlusconi dopo la sconfitta nella finale dell’Europeo. La diatriba si concluse con le dimissioni di Zoff.

salvini totti spalletti

Il mercato: errori passati che peseranno sul futuro

Luciano Spalletti, sin dal suo arrivo, ha cambiato molte cose rispetto alla gestione Garcia, ma ha mantenuto un punto fondamentale di continuità con il predecessore: la volontà di avere giocatori pronti, con un’esperienza importante alle spalle, perché come ha dichiarato in più occasioni "Se si vuole percorrere la strada dei giovani bisogna smettere di pensare alla vittoria”.

In tutta risposta, l’acquisto più costoso dell’ultimo mercato estivo è stato il 19enne Gerson, 31 partite e un gol con la Fluminense, pagato la bellezza di 18 milioni di euro. Ad onor del vero il brasiliano era già stato acquistato (e lasciato per 6 mesi in Brasile) prima dell’arrivo di Spalletti, ma è comunque testimonianza di uno scollamento tra la (ormai ex) direzione sportiva e le richieste delle guide tecniche.
Ma al di dà dell’emblematico dal caso Gerson, conoscendo la predilezione del tecnico di Certaldo per il 4-2-3-1 con il quale aveva già conseguito grandi risultati, ci si sarebbe aspettato un mercato in linea con questo modulo. Invece a stagione in corso Spalletti è stato costretto a passare alla difesa a 3, dato il pessimo assortimento di terzini, tutti brevilinei e più bravi ad offendere che a difendere. Solo l’esplosione di Emerson Palmieri e l’adattamento di Rudiger a destra hanno consentito alla Roma di tornare a 4 nelle ultime partite.

Emerson Palmieri che, tra l'altro, diventerà uno dei terzini del futuro della nostra Nazionale.


Il vero problema, però, rimane che la rosa di quest’anno della Roma si è rivelata numericamente inadeguata ad affrontare le 3 competizioni, visto che non si è nemmeno riusciti ad arrivare a 25 elementi: fino a Dicembre erano 24, tra i quali i lungodegenti Mario Rui e Rudiger, i mai impiegati Seck e Lobont, la meteora Gerson, il flop Iturbe, il disastroso cristallo di boemia Vermaelen ed un Totti ormai 40enne e con poca autonomia nelle gambe. A Gennaio, nonostante gli infortuni e Salah in coppa d’Africa, la rosa si è ulteriormente ridotta a 23, con l’arrivo del solo Grenier e con Seck e Itrube dati via in prestito. Come conseguenza, alcuni giocatori chiave sono stati spremuti non essendoci in rosa dei sostituti, e la squadra ha palesato un inevitabile gap di condizione in momenti cruciali della stagione, vedi il match di andata contro il Lione. Incredibile è il fatto che la Roma abbia affrontato un’intera stagione, e quindi 3 competizioni, con una sola punta, Edin Dzeko.
Pur riconoscendo la straordinaria abilità nello scovare i talenti dell’ex DS Walter Sabatini, è innegabilmente difficile riuscire a trovare un filo logico alle sue operazioni di mercato. Per sua stessa ammissione, del resto, ha spesso agito “per infatuazioni”, ed è sempre stato un uomo diviso con “il cervello di sinistra e il corpo di destra, sempre in conflitto”.

Pur non essendo più il DS della Roma, Sabatini ha lasciato un’eredita pesante per il futuro, data la sua politica di acquisti con i “Pagherò”, ossia prestiti con obbligo di riscatto. Solo quest’estate, ci saranno da pagare i vari Bruno Peres, Juan Jesus, Mario Rui e Perotti, per un totale di oltre 40 milioni (niente male, considerando che nessuno di loro è più titolare), che costringeranno la Roma a privarsi di un paio di pezzi grossi.

Monchi, inoltre, dovrà fare i salti mortali per poter far rispettare alla Roma le normative europee ed italiane sui giocatori cresciuti nel vivaio: in rosa ne sono richiesti 8 provenienti da settori giovanili italiani, dei quali almeno 4 cresciuti a Trigoria. Con l’addio di Totti, infatti, la Roma si troverà soltanto De Rossi (se dovesse rinnovare) e Florenzi come giocatori cresciuti in casa, mentre Nainggolan e El Sharawyy riempiranno 2 delle quattro caselle dei “cresciuti in Italia”.

Giusto per fare qualche esempio su come negli anni sia stato dilapidato l’ottimo lavoro delle giovanili giallorosse (le più produttive in italia secondo questo studio del CIES): Zukanovic tornerà dal prestito all’Atalanta, a 30 anni compiuti: la Roma lo ha pagato in tutto 4 milioni, meno di quanto abbia incassato per Mazzitelli, 9 anni più giovane, titolare nel Sassuolo e nell’Under 21. Pellegrini è stato regalato sempre ai neroverdi, per 1.2, meno di quanto è costato la meteora Gyomber, ed adesso ne serviranno più di 10 per riaverlo. Sassuolo che ha riscattato a soli 3 milioni pure Politano (vale già almeno il doppio), mentre sono stati sperperati più di 4 milioni per il prestito biennale del fantasma Uçan. Per i cartellini Caprari e Verre la Roma ha incassato meno di 2 milioni di euro, meno della metà di quanto sia costato Nemanja Radonjic. Il suo è il caso più curioso: a Febbraio 2014 la Roma lo prese in prestito per 1 milione dell’Academia Hagi ma in estate decise di non riscattarlo perché la si mormora che la condotta extracalcistica fosse tutt’altro che irreprensibile. Lo prese l’Empoli a titolo gratuito ma trascorse l’intera stagione senza guadagnare nemmeno una convocazione. A Luglio 2015 Sabatini cambiò di nuovo idea e lo prelevò per 4 milioni di euro dalla società toscana: oggi è in prestito gratuito in Serbia al Cukaricki dopo aver giocato la bellezza di 3 partite con la primavera.

Ma Spalletti è stato sempre bravo ad adattarsi ai giocatori che gli sono stati messi a disposizioni ed a trovare il modo per ovviare il più possibile alle lacune della rosa. Non credo sia stato il mercato a generare il definitivo punto di rottura.

Il rapporto con la società

Nonostante le criticità elencate, Spalletti è ad una vittoria dal record di punti della storia della Roma in serie A. Non vincerà il campionato solo perché ha trovato sulla sua strada una Juventus strepitosa, ma a questo nessuno sembra far caso, nemmeno la proprietà.

Via goal.com

roma punti

Sono proprio i rapporti con quest’ultima la probabile causa ultima della voglia di Spalletti di cercare fortuna in altri lidi. L’allenatore toscano accettò di tornare un anno e mezzo fa, pur sapendo che non avrebbe trovato una situazione facile, dimostrando a più riprese di essere molto legato ai colori giallorossi. A questo forte legame di odi et amo possono essere riconducibili le sue incontinenze verbali di questa stagione. Un legame che invece non si è mai creato con il Presidente James Pallotta, non solo per il già citato colpevole silenzio sul caso Totti o l’atavica assenza del Presidente. Da quando è in carica, Pallotta ha rilasciato molte dichiarazioni altisonanti, quasi solenni, in pieno stile Yankee, alle quali però non sempre hanno fatto seguito i fatti. In estate, ad esempio, ha dichiarato che la Roma era pronta a competere con i top team europei e ad entrare nell’elite del calcio. A questa dichiarazione ha fatto seguito la cessione di Pjanic ed un mercato non proprio scoppiettante, segno che la Roma non avesse ancora né il potenziale economico ne la profondità di rosa per poter essere ciò che il suo stesso Presidente prospettava. Potrà arrivarci senza dubbio nei prossimi anni, con lungimiranza e capacità progettuali, ma il dichiarare prima dell’inizio della stagione che la Roma sia già a livello dei top team europei ha messo de facto l’allenatore di fronte all’esigenza di vincere, non a caso Spalletti più volte durante la stagione ha ripetuto che “o vinco, o me ne vado perché vuol dire che non ho fatto bene il mio lavoro”. Dichiarazioni, queste, che sono state spesso criticate e non gli hanno certo fatto attirare simpatie, ma che dimostrano due cose fondamentali: quanto Spalletti tenesse alla Roma ed a tirare fuori il meglio dai suoi giocatori, e quanto lo stesso ci abbia sempre messo la faccia, senza mai cercare (almeno pubblicamente) alcun tipo di alibi.

Nanni Moretti in Palombella Bianca diceva che “le parole sono importanti”. Rimanendo legati alle dichiarazioni, dunque, non possiamo non notare come al termine del girone d’andata Spalletti abbia dichiarato che “Roma non è ideale per far crescere i giovani” ed in tutta risposta, ad inizio Marzo, dopo il trittico di sconfitte (Lazio,Napoli,Lione) che sono probabilmente costate la stagione ai giallorossi, Pallotta abbia prospettato un “progetto giovani” per la stagione a venire. Se il Presidente voleva dare un attestato di fiducia al suo allenatore nell’unico vero momento della stagione in cui sono mancati i risultati, diciamo che il suo tentativo è stato decisamente rivedibile.

Per questo insieme di ragioni, domani per me sarà una giornata doppiamente triste. Non solo per l’addio al calcio del giocatore con il quale sono cresciuto e che ha rappresentato il simbolo della squadra per la quale tifo, ma anche per l’addio di Luciano Spalletti alla panchina giallorossa. E, sarò impopolare, ma tra le due non so nemmeno quale mi intristisca di più.

spalletti totti


 

  • Giornalista classe 90', da sempre innamorato della radio, ho diretto per 3 anni RadioLuiss e collaborato con varie emittenti in qualità di conduttore. Attualmente mi occupo di comunicazione d'impresa e rapporti istituzionali. Pallavolista da una vita, calciofilo per amore, appassionato di politica e linguaggi radiotelevisivi, nella mia camera convivono i poster di Angela Merkel, Karch Kiraly e Luciano Spalletti.

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