
- di Redazione Sportellate.it
La testa nei piedi
Sia la scienza che noi altri non possiamo certificare quale sia il cocktail del calciatore perfetto. Quel che è vero, è questo: per diventare molto bravo, è necessario uno sviluppo di svariate caratteristiche. Palleggiare, scattare, avere forza, resistere... E la mentalità, comprendere il calcio. Le gambe fanno quello che il cervello comanda? Si. Più o meno, è sempre così.
Una delle qualità non anatomiche è la coscienza. S’intende come visione, come calcolo di spazio e tempo, come decisione. Semplicemente: uno molto bravo elabora più informazioni in meno secondi. C’è un però: benché l’attività cognitiva sia fuori dall’ordinario, la scelta non sarà corretta o meglio eccellente senza la coniugazione di un’alta tecnica individuale. L’esempio da portare sempre è Thomas Müller. Uno dei migliori giocatori in assoluto: fondamento della Germania, punto fisso del Bayern, ecc. Eppure non è affascinante, non è attraente, non ha movimenti differenti da un robot umanoide inviato sulla Terra. Non è un numero 10, non è un centravanti. È difficilmente spiegabile in natura: non attende, non pensa, fa.
All’apparenza fluido come un pilone, possiede una capacità di gestione della palla irreale; questa padronanza rende perfette le conseguenze, passaggio e tiro. Conosce e vive lo spazio: sa dove si trova, sa dove si trovano amici e nemici. Un top non-atleta.
Frank Lampard all'opera.
C’è una caratteristica che accomuna soprattutto i grandi centrocampisti: la visione di gioco. Guardare, guardare intorno, guardare prima; senza il possesso della palla, una volta ricevuta, appena effettuata l’operazione. Di regola, guardare prima ti permette di scoprire la libertà di uno o più compagni ed assisterlo senza perdere tempi di gioco; in caso contrario, la tendenza è quella di attendere, di essere raggiunto dal pallone per controllare/dribblare. Attenzione: non stiamo citando i difensori, che possono/dovrebbero fare gli opposti ed equivalenti movimenti. Non solo Lampard. Pirlo, Xavi e Iniesta sono esempi forse ancor più rilevanti; per quanto riguarda l’ultimo, il più delle volte pare avere gli occhi anche dietro il capo. La visione si addestra. Da ormai un quinquennio, il Borussia Dortmund si allena indoor con Footbonaut: sono macchine spara palloni, da controllare e “imbucare” nel box lampeggiante.
Prendiamo un altro importante del ruolo: Cesc Fabregas. Il catalano è uso guardare intorno a lui più volte per conoscere la posizione di compagni ed avversari. Si chiama orientamento; orientarsi significa sapere già cosa fare prima di ricevere la palla sul piede. Adattarsi alla situazione e allo spazio nel minor tempo possibile. Acquisisco prima le informazioni per la decisione: un passaggio di prima, uno stop, un velo, una conclusione. Decidere deriva dalla due fasi precedenti. La visione e l’orientamento hanno fornito molte informazioni? La qualità della decisione, in teoria, sarà alta. In teoria, perché l’errore umano (più o meno tecnica individuale) è ‘democratico’. Alcuni bravi centrocampisti, forse la maggior parte, non hanno quel centesimo che porta all’euro: hanno visione, hanno orientamento, ma poi fanno la scelta più semplice piuttosto che quella decisiva. Se non hanno molto tempo a disposizione, non vogliono perdere il possesso; non si espongono al rischio del tentativo più complesso e che potrebbe portare alla chance grossa. Ecco, questa è una delle discriminanti tra bravo e campione del ruolo.
Dopo tutto questo processo, lo stesso si ripete: di nuovo lo smarcamento, di nuovo la visione, di nuovo l’attesa, di nuovo l’orientamento, di nuovo la ricerca, di nuovo l’esecuzione.
Scansione, capacità di elaborare i dati nel minor tempo possibile e ancora scansione.
Guardiola, Mourinho, Klopp, Conte. In Inghilterra allenano i più noti, i più chiacchierati, i più discussi, i più ammirati, i più studiati. Pardon, campione Ranieri e Pochettino.
Anche qui, dove il fisico spesso sotterra la tecnica, è notabile come il calcio sia mutevole. Dal gegenpressing del Liverpool al cholismo e Sampaoli fuori Regno Unito.
In un match di Premier League, è un’impresa ravvisare un giocatore fermo: è una perpetua effervescenza, pare uno sport che spinge i limiti del possibile oltre il confine precedente.
Alimentazione specifica, bagno nella vasca ghiacciata, personal training; il periodo pre e post match sono utili (fondamentali) per esaminare, dettagliare, inviare la caparra per la miglior prestazione possibile. Tre stagioni fa, il Real Madrid di Ancelotti invitò in sede lo sleep coach Littlehales per un workshop; parola dei calciatori, i benefici nel recupero della fatica furono evidenti. Questo può sembrare (ma non è) esagerato, come e più del monitoraggio degli allenamenti dei ragazzi: deep data, statistiche ad personam di tutti su tutto. Più informazioni possibili, più incroci di queste possibili, più vantaggi concreti nelle applicazioni. Il dettaglio, soprattutto ad alti livelli, fa la differenza. Non riposare abbastanza e soprattutto male, innalza il rischio di infortunio e riduce il livello della performance; la prestazione è direttamente proporzionale alla forza e alla resistenza dell’organismo.
La disputa esiste, innegabile. Tecnica versus atletica. Alcuni club investono decine di milioni di euro per calciatori di corsa e fisico piuttosto che per play maker e piedi di velluto.
Le qualità che sono oggigiorno coltivate sono la resistenza alla fatica, la volontà di superare la soglia di stanchezza, i chilogrammi di muscolo, i centimetri. Il calcio non è meno spettacolare: c’è intensità, c’è pressing, c’è ritmo.
Non è molto intelligente scegliere tra Xabi Alonso e Kanté, tra una caratteristica eccellente e alcune caratteristiche di livello alto. Il nostro Andrea Pirlo, al secondo campionato di MLS, confessa che in America non insegnano la tecnica e questo fatto è la causa della mancanza di qualità generale del torneo. “Molto uso del fisico, molta corsa. Difficile giocare. Devo pensare ad altro piuttosto che al gioco”. Pirlo non intende dire che la competenza tecnica sia limitata, ma che c’è un vuoto culturale che andrebbe colmato. Anche Lampard, come lui, ha faticato nell’imporsi in un campionato lontano per caratteristiche dal loro essere.
Ah, per quel che riguarda l'eleganza però, il confronto manco si pone.
Il calciatore annette il contachilometri al suo bagagliaio di marcatura, passaggio e tiro in porta; la voglia di essere pronto, reattivo, di essere protagonista del carpe diem, non possono essere insegnati in un amen. Un esempio: l’Atletico Madrid. Non c’è Il Top Player in rosa; dall’arrivo del Cholo Simeone, in formazione manca il talento con la T (Griezmann ci si avvicina assai, vero). E allora? Calcio dal moto perpetuo, ordine effettivo. Il comportamento tenuto dall’Atletico è trito dai concorrenti, ma gli spagnoli lo fanno meglio di tutti (il fatto che da un biennio subiscono meno gol di tutti in Europa è da shock per i nemici).
Il fisico sovrasviluppato non toglie, ma aggiunge al gioco. La tecnica e la tattica restano, come la creatività. Il piede “caldo”, però, non necessariamente sposta più della condizione psicofisica ottimale.
Infine, con la palla e senza palla, vale sempre che il calcio non è complicato. Chi la ha, la muova; chi non la ha, si muova.
Giacomo Scutiero
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